Verso il futuro del lavoro: indicazioni e spunti da un report del MIT/2

ADAPT - Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro
Per iscriverti al Bollettino ADAPT clicca qui
Per entrare nella Scuola di ADAPT e nel progetto Fabbrica dei talenti scrivi a: selezione@adapt.it

Bollettino ADAPT 7 dicembre 2020, n. 45

 

Costruire il futuro del lavoro è la sfida e l’opportunità del presente, guidando e plasmando il progresso per metterlo al servizio di tutta la società. A tale riguardo, il report The Work of the Future: Building Better Jobs in an Age of Intelligent Machines, nella convinzione che le persone ricoprano ancora un ruolo centrale in questo compito, delinea tre punti per riassestare l’equilibrio tra l’evoluzione tecnologica, la crescita della ricchezza da essa generata e condizioni di lavoro adeguate e dignitose per tutti. Nonostante la ricerca sia concentrata sugli Stati Uniti, le riflessioni avanzate risultano interessanti anche per una riflessione a più ampio raggio che tocca anche l’Europa e il resto del mondo. In primo luogo, è necessario rafforzare i percorsi formativi per riqualificare i lavoratori (in particolare coloro che sono più vulnerabili) in funzione delle nuove competenze rese necessarie dall’innovazione e dai nuovi modelli organizzativi. In secondo luogo, è importante investire sulla qualità del lavoro, rafforzando i sistemi di protezione sociale, stabilendo un salario minimo federale equilibrato e riaffermando la centralità della contrattazione collettiva come forma di partecipazione dei lavoratori alle decisioni aziendali. Infine, è cruciale implementare gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo così da favorire un maggiore benessere per la società.

 

Come mostrato nel precedente articolo di commento a questo report, gli ultimi quarant’anni sono stati caratterizzati da una netta divergenza tra la crescita della produttività, aumentata enormemente, e la crescita dei salari della maggioranza dei lavoratori, rimasti pressoché stagnanti. Pertanto, di fronte a queste diseguaglianze, gran parte della classe lavoratrice media americana ha associato all’idea di progresso e innovazione tecnologica il rischio di trovarsi sostituiti dalle macchine nelle proprie attività e di essere messi ai margini del mercato del lavoro. Timori che hanno preso ancora più vigore a seguito degli effetti drammatici della pandemia. Compito del report è anche quello di invertire questa tendenza, mostrando come sia possibile che dall’innovazione si generi progresso per tutti.

 

Ad ogni modo, le nuove frontiere tecnologiche in molti casi sembrano essere ancora lontane dal poter diventare di sistema, lasciando quindi un periodo di transizione in cui occorre agire per prepararsi al cambiamento. Per tale ragione, è importante che venga adoperato dalle imprese un approccio bottom-up, dando la possibilità direttamente ai lavoratori di prendere confidenza con gli strumenti e di adoperare le nuove tecnologie al fine di migliorare le proprie attività. È quanto avviene in un’azienda americana menzionata dalla ricerca, dove è stato istituito un ‘Robotic Experience Centre’ in cui ingegneri e operai possono lavorare insieme sulla linea di produzione dando spazio a nuove idee e adoperandole laddove si rivelino efficaci, migliorando quindi le mansioni di chi lavora in fabbrica e al contempo aumentando la produttività.

 

Per fare in modo che esperienze come questa possano diventare di sistema e che della ricchezza generata dall’innovazione ne possa beneficiare la maggioranza dei lavoratori è necessario che le istituzioni formative e del mercato del lavoro agiscano in modo sinergico e complementare così da poter accompagnare e gestire le trasformazioni, dando forma al progresso e valorizzando capacità prettamente umane quali la destrezza fisica, l’interazione sociale e la capacità di giudizio che nessuna intelligenza artificiale riesce ancora a sostituire. Come affermato dal report, in ogni società vengono stabilite delle regole e delle norme, più o meno rigide, che regolano i rapporti di lavoro. In particolare, alcuni paesi europei, come la Danimarca, vengono considerati esempi virtuosi in cui vi è una collaborazione attiva tra tutti gli stakeholder per l’implementazione di un modello di gestione del mercato del lavoro a basso costo, ad alta dinamicità e con un elevato livello di protezione sociale per combattere la disoccupazione e l’obsolescenza delle competenze.  Gli Stati Uniti dovrebbero invece implementare il coordinamento tra i diversi livelli istituzionali per ciò che riguarda lo sviluppo della forza lavoro, delle competenze e di un sistema di informazione affidabile che mostri lo stato reale del mercato del lavoro, favorendo una collaborazione virtuosa tra i governi, le istituzioni formative e le imprese. A tale riguardo, le proposte del report sulla formazione dei lavoratori, sulla qualità del lavoro e sul ruolo degli investimenti pubblici possono rappresentare quel cambio di rotta necessario per valorizzare al meglio il potenziale innovativo degli Stati Uniti e per contrastare la polarizzazione della ricchezza.

