Le ombre del buono benzina: una proposta alternativa in tema di welfare

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Bollettino ADAPT 11 aprile 2022, n. 14

 

Del buono benzina previsto dall’articolo 2 del d.l. 21 marzo 2022, n. 21 ha già discusso egregiamente il collega Nicola Poretti nello scorso numero del Bollettino, con osservazioni tecniche assolutamente condivisibili.

Tuttavia, può essere utile offrire, senza pretese, qualche riflessione ulteriore sull’efficacia in senso sistemico della misura.

 

1) Ogni misura particolarmente orientata, ed il buono benzina (gasolio o altro compresi), ha come possibile effetto pratico quello di indirizzare i consumi e, talvolta, incrementarne i costi. Un effetto tutt’altro che calmierante, basta vedere cosa è successo con i vari bonus succedutisi in questi anni, dei quali per carità di Patria, eviteremo di parlare.

Individuare un bonus così specifico rischia pertanto di sortire effetti negativi.

 

2) Un ulteriore effetto negativo concerne la mancata riduzione dei consumi: individuare una misura che favorisce l’acquisto di carburante non ne disincentiva l’uso. Anche perché tale misura potrà essere usata solo in quel senso, e quindi si applicherà la vecchia legge del “piuttosto che niente, meglio il piuttosto”. Non credo che questo sia qualcosa di apprezzabile, sia nell’ambito di una transizione ecologica e di un’attenzione ambientale, sia anche sotto il profilo di sottrarre risorse economiche a chi il combustibile fossile continua, bon gré mal gré, a propinarcelo.

 

3) Di fatto, la misura è in controtendenza ad altri bonus (come il bonus monopattino, indipendentemente da ciò che se ne possa pensare…), o completamente estranea alla magnificazione (sia detto senza intento ironico se non quello delle esagerazioni monotematiche e talvolta un po’ farlocche) del “chilometro zero”, della “filiera corta” e del “lavoro agile”.

Viene in ogni caso penalizzato, o quantomeno resta indifferente alla misura, chi ha cercato in questo periodo di modificare in senso ambientale le proprie abitudini.

 

Tuttavia, “gli effetti economici ed umanitari della crisi ucraina”, per citare l’incipit dell’articolo di legge, non si esauriscono certo nel rincaro energetico, cosa di tale palmare evidenza che sarebbe inefficace argomentarne ulteriormente. Viene quindi da chiedersi se a fronte degli effetti negativi della misura con un sapore vagamente populista, a parere di chi scrive, non si possano invece individuare altre misure di welfare aziendale che, sempre partendo dalle aziende che se ne volessero far carico, avrebbero un’utilità più immediata e meno costretta del bonus benzina.

 

Per il 2020 e 2021, ad esempio, è stata raddoppiata la soglia di cui al comma 3 dell’art. 51 TUIR, da 258 a 516 euro (e rotti). Perché tale misura non è stata riproposta anche per il 2022?

Ma vi sarebbe una misura – da ideare in modo facile ed immediato – con un impatto ancora maggiore e ben più intelligente e mirato, in vista di periodi di difficoltà economiche non certo di breve durata. Basterebbe pensare ad uno strumento di welfare aziendale, sulla scorta dei buoni spesa o buoni carburante, diversificato da quello del comma 3 che rimarrebbe come franchigia su tutto il resto che marginalmente viene offerto dall’azienda in termini di beni, servizi o piccole regalie (com’è la sua vera finalità, oggi in parte distorta), un buono spesa che sia destinabile alla generalità o categorie di lavoratori e che  possa essere utilizzato solo per acquisto di generi di prima necessità (alimentari, igiene di persona e casa, anche carburanti, pagamento bollette etc.) il cui elenco potrebbe essere via via aggiornato dai Ministeri economico-finanziari.

 

Una misura stabile, almeno per i prossimi anni, con un valore discreto (se si volesse partire, possono andar bene anche i 200 euro del buono benzina, ma si potrebbe fare anche di più, io ipotizzerei almeno il doppio), destinata solo a determinate soglie di reddito (si potrebbe prendere come riferimento quella del premio di risultato, o anche minore) cioè destinato alle fasce meno abbienti e non concesso indiscriminatamente a tutti.

La spendibilità finalizzata sarebbe assicurata da sanzioni, anche pesanti fino alla chiusura dell’attività in caso di frode accertata, verso quegli esercizi o quei soggetti che di tali voucher facessero incetta o scambio, come talvolta è capitato di osservare in alcune inchieste giornalistiche che hanno documentato tale mercimonio di benefit e/o prestazioni di sostegno.

 

Tale misura economica, facilmente realizzabile, porterebbe anche ad una riflessione, che da tempo invochiamo, sul valore ed il vero significato del welfare. Che è quello, anche e forse soprattutto, di un aiuto concreto, (che nei benefici fiscali incontra un incentivo all’aiuto) e che è abbastanza distante, a parere dello scrivente, da certi trattamenti deluxe che con l’attenzione alle persone e ai loro bisogni hanno ben poco a che fare. Con un welfare da 40.000 euro per un mega-dirigente (non dite che non li avete mai visti) si possono aiutare un po’, allo stesso costo per lo Stato, 200 lavoratori. Non si vuole qui certo propugnare un demagogico “meno spa, più pane”, il wellness e la cultura hanno un loro indiscutibile valore, così come l’incentivazione dei talenti, ma di fronte a tanto welfare ludico, in un momento delicato, recuperare anche un welfare più concreto e vicino ai bisogni sposterebbe l’attenzione sulle necessità reali, con misure più mirate e senza interventi a pioggia ed indiscriminati, portatori anche (come abbiamo detto all’inizio) di diversi effetti indesiderati.

 

Andrea Asnaghi

Consulente del lavoro

ADAPT Professional Fellow

@AsnaghiAndrea

Le ombre del buono benzina: una proposta alternativa in tema di welfare
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