Politically (in)correct – Lo sciopero generale? Un certificato di esistenza in vita

Bollettino ADAPT 23 ottobre 2023, n. 36

 

Ricordi di bambino. Quando mio padre (a suo modo una persona di spirito) scherzava con mia madre soleva citare quello che a suo dire (io non ho mai approfondito) era un precetto mussulmano per il buon andamento della famiglia: “picchia la moglie almeno una volta ogni settimana anche se non sai il perché; lei lo sa”. Seguendo il dibattito in corso nelle principali confederazioni sindacali mi è venuto naturale trasporre l’apologo di mio padre con altri protagonisti e come segue: “ogni anno, durante la sessione di bilancio occorre proclamare uno sciopero generale anche senza sapere perché; il governo lo sa”. Maurizio Landini sta preparando un’astensione dal lavoro di carattere generale da mesi. La Cisl è contraria; così Pier Paolo Bombardieri ha tentato una mediazione preventiva: promuovere degli scioperi regionali, magari – sono sempre le stesse idee a circolare – concentrando l’azione nelle regioni più importanti in un solo giorno in modo di realizzare – per 3/4 – uno sciopero generale. Oddio, la manovra di bilancio per il 2024 non è un granché. Gli apprezzamenti di Luigi Sbarra (“sul merito troviamo recepite molte proposte e priorità che in questi mesi abbiamo indicato come Cisl”) sono un po’ generosi. Ma le critiche di Cgil e Uil meriterebbero alcune considerazioni di contesto (come si dice oggi per giustificare in qualche modo gli aggressori nei conflitti in atto).
 

Ammesso e non concesso che le politiche proposte dai sindacati belligeranti siano utili al Paese, bisognerebbe riconoscere che per adottarle, anche solo in parte, sarebbe necessario uno sforzo finanziario insostenibile per le dimensioni del deficit e le ricadute sul debito. Proprio nel momento in cui l’Italia è sottoposta ad un’accurata vigilanza non solo da parte di Bruxelles (con la Commissione è sempre possibile una soluzione politica), ma soprattutto dei mercati, i quali osservano con preoccupazione i fondamentali finanziari del Paese. Nulla di nuovo sul fronte della valutazione dell’affidabilità del nostro debito da parte dell’agenzia di rating Standard & Poor’s. È stata confermata la valutazione BBB (A2 sul breve termine) e prospettive invariate.

 

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L’agenzia Usa non ha potuto che prendere atto che i conti pubblici sono in relativa sicurezza e che il sentiero disegnato per i prossimi 12 mesi dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, potrebbe avere tanti difetti ma non ne possiede almeno uno – il più importante – e cioè quello di mettere a rischio la sostenibilità del debito. Ed allora avanti così per i prossimi 12 mesi. L’agenzia di rating si riserva comunque di rivedere la valutazione in rapporto al raggiungimento degli obiettivi che il governo si è dato e soprattutto tenendo conto dell’avanzamento di quelle riforme – realizzate solo in parte – necessarie per ricevere i fondi del Pnrr. Ha pesato su questa valutazione (vedremo il rating delle altre agenzie) la precarietà della situazione geopolitica, che giustifica le difficoltà delle economie europee e che determina una condizione di instabilità che potrebbe persino peggiorare. Infatti osservando i tassi di interesse dei nostri titoli di Stato (i Bot soprattutto) emerge con chiarezza che sono più elevati quelli a lunga scadenza, a prova che l’Italia sarà sub judicio per lungo tempo, ma che la condizione necessaria per poter tirare avanti è quella della linea della cautela nell’esporre il bilancio pubblico ad irresponsabili avventure.

