Verso il futuro del lavoro: indicazioni e spunti da un report del MIT/1

ADAPT - Scuola di alta formazione sulle relazioni industriali e di lavoro
Per iscriverti al Bollettino ADAPT clicca qui
Per entrare nella Scuola di ADAPT e nel progetto Fabbrica dei talenti scrivi a: selezione@adapt.it

Bollettino ADAPT 30 novembre 2020, n. 44 

 

Il progresso tecnologico e l’automazione sono al centro del dibattito che riflette su quali siano gli effetti della sempre più consistente presenza delle macchine e dell’intelligenza artificiale nei luoghi di lavoro. La recente pubblicazione The Work of the Future: Building Better Jobs in an Age of Intelligent Machines a cura di David Autor, David Mindell e Elisabeth Reynolds affronta questi argomenti, cercando di comprendere le realistiche aspettative di questa trasformazione.

 

A seguito di oltre due anni di ricerche della task force del MIT sul mercato del lavoro degli Stati Uniti e sul progresso delle nuove tecnologie, viene definita come distopica l’immagine che vede le macchine sostituire l’uomo nella gran parte delle attività lavorative, rendendo superfluo il suo impiego. Tuttavia, se le previsioni riguardo a questa ipotesi vengono smentite, emerge un altro problema, altrettanto cruciale, con cui il mercato del lavoro, le istituzioni e il nostro modello di sviluppo devono fare i conti: la ricchezza che è stata prodotta negli ultimi quarant’anni, grazie anche ad una forte capacità di innovazione, non è stata equamente distribuita, rafforzando la narrazione che il progresso tecnologico sia fonte di ricchezza per pochi a discapito delle condizioni sociali e lavorative di molti. Sarebbe semplicistico affermare che questa dimensione di diseguaglianza sia stata l’inevitabile conseguenza della digitalizzazione del lavoro, del progresso tecnologico e della globalizzazione. Questi elementi hanno certamente giocato un ruolo chiave, ma la causa fondamentale va identificata nell’erosione delle istituzioni del mercato del lavoro e nel mancato successo di gestione di questi cambiamenti.  

 

È evidente come il progresso tecnologico abbia permesso all’uomo di liberarsi di molti lavori usuranti e rischiosi e di permettere alla maggioranza delle persone adulte nei paesi industrializzati di avere accesso a lavori ben retribuiti. Inoltre, lo sviluppo dell’automazione e della tecnologia non ha portato alla disoccupazione di massa ma ha favorito l’emergere di nuovi lavori, come nel campo delle energie rinnovabili, e l’aumento della produttività di altri. Ad esempio, gli architetti, grazie ai nuovi sistemi informatici, possono velocizzare e migliorare i loro progetti, gli insegnati possono tenere le lezioni anche a distanza grazie alla teledidattica e i sistemi cloud permettono chi lavora nel trasporto merci di monitorare costantemente lo stato della propria missione. Secondo alcuni dati del report, il 63% delle nuove professioni nel 2018 non era ancora presente nel 1940.

 

L’emergere di nuovi lavori non si è verificato solo nel settore “high-tech” ma anche nel campo dei servizi alle persone. Questa trasformazione è stata sicuramente incentivata dalla nuova domanda di consumi come anche dai grandi investimenti in ricerca e sviluppo fatti dagli Stati Uniti nella seconda metà del XX secolo. La grande rivoluzione del computer e di internet avvenuta tra gli anni Ottanta e Novanta, come anche l’attuale progresso dell’intelligenza artificiale e della robotica, sono infatti il frutto degli investimenti a lungo termine fatti da agenzie pubbliche come la DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency). Un altro elemento importante del progresso tecnologico e dell’automazione è che permettono l’incremento della produttività favorendo una crescita della ricchezza nell’economia che si traduce in maggiori consumi di beni e servizi, aumentando quindi la richiesta di forza lavoro.

 

Pertanto, se da una parte alcuni settori, come l’agricoltura e la manifattura, hanno subito più di altri la trasformazione del lavoro con il passaggio dall’industria pesante dei primi decenni del XX secolo, all’emergere dell’industria high-tech nel dopoguerra fino alla rivoluzione tecnologica dell’informazione degli ultimi decenni del XX secolo, dall’altra parte la storia ci mostra come il sorgere di nuove forme di occupazione tenda ad avvenire simultaneamente al tramonto di altre. Tuttavia, seppur non venga confermata l’idea di una completa sostituzione del lavoro umano ad opera delle macchine, né tanto meno di una cancellazione tout court di alcuni posti di lavoro, non si può neanche sottovalutare il delicato passaggio della transizione a nuove occupazioni e a nuovi modelli di organizzazione e produzione. Come più volte ribadito dal report, la trasformazione messa in atto dall’innovazione e dagli sviluppi tecnologici necessità di essere governata e accompagnata, facendo sì che i danni collaterali, seppur inevitabilmente presenti, abbiano un impatto minimo sulla società e i lavoratori, permettendo a coloro che più sono colpiti dai cambiamenti di reinserirsi nel nuovo mercato del lavoro con le competenze e la formazione necessaria. Le nuove tecnologie, pur avendo un forte impatto innovativo, spesso richiedono diversi anni prima di essere commercializzate, inserite nei modelli di business e adottate all’interno dei luoghi di lavoro. È in questo arco di tempo che è necessario intervenire con le dovute regolamentazioni e investimenti in formazione per far sì che la ricchezza e i vantaggi provenienti dal progresso tecnologico possano essere beneficiati dalla maggioranza dei lavoratori e non accentrarsi solo in un gruppo ristretto della popolazione.

