Politically (in)correct – Ritorno a Crotone

Bollettino ADAPT 30 maggio 2022, n. 21

 

Era ormai pomeriggio inoltrato di un giorno di ottobre del 1969. La Direzione della Fiom aveva trovato ospitalità nel palazzo color salmone della Cgil a Corso Italia, essendo, nella sede storica di Via del Viminale, in corso delle ristrutturazioni. Per motivi di spazio noi della segreteria e dell’apparato politico e tecnico eravamo distribuiti su tre piani. I componenti dell’Ufficio d’organizzazione di cui facevo parte anch’io, erano riuniti in uno degli uffici più grandi. Stavamo discutendo dei programmi di presenza sul territorio a sostegno della piattaforma rivendicative e delle lotte (le trattative si erano incorrette dopo il primo incontro e gli scioperi sarebbero cessati solo a conclusione dell’accordo, ancorché in presenza di nuove convocazioni), quando ci raggiunse una delle segretarie informandoci che da Crotone avevano telefonato ancora una volta per chiedere che un dirigente della Fiom si recasse lì il mattino dopo per svolgere il comizio in occasione dello sciopero generale, proclamato dalle strutture territoriali. Pio Galli, il responsabile del settore, scoppiò in una delle sue tirate moralistiche da ex operaio del Caleotto: “Se ci fosse una richiesta proveniente da Torino o da Milano – disse – si sarebbe formata una fila di compagni disposti ad andarci. A Crotone non vuole andare nessuno”. Poi aggiunse minaccioso: “faccio io una proposta: ci va Cazzola”. La segretaria uscì a dare l’annuncio alla CdL di Crotone, mentre il sottoscritto – che in vita sua non era mai sceso al di sotto di Roma – rimase annichilito a pensare alle ore che lo attendevano.

 

In verità Galli era stato un giustiziere un po’ opportunista, visto che se l’era presa con me che pure essendo membro di quella storica segreteria nazionale, ero anche l’ultimo arrivato. Come Dio volle mi trovarono un volo da Ciampino alle 22:00 circa che mi avrebbe portato a Crotone (dove si trovava una sola fabbrica metalmeccanica di un certo rilievo) in tempo per parlare la mattina dopo. Viaggiare in aereo era un lusso. La regola era il treno in seconda classe. Ma anche allora “ad impossibilia nemo tenetur”. Di buon’ora, la mattina seguente fui svegliato dagli altoparlanti di automobili che giravano per la città annunciando lo sciopero generale a colpi di slogan nei quali erano elencate – pur nella loro genericità – rivendicazioni ataviche, ripetute come un’implacabile giaculatoria. Pensai tra me e me: “Il solito sciopero polverone”. E compresi presto che la scaletta del comizio che poche ore dopo avrei dovuto svolgere non sarebbe stato compreso da nessuno perché sarei entrato nei dettagli di una piattaforma rivendicativa pensata per altri luoghi di lavoro ed altri lavoratori. Ma non voglio farla troppo lunga su quel mio battesimo del fuoco. Ci tenevo a raccontare l’esperienza di Crotone, perché la stessa impressione di quella mattina derivante dal gracchiare degli altoparlanti, l’ho provata il 16 dicembre dell’anno scorso nel leggere il carnet recante i motivi dello sciopero generale proclamato da Cgil e Uil. Nel 1969 avevo 28 anni; oggi ne ho già compiuti 81.

 

La mia vita nella Cgil (e alla direzione di importanti strutture e categorie) è proseguita, dopo Crotone, per quasi un trentennio. Ma non ho mai smesso di seguire con interesse le vicende sindacali. Le Confederazioni sindacali sono come delle Chiese. Chi vi è stato Cardinale e che si è ritirato per tanti motivi, compresa l’età, ha conosciuto le Eminenze di oggi quando ai suoi tempi erano ancora dei parroci di campagna o non erano ancora usciti dal Seminario. Sono in grado pertanto di testimoniare che l’aver riprovato il 16 dicembre del 2021 le medesime sensazioni con le quali mi svegliai in quel mattino dell’autunno caldo a Crotone non è la conseguenza di un immobilismo durato tanti decenni, ma il segno di una decadenza. Se fossi chiamato a rappresentare con un grafico questa mia convinzione il diagramma sarebbe identico a quello di una tappa di montagna al Giro d’Italia, con picchi e flessi più volte ripetuti. Così si spiega come – sia pure restando tra loro distanziati sull’asse delle ascisse – lo sciopero di Crotone del 1969 sia al medesimo livello dell’astensione dal lavoro del 16 dicembre 2021. Con una differenza sostanziale: che da Crotone la linea del diagramma cominciò a salire; l’anno scorso invece raggiungeva il punto più basso dopo una lunga discesa (intervallata con un picco in occasione dell’aprile 2020 quando i sindacati sottoscrissero i patti per la sicurezza durante l’emergenza sanitaria).

 

Certo dal 16 dicembre in avanti il diagramma riguardante il sindacato si è diviso: una delle due linee segnala il percorso della Cgil insieme alla Uil; l’altra quello della Cisl. Le distanze presentano ancora uno scostamento ridotto (anzi in materia di pensioni le due linee si intersecano), ma proseguendo, si allargano, fino a rivelare una divaricazione netta nel corso del XIX Congresso della Cisl, in occasione del quale lo sgarbo di Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri, ha denotato un dissenso di fondo di fronte alla principale proposta della confederazione di via Po e al suo segretario Luigi Sbarra, che ne aveva fatto il perno della sua relazione istituzionale.

 

Dal punto di vista strutturale – ha sostenuto Sbarra in uno dei passaggi cruciali della relazione –serve invece una nuova politica dei redditi, che sia suggellata da un Accordo triangolare in cui Sindacato, mondo delle imprese e Governo si trovino dalla stessa parte, per rispondere in modo compatto e reattivo. Il Presidente Draghi con saggezza e visione ha proposto di dar vita a un Tavolo permanente per gestire le criticità e individuare insieme le soluzioni disponibili. D’altra parte, chi meglio di lui conosce la lezione che viene dall’esperienza del Governo Ciampi del 1993. Allora si seguì la via giusta. Grazie alle teorie sviluppate anni prima da Ezio Tarantelli si scelse l’accordo volontario tra Governo, imprenditori e Sindacato attraverso il quale preservare il valore dei salari e anticipare, indirizzandola la dinamica inflativa.

 

Così scriveva il Presidente Draghi nel 2014, ricordando proprio Tarantelli e la sua battaglia contro l’inflazione: “Ezio era convinto che quella battaglia non si sarebbe potuta vincere senza un modello istituzionale di governo delle relazioni industriali che consentisse sì il contrasto dell’inflazione, ma minimizzandone le ricadute in termini di prodotto e occupazione”.  Tutto il contrario di quanto non ha detto al Congresso della Cisl, perché assente, Maurizio Landini, ma che continua a ripetere ad ogni occasione:” «Sui contratti non si possono fare i rinnovi senza tenere conto dell’inflazione attuale. Abbiamo forse scritto in fronte Joe Condor?». Aggiungendo poi un’autoassoluzione per lo sciopero più sgangherato della storia sindacale recente: «Quando a dicembre abbiamo fatto lo sciopero generale con la Uil ci hanno dato degli irresponsabili: i punti centrali erano la mancanza di redistribuzione e di una vera riforma fiscale. Oggi questi temi sono ancora più attuali».

 

Anche Pierpaolo Bombardieri si muove sulla medesima linea del “fratello maggiore”. «Il Patto della Fabbrica, sottoscritto nel 2018 dai sindacati con Confindustria che fissa i rinnovi contrattuali sulla base dell’Ipca (l’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi Ue) al netto degli aumenti dei costi dell’energia “ora non esiste più, con una inflazione al 5% e aumenti del costo dell’energia di questa portata”. E’ veramente singolare che un meccanismo come l’Ipca, adottato per sterilizzare dall’inflazione importata (si vedano i prezzi dei prodotti energetici) l’adeguamento delle retribuzione al costo della vita, sia accolto dai sindacati quando il problema esiste in minimi termini o non esiste proprio (per anni l’inflazione era diventato un oggetto misterioso), mentre quando il problema si presenta in conseguenza di gravi eventi politici ed economici di carattere internazionale, il metodo pensato proprio per queste circostanze debba essere messo da parte, per tornare alla stato brado ovvero alla rincorsa inflazione/salari/inflazione. Ancora una volta è Landini a dare la linea, non solo al movimento sindacale ma anche alle forze della sinistra (si veda l’intervento del Leader della Cgil al Congresso di Articolo 1): «Serve subito uno scostamento di bilancio e bisogna andare a prendere le risorse dove ci sono: chi si è arricchito in questi anni deve mettere mano al portafoglio, la responsabilità non può essere sempre a senso unico». Landini ha ricordato che «fin da quando ero giovane ci sono sempre stati da fare dei sacrifici nell’interesse generale del paese». Ecco, adesso «mettere più soldi nelle buste paga di lavoratori con i redditi più bassi e pensionati è interesse generale, è il momento di interventi straordinari se vuoi tenere unito il Paese».

 

Diversa è la politica proposta da Luigi Sbarra. “Ci rendiamo conto che non è semplice trovare un punto di equilibrio nel compromesso tra aumento dei costi per le imprese e sostegno dei salari. Ma di certo, solo le parti sociali possono riuscire a individuare le mediazioni necessarie. Si deve agire per dare maggior forza esecutiva ai principi degli accordi del 1993, migliorando la capacità di anticipare i fenomeni inflativi e riallineando i salari al dato reale e complessivo del carovita. Bisogna rendere i rinnovi più puntuali e rivedere i criteri di distribuzione della produttività. Riprendendo lo spirito del ’93 – ha proseguito il leader della Cisl nella relazione – il Governo può giocare un ruolo importante, agevolando la contrattazione di secondo livello e trovando formule che incentivino quella territoriale, incoraggiando in particolare i premi di produttività, la cui aliquota sostitutiva deve essere portata allo 0 per cento e su cui devono essere superati i vincoli alla incrementalità. È necessario supportare la ripresa della produttività a tutti i livelli. Allo stesso modo va incoraggiata la dimensione contrattata del welfare aziendale, anche prevedendo maggiore vantaggio fiscale e contributivo del welfare negoziale rispetto a quello unilaterale. Si tratta di questioni aperte e pressanti rispetto alle quali va avviato un confronto che salvaguardi le regole condivise conquistate in questi anni, a cominciare dal Patto per la Fabbrica. Contrattare i livelli nazionali senza riferimenti condivisi è il contrario di quello che serve oggi al Paese”.

 

Diversamente dalla Cgil e dalla Uil che si ostinano ad interpretare la società italiana secondo quello schema astratto che, a loro avviso, rappresenta uno scenario di macerie dove prima vi era un tessuto economico e produttivo e la deriva di una continua negazione dei diritti, la Cisl non si esime dall’evidenziare i risultati dell’azione del sindacato. “Non è stato un cammino privo di ostacoli, non è mancato qualche stop. Ma si sono raggiunti risultati fondamentali, e dal punto di vista del metodo si è entrati in una fase nuova, che dopo tanti anni ha permesso di archiviare la disastrosa stagione della disintermediazione e di inaugurare una fase di confronto sociale, unico modo per affrontare i compiti che questa complessa transizione e l’opera di ricostruzione ci consegnano. Si tratta, ora, di essere coerenti, – ha affermato Sbarra – di continuare sulla strada intrapresa e dare stabilità a questa impostazione. Verso un modello decisionale nuovo, compartecipato, che punti a un accordo organico e ci permetta di approdare ad una nuova economia sociale di mercato”. Dal XIX Congresso è venuta l’indicazione per una politica responsabile che non è solo la più proficua, ma che è la sola possibile. Speriamo di sbagliarci, ma l’alternativa indicata da Cgil e Uil ci porterà, prima della chiusura estiva, ad un secondo sciopero generale proclamato dagli stessi protagonisti di quello del 16 dicembre. Sarà come tornare, in una mattina d’autunno, a Crotone dopo tanti anni.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

 

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