Se il tirocinio perde la sua identità formativa

Interventi ADAPT

| di Francesco Seghezzi, Michele Tiraboschi

Bollettino ADAPT 5 maggio 2025, n. 17

Non pare essere ancora arrivata in Italia l’eco della discussione che sta avvenendo in Europa in merito ai tirocini. Il riferimento è alla proposta di direttiva “volta a garantire condizioni di lavoro di qualità per i tirocinanti e a contrastare i rapporti di lavoro regolari camuffati da tirocini”. Eppure, nelle ultime settimane la discussione è entrata nel vivo nelle commissioni competenti del Parlamento Europeo dove la proposta è partita esattamente un anno fa.

Il tema è tanto più importante per il nostro Paese se si considera che, dopo gli interventi della legge di Bilancio del 2022 che hanno abolito quanto previsto dalla Legge Fornero in materia, viviamo oggi un parziale vuoto normativo su un istituto che pur riguarda oltre 300mila persone, in larga parte giovani. Allo stesso tempo, guardando i dati, è anche evidente che i tirocini stanno vivendo un momento discendente dopo la grande esplosione di dieci anni fa, anche se questo calo non ha, almeno finora, rafforzato il contratto di apprendistato, che nel nostro Paese subisce, più che altrove, la concorrenza diretta degli stage, meno onerosi e di più facile impiego per le imprese.

Il calo dei tirocini si spiega, da un lato, per una contrazione dell’offerta di lavoro data dal ridursi delle coorti anagrafiche più giovani che garantisce a loro un maggior potere contrattuale, il che li porta ad essere più scettici nell’accettare una proposta poco attraente soprattutto in termini economici. Ma il tirocinio extra-curricolare stesso è ormai conosciuto dai più giovani come strumento che, purtroppo, ha una componente formativa nulla o quantomeno bassa, con piani formativi che non sono costruiti intorno ai profili professionali che si vorrebbero o dovrebbero costruire, dando origine a gravi abusi nel suo utilizzo.

Proprio queste ultime considerazioni hanno portato la Commissione alla proposta di direttiva, ma la direzione che questa sta prendendo sembra portare verso una eterogenesi dei fini. Nel recente parere della Commissione per la cultura e l’istruzione del Parlamento Europeo, ad esempio, si propone di creare maggiori tutele per i tirocinanti rendendo i tirocini un contratto di lavoro vero e proprio, seppure di breve durata e con un trattamento retributivo obbligatorio seppure inferiore a quello ordinario. L’oggetto degli interventi prospettati in Europa non avrebbe quindi più l’obiettivo di rafforzare (e rendere effettiva) la dimensione formativa dell’istituto, che è la sua caratteristica principale e rispetto alla quale nascono gli abusi di chi appunto usa il tirocinio come contratto di inserimento a basso costo. La proposta di direttiva tirocini si accontenterebbe dunque di monetizzare questi abusi rendendo il tirocinio, anche quando inserito in un percorso di formazione formale o di politica attiva del lavoro, un breve e poco pagato contratto di ingresso nel mercato del lavoro.

In realtà ci sarebbero molte azioni utili per salvaguardare, nel nostro Paese, lo strumento ma occorrerebbe raggiungere un nuovo accordo in conferenza Stato e Regioni, dopo il superamento della regolazione promossa tramite la legge Fornero, ora abrogata sul punto. Nulla vieta, per esempio, di introdurre anche in Italia un contratto incentivato di inserimento al lavoro, come fatto in passato con la legge Biagi, così da separare veri e proprio rapporti contrattuali da esperienze formative e di alternanza vuoi in apprendistato vuoi mediante tirocini valorizzati soprattutto nella loro dimensione curriculare cioè in stretto raccordo con scuole, università e centri di formazione. Si potrebbero, ad esempio rafforzare i meccanismi di certificazione della formazione effettivamente svolta; investire con incentivi sulla figura chiave dei tutor; selezionare e qualificare i soggetti che sono ammessi alla promozione di percorsi di formazione in tirocinio; immaginare infine una restrizione per i tirocini extra-curriculari che non vengono promossi direttamente dalle istituzioni formative. Il vero tassello critico per la qualità dei percorsi di integrazione tra formazione e lavoro ci pare però capacità di coinvolgere, su basi paritarie e non come spettatori passivi, gli attori delle relazioni industriali nella loro costruzione così da garantire una maggiore integrazione tra la componente formativa e i contesti produttivi e di lavoro dove questa formazione può effettivamente svilupparsi.

Francesco Seghezzi
Presidente ADAPT
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Michele Tiraboschi
Professore Ordinario di diritto del lavoro
Università di Modena e Reggio Emilia
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pubblicato anche su Il Sole 24 Ore, 24 aprile 2025