 

In sostanza, il governo si salva se porta avanti una politica di basso profilo, se smentisce per il secondo anno quelle preoccupazioni con cui venne accolta la maggioranza vincitrice delle elezioni del 25 settembre del 2022. L’accusa che veniva rivolta alla coalizione di destra durante la campagna elettorale era quella di minare, se chiamata a governare, la stabilità dei conti pubblici e di mettere in crisi i legami con l’Unione europea. Possono essere accusati, oggi, il governo e la maggioranza di non aver intrapreso quei percorsi che – si diceva allora – avrebbero portato il Paese al disastro? Dopo il verdetto di Standard & Poor’s – si è chiesto Gianfranco Polillo su Start magazine – che dirà, soprattutto che farà, l’opposizione politica e sindacale? Insisterà nella sua visione apocalittica – questo governo è la rovina del Paese – alternando previsioni di sfracello alla richiesta di maggiori risorse – che non ci sono – per i fini più disparati? Dalla sanità alla nazionalizzazione del salario minimo, ad una riforma delle pensioni insostenibile per motivi demografici prima ancora che finanziari? Qualcuno ha rilasciato dichiarazioni che sono rivelatrici di una visione distorta: stiamo tornando all’austerità.

 

Con questa definizione si mettono in cattiva luce le politiche di risanamento finanziario e di equilibrio del bilancio come se fossero sbagliate, vittime di un “ordoliberismo” (copyright di Andrea Orlando) nemico del popolo. Come se vi fosse da qualche parte una linea alternativa e se fossero normali e ripetibili all’infinito le politiche di spesa per i ristori e aiuti, gli acquisto ad libitum dei titoli di Stato da parte della Bce che hanno consentito di tirare avanti durante la pandemia. Si è teorizzata la differenza tra debito buono e debito cattivo, per ritrovarsi alla fine soltanto con un conto di miliardi ascrivibile a questa seconda tipologia. Oggi, le sinistre politiche e sindacali fanno notare – giustamente – che, nonostante la decantata stagione dei record per quanto riguarda l’occupazione, l’Italia è stata “scalata” dalla Grecia in molti indicatori significativi, compresa la crescita economica. È ben strana questa segnalazione quando per anni sono state criticate politiche di tenue rigore per non “fare la fine della Grecia”.

 

Anche una Giorgia Meloni, di lotta e non ancora di governo, nel 2015, scriveva «Tsipras, in Grecia, è distante da noi anni luce, ma il risultato delle elezioni in Grecia racconta il fallimento delle politiche della Troika e la voglia di libertà che arriva dai popoli europei. Noi, in Italia, lavoriamo per costruire una risposta credibile a quel bisogno e la nostra stella polare è l’interesse nazionale. Perché la risposta non è l’internazionale dei popoli, ma la riscoperta delle patrie». Fino a ieri la Grecia veniva descritta come un Paese soggiogato dal neoliberismo, umiliato nei diritti dei lavoratori, che aveva rinunciato alla “primogenitura” di un altro mondo possibile. Poi sono arrivati i dati con la loro testa dura. La Grecia di oggi deve questa sua risalita ad una energica azione di risanamento – anche se le fu evitata l’umiliazione della Trojka – di cui si rese protagonista quello stesso governo di Alexis Tsipras che aveva scaldato le “anime belle” di tutta l’Europa.

 

In conclusione, l’Italia è un Paese libero ed è in grado di tollerare uno sciopero generale che annunci le festività natalizie. Ma i sindacati hanno il dovere di essere chiari sulla prospettiva politica. Scioperano per qualche ritocco alle aliquote fiscali, per ottenere il salario minimo, per vigilare nei territori che i progetti del Pnrr vadano avanti (una questione di cui i leader sindacali parlano poco)? Oppure – come sostiene la Cgil – perchè è tornata l’austerità e cioè quella stessa politica da cui dipende il “permesso di soggiorno” del Paese nella comunità internazionale? Non si sciopera come se si dovesse presentare un certificato di esistenza in via; e confondendo così le modeste erogazioni contenute nel ddl di bilancio – previste in disavanzo e tuttora sub judice laddove “si puote ciò che si vuole” con – le riforme che invece sarebbero necessarie e che prima o poi torneranno all’ordine del giorno, se e quando il Paese troverà “la via maestra’’. Quella vera. E sempre più lontana.  

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

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