 

Al contrario di questa previsione, il quadro che negli ultimi quarant’anni è venuto a comporsi è quello di una società fortemente polarizzata sia in termini economici sia in termini sociali e geografici. L’aumento dei salari della maggioranza dei lavoratori statunitensi è rallentato fortemente di fronte alla crescita generale della produttività. Le conseguenze sociali di questa divergenza hanno portato a una maggiore insicurezza economica per coloro con un basso livello di istruzione (non-college workers), ad una diminuzione della partecipazione alla forza lavoro, ad un aumento sproporzionato della differenza salariale tra i vari livelli professionali e ad una forte diseguaglianza tra le minoranze, sia in termini di retribuzione sia in termini di livelli occupazionali. Il 1980 ha segnato un punto di rottura con quella che era stata una crescita salariale e produttiva simultanea e condivisa. A questo riguardo, i dati riportati dalla ricerca mostrano come tra il 1948 e il 1978 la produttività lavorativa sia aumentata del 108%, con un tasso di crescita annuale del 2,4%, e nello stesso periodo la retribuzione media dei lavoratori (Production and Non-supervisory) sia cresciuta del 95%. Dagli anni Ottanta in avanti si è però assistito ad un forte disallineamento. Tra il 1978 e il 2016 la produttività è aumentata di un ulteriore 66% mentre la crescita dei salari dei lavoratori è stata appena del 10%. 

 

All’interno di questa grande divergenza generalizzata la ricerca riporta la presenza di ulteriori diseguaglianze tra la classe lavoratrice americana bianca e le minoranze ispaniche e afroamericane, in entrambi i generi. I dati evidenziano come il salario orario mediano dei lavoratori bianchi abbia visto un incremento del 7% a fronte di quello delle minoranze afroamericane e ispaniche che è stato appena del 1% e del 3%. Anche tra le donne si è verificata questa disparità con un aumento del salario orario mediano del 42% per le lavoratrici bianche e solo del 25% e del 26% per le lavoratrici afroamericane e ispaniche. Un altro scenario di diseguaglianza si è registrato tra i lavoratori con un alto livello di istruzione (college e post-college) e i lavoratori con un basso livello di istruzione (non-college). I dati dicono di un aumento dei salari, per i primi, dal 25% al 50% tra il 1980 e il 2017 e di una diminuzione, per i secondi, dal 10% al 20% nello stesso periodo.

 

Questa cicatrice si riflette anche nella forte polarizzazione che si è verificata tra i lavori tradizionalmente ad alto reddito e quelli a basso reddito, a discapito di quei lavori con una posizione salariale intermedia. Questi ultimi sono stati particolarmente svantaggiati dalla forte digitalizzazione del lavoro che ha reso sempre più necessarie competenze cognitive e intellettuali e sempre più superfluo l’impiego delle persone in attività amministrative di base, che potevano essere più efficientemente svolte dalle macchine. Per questi lavoratori con un livello medio di istruzione, i lavori manuali e di servizio sono quindi diventati la categoria di riferimento. Infatti, in molte di queste mansioni la necessità di avere la presenza fisica e di comunicare e relazionarsi di persona non può essere sostituita del tutto dalle macchine. Tuttavia, come affermato dal report, il declino della forza lavoro intermedia non porterà alla sua cancellazione, piuttosto bisognerà capire come fornirle un’idonea formazione che la renda in grado di svolgere le nuove mansioni che nasceranno e che non richiederanno un elevato livello di preparazione specifica. Infine, la diseguaglianza negli Stati Uniti ha assunto anche una dimensione geografica. Se siamo stati abituati a riconoscere la tradizionale opposizione tra le aree urbane e quelle rurali, gli ultimi decenni sono stati caratterizzati, oltre che da un rallentamento della mobilità sociale e intergenerazionale, anche da una crescente disparità di opportunità e guadagno all’interno dei grandi centri cittadini, dove, ancora una volta, le minoranze ispaniche e afroamericane, indipendentemente dal livello di istruzione, hanno pagato il prezzo più caro.

