Politically (in)correct – Pensioni. I “luoghi comuni” e i dati insoliti dell’Inps*

Bollettino ADAPT 4 aprile 2022, n. 13

 

Non ditelo ai demografi che lamentano, giustamente, la deriva della denatalità. Ma nel 2021 – dati Inps – sono state liquidate 1.315.171 nuove pensioni, delle quali il 44,2% di natura assistenziale. Gli importi annualizzati, stanziati per le nuove liquidate del 2021, ammontano a 14,1 miliardi di euro, che rappresentano circa il 6,5% dell’importo complessivo annuo in pagamento all’1.1.2022. Le pensioni vigenti alla stessa data sono 17.749.278, di cui 13.766.604 (il 77,6%) di natura previdenziale e 3.982.674 (il 22,4%) di natura assistenziale. 

 

Fa sempre bene un ripasso delle norme vigenti, anche perché si è soliti fare confusione tra previdenza e assistenza. Le prestazioni di tipo previdenziale sono erogate, a seguito di versamento di contributi durante l’attività lavorativa, al verificarsi di eventi quali il raggiungimento di una determinata età anagrafica e anzianità contributiva (pensione di vecchiaia e anticipata), la perdita della capacità lavorativa (pensione di inabilità) o la riduzione della stessa (assegno di invalidità) e la morte (pensione ai superstiti o di reversibilità). Le prestazioni di natura assistenziale sono erogate a sostegno di situazioni di invalidità o di disagio economico (prestazioni agli invalidi civili comprese le indennità di accompagnamento e pensioni e assegni sociali). L’importo complessivo annuo è pari a 218,6 miliardi di euro di cui 195,4 miliardi sostenuti dalle gestioni previdenziali e 23,2 miliardi da quelle assistenziali.

 

Il 48,4% della previdenza è in carico alle gestioni dei dipendenti privati delle quali quella di maggior rilievo è il Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti che gestisce il 45,8% del complesso delle pensioni erogate e il 58,7% degli importi in pagamento. Le gestioni dei lavoratori autonomi erogano il 28,2% delle pensioni per un importo in pagamento del 24,3%, mentre le gestioni assistenziali erogano il 22,4% delle prestazioni con un importo in pagamento pari al 10,6% del totale. In queste statistiche restano escluse le pensioni della Gestione Dipendenti Pubblici: questo è una specie di mistero glorioso della previdenza obbligatoria, nel senso che non si comprende per quali motivi, benché siano trascorsi ben 10 anni dall’incorporazione dell’Inpdap nell’Inps, il potentissimo coordinamento statistico-attuariale di via Ciro il Grande arrivi sempre in ritardo quando si tratta delle pensioni erogate ai pubblici dipendenti. Il che – lo ricordiamo per inciso – fornisce, per ora, uno scenario incompleto non solo della spesa pensionistica, ma anche per quanto riguarda il numero e le tipologie delle pensioni liquidate nel 2021, mentre era ancora in vigore quota 100 che ha visto parecchi utilizzatori tra i pubblici dipendenti (in percentuale in numero più consistente che nei settori privati).

 

Come abbiamo anticipato, la spesa relativa alle nuove pensioni è superiore a 14 miliardi: di questi quasi 7 sono andati al lavoro dipendente privato (quasi 424mila trattamenti); 2,8 alle gestioni dei lavoratori autonomi (267mila trattamenti). Tralasciamo alcune gestioni minori (tra cui quella separata, considerata all’interno del lavoro autonomo con 40mila trattamenti e 160 milioni di spesa) limitandoci a segnalare le 581mila prestazioni assistenziali per una spesa di 3,3 miliardi. 

 

Se si passa all’esame della tipologia delle pensioni ci si imbatte sempre nella solita storia che nessuno vuole prendere in considerazione perché non corrisponde alla percezione o meglio a quanto si vuole che venga percepito dall’opinione pubblica. Nel comparto della vecchiaia, nei settori del lavoro dipendente, nel 2021 sono stati spesi più di 112 miliardi, di cui 85,6 miliardi contro i 27 miliardi della vecchiaia in senso stretto. Nel lavoro autonomo rispettivamente 29 miliardi contro 14,8 miliardi. Circa il 75,1% delle pensioni di anzianità/anticipate – anche questa è una storia vecchia come il cucco – è erogato a soggetti di sesso maschile, mentre tale percentuale si abbassa al 37,1% per le pensioni della sottocategoria vecchiaia. Anche nell’invalidità previdenziale c’è una distinzione per genere nelle sottocategorie; infatti, le due tipologie di prestazione istituite dalla legge 222/84 presentano una preponderanza del genere maschile e precisamente il 65,3% per l’assegno di invalidità e il 69,8% per la pensione di inabilità; mentre le pensioni di invalidità decorrenti prima della suddetta legge avevano un tasso di mascolinità del 31,9%, dovuto naturalmente all’età elevata dei titolari di queste prestazioni e alla maggiore longevità delle donne. 

 

Dall’analisi della distribuzione territoriale si osserva che l’area geografica che registra la percentuale più alta di prestazioni pensionistiche all’1.1.2022 è l’Italia settentrionale con il 47,85%, al centro viene erogato il 19,31% delle pensioni, mentre in Italia meridionale e nelle isole il 30,77%; il restante 2,06% (366.226 pensioni) viene erogato a soggetti residenti all’estero. Calcolando il rapporto tra numero di pensioni e popolazione residente (per mille) di ciascuna area geografica, si osserva che il Nord continua a essere l’area con il maggior numero di pensioni per mille residenti (309,0 per mille), seguita dal Centro con il 290,8 per mille e dal Mezzogiorno con il 273,6 per mille.

 

Un’altra puntualizzazione della Nota Inps merita di essere segnalata perché chiama in causa un altro luogo comune: la “povertà” delle pensioni. Analizzando la distribuzione per classi di importo mensile delle pensioni si osserva una forte concentrazione nelle classi basse. Infatti, il 58,4% delle pensioni – attenzione: guai a fare confusione tra numero delle pensioni e quello dei pensionati – ha un importo inferiore a 750,00 euro. Questa percentuale, che per le donne raggiunge il 71,1%, costituisce solo una misura indicativa della “povertà”, per il fatto che molti pensionati sono titolari di più prestazioni pensionistiche o comunque di altri redditi. A tal fine, l’Inps fa notare che delle 10.363.076 pensioni con importo inferiore a 750 euro, solo il 42,5% (4.407.965) beneficia di prestazioni legate a requisiti reddituali bassi, quali integrazione al minimo, maggiorazioni sociali, assegni sociali e pensioni di invalidità civile. In tale contesto il divario tra i due sessi è accentuato; infatti, per gli uomini la percentuale di prestazioni con importo inferiore a 750 euro scende al 42,4% e se si analizza la situazione della categoria vecchiaia, si osserva che questa percentuale scende al 20,4% e di queste solo il 19,2% è costituito da pensioni provviste dei requisiti a sostegno del reddito. Sempre per i maschi, si osserva che il 40% delle pensioni di vecchiaia è di importo compreso fra 1.500 e 3.000 euro.

 

Nell’osservatorio vengono considerate le prestazioni di invalidità civile in modo distinto tra previdenza e indennità; il numero, pari a 3.174.569, è dato dalla somma delle indennità di accompagnamento (2.172.242) e delle pensioni (1.002.327). Considerando invece gli invalidi civili per composizione dell’importo, il numero è di 601.298 sole pensioni, 1.771.213 sole indennità e 401.029 pensioni e indennità di accompagnamento insieme, per un totale complessivo di 2.773.540 invalidi civili. Si osserva che il numero delle prestazioni di invalidità civile considerate distintamente, è superiore a quello degli invalidi civili per composizione di importo, proprio per il fatto che è possibile beneficiare contemporaneamente di previdenza e indennità. Analogamente le liquidate nel 2021 per composizione dell’importo sono 510.870 contro 542.219 prestazioni, proprio per il fatto che 31.349 liquidate sono composte contemporaneamente da previdenza e indennità.
 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

 

*Pubblicato anche su ilSussidiario.net il 29 marzo 2022

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