 

In primo luogo, l’innovazione tecnologica rende necessario ai lavoratori rafforzare le proprie competenze di base e, al tempo stesso, formare e aggiornare continuamente quelle specifiche alla loro attività. La formazione è quindi un tema cardine che il report prende in analisi osservandola da tre prospettive: la formazione in azienda, il ruolo delle istituzioni formative e l’utilizzo delle piattaforme di e-learning. Per quanto riguarda la prima dimensione formativa, la ricerca mostra come solo il 50% dei lavoratori frequenta percorsi di formazione in azienda, mentre un 20% segue in autonomia altri percorsi formativi al di fuori della realtà aziendale, spesso online. Inoltre, si conferma una bassa percentuale di coinvolgimento in questi percorsi dei lavoratori a basso reddito e a basso livello di istruzione, creando quindi un’ulteriore polarizzazione. Considerando il costo che in molti casi comporta la formazione, il report evidenzia la necessità di sostenere, anche attraverso equilibrati incentivi fiscali, le spese delle aziende.

 

Se è vero che le imprese rappresentano un luogo di crescita importante per le capacità dei dipendenti, la formazione trova ampio campo anche al di fuori della realtà aziendale. I community college (centri di formazione professionale della durata di 2 anni), ad esempio, svolgono un importante ruolo formativo per circa 7 milioni di studenti all’anno, fornendo percorsi ad alta formazione tecnica e specifica. Queste istituzioni spesso sono il perno di tavoli di lavoro composti da imprese e istituzioni governative al fine di incentivare lo sviluppo delle competenze più richieste sul mercato. Protagonisti di queste partnership sono anche Google, Amazon e IBM attraverso alcuni progetti che mirano a coinvolgere direttamente gli studenti. Tuttavia, il livello della qualità e del tasso di completamento dei corsi non è sempre omogeno in ognuno dei circa 1,100 community college presenti negli Stati Uniti. Ragione per cui vi è la necessità di sostenere queste istituzioni sia a livello finanziario sia a livello di strutture tecnologiche e di partnership, creando dei canali di confronto e comunicazione tra queste realtà formative e le imprese.

 

Un altro percorso formativo, su cui anche in Europa si pone grande attenzione, è quello dell’apprendistato. Negli Stati Uniti questo strumento viene spesso adoperato nelle scuole, seppur in modo non sistematico, all’interno dei Career & Technical Education courses (CTE), ossia percorsi di formazione specifica integrati al programma della scuola secondaria. La caratteristica principale dell’apprendistato è infatti quella di coniugare un’esperienza lavorativa con la formazione didattica di tipo tradizionale, acquisendo e consolidando nella pratica competenze fondamentali per il mercato del lavoro e per il lavoratore. Come riportato dalla ricerca, l’utilizzo di questi strumenti in Germania e Danimarca ha supportato enormemente il lavoro delle istituzioni per la formazione di una forza lavoro competente per le imprese, aumentando anche il livello di inclusione di coloro che sono più vulnerabili nel mercato del lavoro. Un esempio virtuoso degli Stati Uniti ripreso dal report è il programma di apprendistato della South Carolina, dove, dal 2007 ad oggi, sono stati registrati numerosi percorsi di questo genere e sono stati coinvolti tutti e 16 gli istituti di formazione tecnica dello Stato. Questo strumento ha permesso quindi una maggiore corrispondenza tra il mondo delle imprese e il mondo della formazione, nonché la possibilità di fornire un’adeguata certificazione delle competenze possedute, tema cruciale per agevolare la trasparenza del mercato del lavoro e l’incontro tra la domanda e l’offerta.

 

Altre forme di collaborazione riguardano gli investimenti in programmi formativi sostenuti dai governi federali insieme al settore privato al fine di sviluppare percorsi di apprendimento per specifiche competenze. Nella ricerca viene riportato il The Case of Boston il quale rappresenta un modello di cooperazione tra enti pubblici e privati per il sostegno alla formazione e all’occupazione. Fin dal 1970 infatti il governo federale e alcune aziende operanti nel settore high-tech sono impegnati nel progetto Bay State Skills Corporation che permette di finanziare numerosi percorsi di sviluppo delle competenze più richieste nel settore.