 

A fronte del quadro appena descritto occorre comprendere quali siano state le cause e quale possa essere la strada per il riscatto. Come sostenuto nel report, sarebbe semplicistico assegnare la colpa al progresso e al sistema di innovazione americano senza riconoscerne lo straordinario potenziale. Gli Stati Uniti hanno infatti guidato il mondo lungo il XX secolo e le sue grandi trasformazioni tecnologiche e produttive. Inoltre, la ricerca mostra come la grave diseguaglianza economica e sociale di cui abbiamo parlato si riferisca a tempi recenti, dimostrando quindi la debolezza dell’ipotesi che la “grande divergenza” tra crescita della produttività e aumento dei salari sia stata la conseguenza inevitabile dei processi di innovazione. Non c’è dubbio che la tecnologia abbia accelerato le tappe del cambiamento del mercato del lavoro e della domanda di competenze. L’avvento dei computer e di internet ha fatto sì che i lavoratori ad alto livello di istruzione diventassero più produttivi, lasciando indietro coloro che svolgevano attività lavorative con un maggiore grado di ripetibilità e quindi soggette all’automazione delle macchine. Infine, la digitalizzazione ha permesso a un gruppo ristretto di persone, meritevoli di avere avuto idee innovative, di accumulare una ricchezza enorme, accentuando ancora di più l’immagine della polarizzazione. Il commercio internazionale e la globalizzazione hanno anche loro in parte contribuito alla crescita delle diseguaglianze.

 

Quanto emerge da queste riflessioni, è che davanti a queste grandi trasformazioni la crescita delle diseguaglianze, più che essere stata una conseguenza inevitabile, sia stata il frutto della mancanza di una adeguata protezione sociale ed economica da parte delle istituzioni nei confronti di quei lavoratori che, più di tutti, avevano subito gli effetti negativi dei grandi cambiamenti lavorativi e produttivi. Negli ultimi decenni le basi sindacali hanno visto indebolire la propria capacità negoziale sul livello di crescita dei salari in relazione alla crescita della produttività, causando quindi una diminuzione del potere d’acquisto per molte persone. Tra il 1979 e il 2017 il margine di lavoratori coperti da contrattazione collettiva è passato dal 26% al 12%, ponendo gli Stati Uniti tra i posti più bassi nel confronto con gli altri paesi industrializzati. 

 

Alla radice di questo crollo il report richiama brevemente a situazioni di tensione interne al sindacato, alla riduzione della base di lavoratori nel settore manifatturiero e all’inadeguatezza della struttura della contrattazione collettiva americana, definita dal Wagner Act del 1935, nell’adattarsi ai rapidi cambiamenti del lavoro e a un’economia sempre più fondata sui servizi. In secondo luogo, il report evidenzia come il valore reale del salario minimo federale americano sia rimasto essenzialmente invariato tra il 1950 e il 2020. Ciò ha avuto effetti negativi sulla diseguaglianza salariale e ha rallentato la crescita dei guadagni per i lavoratori a basso salario negli Stati Uniti. Inoltre, la mancata attuazione, da parte del Congresso degli Stati Uniti, di politiche sociali e del lavoro al passo con la nuova dimensione dell’economia ha lasciato i lavoratori più a rischio sguarniti di adeguate protezioni come l’accesso ad assicurazioni sanitarie a prezzi agevolati e a strumenti di sostegno al reddito. Le istituzioni, inoltre, non sono state in grado di estendere le convenzionali protezioni sociali anche alle nuove forme di contratto nate in un contesto economico caratterizzato dai servizi e dall’utilizzo della rete e delle piattaforme digitali (gig workers).

 

La domanda se gli Stati Uniti avrebbero potuto fare meglio nella gestione di queste trasformazioni sorge spontanea. In molti sostengono che la diseguaglianza sia una condizione necessaria per mantenere un’economia dinamica, un’alta mobilità sociale e una forte crescita. Tuttavia, come si evince dal report, gli Stati Uniti stanno ottenendo ben poco in cambio di questa condizione di forte disparità, tra le peggiori nei paesi industrializzati. Alla luce di un mercato del lavoro così diseguale vi è quindi la necessità di ritrovare un equilibrio tra il progresso tecnologico e la crescita della produttività con le condizioni sociali ed economiche dei lavoratori, ai quali le istituzioni devono poter garantire la giusta protezione e il giusto affiancamento nei processi di transizione. Soltanto in questo modo il grande potenziale dell’innovazione potrà sprigionare i suoi benefici a favore di tutti.

 

Tommaso Galeotto

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

Università degli Studi di Siena

@TommasoGaleotto

 

Verso il futuro del lavoro: indicazioni e spunti da un report del MIT/1
Tagged on: