Non c’è transizione senza competenze. Il ruolo (decisivo) delle parti sociali

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Bollettino ADAPT 14 febbraio 2022, n. 6
 
Nell’ambito della conferenza stampa “Industria automotive: un patrimonio italiano di fronte alle transizioni”, promossa da Federmeccanica e Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm-Uil dello scorso 3 febbraio, è stata ribadita la centralità della formazione quale asset competitivo anche per il settore automotive, insistendo sull’importanza di dotare sia i giovani che i lavoratori adulti di competenze abilitanti per governare l’innovazione indotta dalla transizione verde (per un approfondimento sulla conferenza stampa, si veda A. Caracciolo, L’industria automotive italiana alla prova della transizione ecologica, in Bollettino ADAPT, 24 gennaio 2022, n. 3). Più nel dettaglio, se nelle considerazioni prodotte dall’Osservatorio Automotive si trova un focus dedicato, testualmente, al “nodo delle competenze”, dove gli autori si soffermano ad evidenziare la perdurante “distanza culturale dalla fabbrica e dalle tecnologie” di molti percorsi di formazione, nell’ambito della conferenza stampa le Parti Sociali chiedono esplicitamente di discutere “I fabbisogni e le disponibilità di competenze tra education e formazione di accompagnamento alla trasformazione”.
 
Tale richiamo è indubbiamente un elemento da salutare con favore, data la crucialità del tema formazione per la realizzazione di una transizione “giusta”, capace di tenere assieme, come da tempo auspica anche lo stesso ILO, la sostenibilità ambientale con quella economica e sociale. Allo stesso tempo, ci sono forse spazi di manovra che, già da oggi, le Parti Sociali potrebbero sfruttare per affrontare i problemi che, correttamente, denunciano: spazi e strumenti pienamente operativi e nelle loro disponibilità.
 
Per approfondire ulteriormente queste tematiche sembra utile condividere alcuni spunti emergenti dal progetto “Green skills in VET”, co-finanziato dalla Commissione Europea. Obiettivo della ricerca è quello di indagare le attuali – ma soprattutto le potenziali – sinergie tra formazione professionale e imprese (più nello specifico, imprese di servizi di interesse generale) nell’affrontare la transizione verde grazie alla formazione di competenze green.
 
Un elemento di interesse riguarda le stesse competenze verdi. Non esiste, ad oggi, una loro definizione univoca: in alcuni casi vengono definite come competenze tecniche e specialistiche (ad esempio, le competenze connesse alla progettazione di motori elettrici a basso impatto ambientale, o legate alla concreta costruzione e manutenzione), in altri come “le conoscenze, le abilità, i valori e le attitudini necessarie per sviluppare, sostenere e vivere in una società sostenibile e con un utilizzo delle risorse efficiente” (UNIDO, 2021). Chiedersi che cosa si intende per “competenze verdi” non è un esercizio teorico: la loro corretta individuazione può favorirne, di rimando, l’inserimento all’interno di percorsi di formazione, ma anche comprendere quali sono le istituzioni che, meglio di altre, possono formarle. Ad oggi sembra possibile affermare che il rinnovamento dei contenuti formativi debba andare ad impattare su entrambi i fronti: sia curvando le competenze tecniche all’utilizzo delle tecnologie verdi, sia investendo su una formazione trasversale capace di introdurre l’orientamento alla sostenibilità quale elemento trasversale i diversi percorsi di studio e apprendimento.
 
Le principali analisi sul tema evidenziano, però, la mancanza di un approccio olistico di questo tipo, e la diffusione delle green skills e, di rimando, dei green jobs solo tra gli alti profili – ingegneri, ricercatori. Ciò genererebbe una nuova polarizzazione: tra chi possiede competenze verdi, e quindi gode di un’ottima occupabilità negli scenari aperti dalla transizione verde, e chi invece è rimasto escluso da questi processi formativi, possiede limitate competenze ed è spesso impegnato in mansioni operative che rischiano di sparire a causa dell’effetto congiunto della transizione verde e dell’automazione industriale.
 
La corretta progettazione delle politiche formative acquisisce allora un ruolo centrale per la gestione della transizione verde, di cui non può essere pensata come un elemento accessorio o secondario, come ha recentemente ricordato anche Roberta Benaglia, segretario generale della FIM-CISL. La ricerca menzionata evidenzia alcune indicazioni per affrontare questa problematica.
 
Un primo aspetto è quello di considerare le politiche formative come parte integrante delle politiche industriali. Investire esclusivamente su aspetti esclusivamente economici e fiscali – ad esempio, chiedere con forza l’introduzione di incentivi – senza valutare le necessità formative connesse all’utilizzo di nuove tecnologie o forme di organizzazione del lavoro, significa rinunciare in partenza ad una gestione corretta della transizione, ragionando per dicotomie che oggi non reggono più. Basti pensare a quanto sarebbe stato opportuno accompagnare l’introduzione di incentivi dedicati settore edile, aventi come obiettivo il miglioramento dell’impatto ambientale degli edifici, con investimenti dedicati alla costruzione di competenze legate proprio a questi temi. È allora necessario coordinare le azioni che insistono sue questi due fronti, concentrando le risorse su progettualità che sappiano tenere adeguatamente conto di entrambi.
 
Parlare di sinergie tra politiche del lavoro significa anche considerare le possibili sovrapposizioni e i punti di contatto con le strategie connesse alla transizione digitale, e a politiche nazionali come il Piano Impresa 4.0. Questo perché molte delle competenze tecniche green sono anche competenze digitali, e molte competenze trasversali green sono anche competenze abilitanti per Industria 4.0. In molti contesti abbattere l’impatto ambientale significa (anche) saper gestire tecniche di Big Data Analytics (una competenza digitale), andando a rintracciare, con pensiero critico, gli ambiti nei quali è possibile intervenire per ottimizzare il ciclo produttivo (una competenza trasversale). Si parla, infatti, di twin transition per evidenziare le sinergie tra transizione verde e transizione digitale. Le politiche formative devono quindi tener conto di questo legame per la costruzione di profili effettivamente coerenti con le necessità del mercato del lavoro di oggi (e di domani).
 
Un altro aspetto sul quale è opportuno riflettere è l’orizzonte nel quale progettare queste politiche e in grado di massimizzarne l’efficacia. La ricerca sembra indicare, come prioritario, l’orizzonte territoriale e locale. Questo almeno per due motivi: per prima cosa, perché è al livello territoriale che è possibile costruire percorsi formativi effettivamente coerenti con i fabbisogni e le specificità emergenti dal sistema produttivo. Secondariamente, perché è necessario pensare alla transizione verde non solo per gli effetti – diretti – che genera sull’occupazione, ma anche su quelli – indiretti – che causa sulle comunità locali, sulle catene del valore ma anche su altri settori come quello dei servizi. In altre parole, la chiusura di uno stabilimento non può essere pensata – ed adeguatamente affrontata – solo pensando ai lavoratori alle dirette dipendenze dell’azienda, ma considerando gli impatti a livello locale. Si parla infatti, da tempo, di just transition proprio per indicare come la transizione verso una società più sostenibile debba inevitabilmente prendere in considerazione anche questi ulteriori impatti economici ma soprattutto sociali.
 
Le politiche formative devono quindi essere olistiche (non concentrandosi solo su un numero limitato di competenze), integrate con le politiche industriali, coordinate con altre strategie di sviluppo, e concretamente progettate a livello territoriale e locale. Affrontare questa sfida richiede uno sforzo congiunto – come auspicato anche dalla Parti Sociali nella conferenza del 3 febbraio – e una governance multilivello, prossima ai territori nei quali tali progettualità devono trovare concreta realizzazione. Allo stesso tempo, e come già anticipato, le Parti Sociali hanno a disposizione strumenti già pienamente operativi e coerenti con le indicazioni emergenti dalla ricerca menzionata, da potenziare per far fronte alle sfide poste dalla transizione verde.
 
Anche solo rimanendo nel perimetro disegnato dal CCNL per l’industria metalmeccanica e dell’installazione degli impianti, sono diversi gli aspetti su cui, fin da ora, è possibile investire. Basti pensare al ruolo centrale assegnato alle commissioni per la formazione professionale e l’apprendistato nazionali, territoriali e aziendali (organizzate secondo una logica di sussidiarietà) nell’anticipazione e mappatura dei fabbisogni, un’attività di skills intelligence ritenuta, universalmente, come necessaria per la corretta progettazione delle attività formative. Compito specifico di queste commissioni potrebbe allora essere quello di collaborare con le Academy aziendali, le Università, i Competence Centre, gli ITS e i centri di formazione del territorio (soggetti con cui la collaborazione è stata auspicata dal rinnovo contrattuale del febbraio 2021) per mappare e anticipare le competenze verdi e comprendere, di rimando, come offrire queste informazioni alle istituzioni formative presenti a livello territoriale, così da permettere una curvatura adeguata dell’offerta formativa (per un approfondimento si veda G. Impellizzieri, G. Machì, Verso un “sistema” della formazione nel settore metalmeccanico?, in Bollettino speciale ADAPT, 25 febbraio 2021, n. 1).
 
A questa attività di anticipazione dei fabbisogni non può che legarsi un’attività collaborativa, sviluppata con i sistemi formativi, per la progettazione di percorsi coerenti con le competenze richieste dalla transizione green. Le Parti Sociali potrebbero cioè non solo limitarsi ad individuare il fabbisogno, ma spingersi oltre collaborando, su base locale, per la promozione della sinergia tra mondo della formazione e mondo del lavoro, come in alcuni contesti già accade. Un ruolo centrale per accompagnare i lavoratori in questa fase di transizione è ovviamente ricoperto dai fondi interprofessionali, i cui avvisi (come, ad esempio, l’avviso 2/2021 di Fondimpresa, dedicato alla “Formazione a sostegno della Green Transition e della Circular Economy”) possono prevedere azioni mirati alla formazione di competenze verdi, ma anche dal Fondo Nuove Competenze, che prevede il coinvolgimento attivo delle stesse Parti Sociali nella sottoscrizione dell’accordo sindacale utile all’accesso delle risorse del Fondo.
 
Volendo restringere ulteriormente il campo, tra le politiche del lavoro che richiedono un rinnovato protagonismo alla stessa rappresentanza è possibile annoverare anche l’apprendistato, su cui anche recenti studi del CEDEFOP si sono concentrati per evidenziarne il ruolo nel supportare la transizione verde (il rimando è a al simposio “Apprenticeships for greener economies and societies”, realizzato da CEDEFOP e OECD lo scorso 21-22 ottobre). Come pure auspicato dall’ultimo rinnovo del CCNL della metalmeccanica, diventa decisivo lavorare lungo due direzioni, tra loro connesse: il potenziamento dell’apprendistato professionalizzante, e lo sviluppo dell’apprendistato duale.
 
Tra i profili formativi connessi all’apprendistato professionalizzante, nessuno prende in considerazione – direttamente – le competenze abilitanti per la transizione verde. Aggiornare questi profili, ragionando in un’ottica di sussidiarietà verticale e abilitando i territori ad intervenire sul tema sembra essere un elemento decisivo sia per fornire a giovani in ingresso nel settore delle meccanica – e dell’automotive in particolare – le competenze utili alla concretizzazione della transizione verde, sia per gestire le complesse transizioni occupazionali che interessano e interesseranno il settore. È infatti possibile, tramite apprendistato professionalizzante, assumere anche lavoratori “senza limiti di età”, al fine di una loro qualificazione e riqualificazione. Una possibilità particolarmente preziosa, date le dinamiche transizionali che abitano i mercati del lavoro contemporanei, ulteriormente rafforzata dall’ultima Legge di Bilancio, che ne ha allargato la platea di possibili beneficiari, oltre che a coloro che fruiscono di indennità di mobilità o di un trattamento di disoccupazione, anche ai lavoratori interessati da un Accordo di transizione occupazionale (ex. art. 22-ter, d.lgs. 148/2015), uno strumento introdotto dalla stessa Legge di Bilancio per il 2022. L’efficacia di questi percorsi di apprendistato professionalizzante, sia nella loro versione “tradizionale”, che in quella “senza limiti di età”, dipende dalla qualità della formazione che verrà ricevuta. Da qui l’importanza di una corretta e attenta progettazione dei profili formativi, e dell’individuazione dei soggetti migliori per erogarla, coinvolgendo ad esempio anche realtà esterne alle aziende come quelle richiamate nell’ambito commissioni per la formazione professionale e l’apprendistato già richiamate. I percorsi di formazione professionalizzante nell’ambito dell’apprendistato di secondo livello possono essere finanziati – è opportuno ricordarlo – dagli stessi fondi interprofessionali: com’è evidente, si tratta allora di mettere a sistema risorse e potenzialità legate a strumenti già pienamente nelle disponibilità delle Parti Sociali.
 
Per quanto riguarda lo sviluppo dell’apprendistato duale, è indubbia l’importanza di questo strumento per la formazione di professionalità tecniche e intermedie cruciali per la realizzazione della transizione verde, in quanto dotate di competenze in grado di governare le innovazioni tecnologiche e organizzative che stanno abitando il settore. Andrebbe quindi adeguatamente promossa – come, anche in questo, già auspicato dalla dichiarazione comune “Collaborazione Scuola Impresa nei percorsi di Istruzione. Alternanza scuola-lavoro, Istruzione Tecnica Superiore, Apprendistato” contenuta nell’ultimo rinnovo contrattuale del CCNL per la metalmeccanica – la collaborazione con il mondo della istruzione e formazione professionale regionale (che riceverà specifici incentivi connessi al piano di implementazione del Sistema Duale rafforzato dal PNRR con 600 milioni) e con il sistema degli Istituti Tecnici Superiori (che già realizzano percorsi coerenti con i fabbisogni della transizione verde, come il corso per diventare “Tecnico Superiore in motori endotermici, ibridi ed elettrici” dell’ITS Maker a Modena). Una collaborazione che si concretizza in attività di orientamento locale, ma anche e soprattutto nella collaborazione alla costruzione degli specifici percorsi formativi e delle competenze ad essi correlati che, almeno nel caso degli ITS, prevedono una procedura partecipata e plurale, alla quale le Parti Sociali possono – e dovrebbero – aderire con protagonismo. Con specifico riferimento all’apprendistato duale, questo significa anche favorirne il ricorso soprattutto definendo anche in questo caso profili formativi che sappiano dialogare, da una parte, con quelli formati dal sistema ITS, in una logica di raccordo e integrazione, ma anche con il sistema di inquadramento contrattuale. Superare lo iato tra quest’ultimo e i profili formativi dell’apprendistato potrebbe anche favorire un ulteriore potenziamento dell’istituto, sprigionando le potenzialità insite in un istituto fondamentale per la costruzione sociale dei mestieri.
 
In conclusione, è ormai evidente a tutti che la transizione verde non sarà un processo automatico, così come non ancora determinato è il suo esito. L’iniziativa delle Parti Sociali oggetto di queste brevi riflessioni non era affatto scontata e lascia trasparire quella giusta tensione collaborativa che è la necessaria precondizione per la ottimale gestione delle politiche per la transizione verde. Allo stesso tempo le indicazioni che arrivano da ricerche internazionali in corso suggeriscono che sono diversi gli strumenti che la rappresentanza può, già da ora, mettere in campo per affrontare le sfide poste dai cambiamenti ambientali, riguadagnano un ruolo da protagonista nella costruzione del sistema delle politiche del lavoro e della formazione soprattutto a livello aziendale e locale. Potenziare gli aspetti formativi dell’apprendistato e costruire reti con il sistema ITS per l’attivazione di contratti di terzo livello sembra essere un primo passo, concreto, per dare inizio a questa trasformazione.
 

Matteo Colombo

ADAPT Senior Research Fellow

@colombo_mat

Non c’è transizione senza competenze. Il ruolo (decisivo) delle parti sociali
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