 

Infine, il Covid-19 ha accelerato notevolmente la crescita dei sistemi di e-learning, abbattendo i confini dei tradizionali spazi fisici in cui è possibile formarsi e acquisire competenze. Nuove forme di insegnamento online, come i MOOCs (Massive Open Online Courses), hanno registrato a livello globale circa 100 milioni di persone iscritte dal 2012 ad oggi. Questi strumenti stanno divenendo un punto di riferimento anche nelle aziende per la continua formazione dei propri dipendenti. Tra tutte, IBM permette ai propri lavoratori di accedere gratuitamente a piattaforme di e-learning avendo anche la possibilità di consultare un “passaporto delle competenze” per monitorare costantemente il proprio status. Queste attività online possono quindi essere uno strumento utile per quei lavoratori che necessitano di riqualificare le proprie competenze in tempi più brevi attraverso una concentrazione dei contenuti. La grande diffusione di questi sistemi negli ultimi anni fa pensare che diverranno sempre più centrali nei processi di acquisizione delle competenze nel futuro del lavoro, rimanendo comunque complementari ad una dimensione di accompagnamento in presenza. Pertanto, sarà necessario che la transizione venga sostenuta dalle istituzioni per un accesso sempre più agevolato e su larga scala.

 

Un’altra priorità su cui il report pone l’attenzione è quella di migliorare la qualità del lavoro, non solo di coloro con un alto livello di istruzione e di competenze ma soprattutto di coloro che sono impiegati in attività più modeste e a basso reddito. È infatti quest’ultima categoria di lavoratori che più di tutte ha subito le distorsioni di una crescita della ricchezza che non è poi stata equamente distribuita nella società. Per ritrovare una dimensione di equilibrio è fondamentale che vengano implementate alcune riforme volte ad innovare il mercato del lavoro: ricalibrare il salario minimo federale ad almeno il 40% del salario medio nazionale, tenendo conto dell’inflazione; modernizzare il sistema di assicurazione contro la disoccupazione; rafforzare la contrattazione collettiva, garantendo la rappresentanza a tutti i lavoratori. Per quanto riguarda il primo punto, il report rivela come sia necessario intervenire sui salari minimi poiché il valore reale di quest’ultimi è rimasto pressoché invariato dal 1950. Un intervento equilibrato favorirebbe infatti la sostenibilità economica e sociale di molti lavoratori, andando a incidere in maniera pressoché irrilevante sull’occupazione. In secondo luogo, occorre che vengano modernizzati i sistemi di protezione sociale per combattere la disoccupazione. La pandemia ha infatti rivelato l’inadeguatezza del sistema di unemployment insurance americano, il quale, a causa di requisiti economici molto stringenti basati sulla ricchezza guadagnata e poco sulle ore lavorate, non permette a molti lavoratori a basso reddito di accedere alla misura. Infine, per poter far sì che la maggioranza dei lavoratori sia realmente rappresentata e possa avere voce all’interno dei processi di trasformazione dei luoghi di lavoro anche per l’innesto delle nuove tecnologie, è necessario riformare il National Labor Relations Act del 1935. Per fare ciò occorre anche un cambiamento culturale che porti a considerare i lavoratori come stakeholder dell’azienda, promuovendo quindi la loro partecipazione nelle decisioni riguardanti le strategie aziendali e dando a tutti loro la possibilità di essere rappresentati.

 

L’ultima proposta di policy del report riguarda invece il ruolo dell’innovazione e degli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo. Quest’ultimi sono fondamentali poiché permettono di affrontare in una prospettiva di lungo periodo problemi di ampio raggio nella società, come il cambiamento climatico, l’assistenza sanitaria o la stessa trasformazione tecnologica. Storicamente gli investimenti in questo campo hanno permesso agli Stati Uniti di guidare il progresso mondiale e industriale lungo le grandi trasformazioni dello scorso secolo. Tuttavia, a seguito della grande divergenza degli ultimi quarant’anni, è fondamentale che essi vengano concentrati non solo nell’acquisto e la produzione di nuovi macchinari, ma anche nella formazione dei lavoratori che dovranno utilizzarli e nel supporto alle aziende più piccole per sostenere i costi della trasformazione tecnologica nei diversi settori. È attraverso la promozione di questa visione di innovazione che la società e la maggioranza dei lavoratori potranno tenere il passo della crescita e del progresso, senza che sia soltanto un gruppo ristretto di persone a godere dei suoi benefici.

 

Tommaso Galeotto

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

Università degli Studi di Siena

@TommasoGaleotto

 

Verso il futuro del lavoro: indicazioni e spunti da un report del MIT/2
Tagged on: