Luci e ombre della nuova detassazione

Con diversi elementi di innovazione rispetto alle precedenti decretazioni in materia, il decreto interministeriale del 25 marzo 2016 ripristina, in attuazione della legge di Stabilità 2016, la misura di detassazione della retribuzione di produttività, sacrificata dalla finanziaria dello scorso anno alla causa dell’esonero contributivo per le assunzioni a tutele crescenti ([1]). I titolari di reddito da lavoro non superiore a 50.000 euro, torneranno così a beneficiare, nel limite di 2.000 euro lordi annui, di un’imposta sostitutiva del 10% per le quote di retribuzione percepite in esecuzione di contratti collettivi sottoscritti a livello aziendale o territoriale.

 

Istituito nel 2008, il provvedimento ha negli anni contribuito ad alleggerire il peso dell’imposizione fiscale sulle buste paga dei lavoratori (circa 202 euro per lavoratore secondo l’INPS), sebbene il progressivo ridimensionamento dei relativi fondi ([2]), disposti ad esaurimento  secondo il meccanismo first come, first served, sia andato via via a ridurre la portata della misura ([3]). Incerta e comunque contestata è stata inoltre l’efficacia della detassazione sulla produttività del lavoro, il leitmotiv della riforma degli assetti contrattuali che, dal 2010 in avanti, ha spinto i governi a impiegare lo sgravio fiscale in chiave di incentivo alla contrattazione decentrata, prevedendone l’applicabilità alle solo quote salariali disposte dai contratti collettivi di secondo livello ([4]).

 

La nuova detassazione è resa oggi strutturale, e assegna alle relazioni industriali un ruolo centrale non solo nell’abbattimento del cuneo fiscale, ma anche nella promozione di modelli organizzativi del lavoro orientati alla partecipazione dei lavoratori alle dinamiche di innovazione di processo e di gestione. Accanto alla misura fiscale di vantaggio per i premi di risultato, il decreto prevede infatti lo sgravio delle somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa e i premi welfarizzati, insieme a un innalzamento del limite annuo fino a 2.500 euro delle somme detassabili nel caso di contratti collettivi che prevedano strumenti e modalità di coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro.

 

Mentre resta sullo sfondo il simbolo degli 80 euro quale massima espressione della politica governativa di marginalizzazione del sindacato, nessuno sgravio è stato previsto per la decontribuzione degli oneri previdenziali a carico di imprese e lavoratori. Torneranno invece a detassarsi le quote salariali variabili legate ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione. Con la precisazione che i contratti collettivi dovranno prevedere criteri di misurazione e verifica dei predetti obiettivi, il cui raggiungimento sia verificabile in modo oggettivo attraverso il riscontro di indicatori numerici o di altro genere. Tra le misure riportate a titolo esemplificativo, figurano gli aumenti di produzione o i risparmi dei fattori produttivi, ovvero il miglioramento della qualità dei prodotti e dei processi, anche attraverso la riorganizzazione dell’orario di lavoro non straordinario o il ricorso a modalità di svolgimento spazio temporali della prestazione lavorativa.

 

Fuoriesce dunque dalla portata della detassazione, stavolta in maniera incontrovertibile, lo straordinario, e entrano invece il welfare e i modelli di lavoro agile, nella prospettiva di favorire una cultura di responsabilizzazione dei lavoratori e di orientamento ai risultati, attraverso l’attenuazione dei vincoli spazio-temporali della prestazione lavorativa ([5]).

 

Rispetto alle precedenti decretazioni in materia ([6]), i criteri della nuova detassazione sembrano oggi più chiari, anche grazie alla loro riproposizione nella scheda allegata al decreto che le aziende sono tenute a compilare all’atto del deposito del contratto presso la direzione territoriale del lavoro. Qui compare una lista sommaria di indicatori dei premi di risultato che, a grandi linee, corrisponde alla vasta fenomenologia di parametri diffusi nella contrattazione collettiva aziendale: indici di bilancio, customer satisfaction, contenimento dell’assenteismo e del numero di infortuni, risparmio energetico e altri parametri di qualità e efficienza produttiva. Figurano tra le rilevanti eccezioni alcuni degli indicatori finalizzati al riconoscimento e alla valorizzazione economica della professionalità dei singoli lavoratori, gli incentivi per lo smaltimento di ferie e permessi residui, e tutta una serie di parametri frutto dell’elaborazione dei negoziatori territoriali in edilizia e agricoltura ([7]).

 

Vero è che molti dei problemi tecnici legati al campo di applicazione oggettivo della misura si presenteranno nella fase attuativa. E il quesito con cui gli operatori saranno chiamati a confrontarsi verterà sul se i parametri individuati dal decreto debbano essere interpretati in maniera elastica o restrittiva. Del salario di un lavoratore in regime di orario multiperiodale, ad esempio, si potrà detassare tutta la quota oraria della retribuzione, o solo la maggiorazione riconosciuta per le ore di supero del normale orario di lavoro?

 

Resta inoltre il fatto che una prassi applicativa piuttosto blanda, negli anni passati, ha comportato effetti limitati della detassazione, sia sul piano dell’incentivo alla diffusione della contrattazione di secondo livello, sia sul piano della crescita della produttività. In altre parole, le aziende che siglano veri accordi di produttività sono ancora poche e, complessivamente, gli indicatori economici restano piatti: da più fonti i dati confermano il divario crescente tra salari e produttività nel nostro mercato del lavoro, così come il posizionamento dell’Italia nel gruppo dei Paesi Ocse col più alto livello di tassazione sul lavoro.

 

Occorre ricordare inoltre che, in alcuni settori dell’economia, è stato fatto un utilizzo improprio della misura. Il riferimento è agli accordi territoriali fotocopia sottoscritti al solo fine di sgravare le voci economiche dei CCNL ([8]). Un fenomeno di raggiro del meccanismo della detassazione, questo, che non deve necessariamente indurre a una valutazione negativa: è piuttosto una spia del fatto che in alcuni settori, come ad esempio il commercio, la produttività può essere incrementata anche attraverso un utilizzo strategico degli istituti del CCNL, senza l’intermediazione della contrattazione decentrata. Inoltre, molte aziende del terziario avanzato, ma anche dell’industria manifatturiera, vantano eccellenti politiche di incentivo della produttività definite unilateralmente, e dunque escluse dal campo di applicazione della detassazione. Per converso, un ingente numero di contratti aziendali prevede erogazioni economiche in cifra fissa (Tabella 1), o premi di risultato fittizi, ma sistematicamente assoggettati all’imposta sostitutiva del 10%.

 

Tab. 1 – Diffusione degli incrementi economici in cifra fissa nella contrattazione aziendale (2012-2015), valori assoluti e percentuali

 

Settore N. di contratti collettivi aziendali (2012-2015) N. di accordi con erogazioni in cifra fissa Percentuale di accordi con erogazioni in cifra fissa
Metalmeccanico 245 46 18,8%
Credito 141 26 18,4%
Alimentare 112 15 13,4%
Totale 498 87 17,4%

Fonte: ADAPT, banca dati sulla contrattazione collettiva aziendale, www.farecontrattazione.it

 

Il salto tecnico e metodologico che il decreto manca di compiere sui premi di risultato è proprio quello della differenziazione delle aliquote di sgravio in ragione della struttura dei sistemi premianti. I premi di risultato, infatti, continuano ad essere considerati dal legislatore come un sistema monolitico, sebbene esista una varietà di modelli, esemplificati nella Tabella 2, ciascuno con effetti diversificati sulle performance produttive individuali e collettive. L’occasione, dunque, poteva essere quella di prevedere percentuali diverse di detassazione a seconda del grado di flessibilità del premio di risultato. Ma anche di approntare meccanismi di valorizzazione della produttività generata dalla contrattazione di settore.

 

Tab. 2 – Modelli di premi di risultato

 

Standard Fisso Diversificato
Importo uguale per tutti

Importo ex ante, no obiettivi

Importo parametrato

Importo ex ante, no obiettivi

Importo personalizzato

Importo ex ante, no obiettivi

Importo uguale per tutti

Importo ex ante, si obiettivi

Importo parametrato

Importo ex ante, si obiettivi

Importo personalizzato

Importo ex ante, si obiettivi

Importo uguale per tutti

Importo indeterminato

Importo parametrato

Importo indeterminato

Importo personalizzato

Importo indeterminato

Variabile

Fonte: ADAPT, banca dati sulla contrattazione collettiva aziendale, www.farecontrattazione.it

 

Cambia quindi il segno delle valutazioni sulla detassazione se, fermo restando l’impatto positivo sull’abbattimento del cuneo fiscale, l’analisi si sposta sulla capacità della misura di incidere effettivamente sulla maggiore produttività e qualità del lavoro. Del resto, nessun provvedimento di tipo promozionale può mettere al riparo dalle criticità che della detassazione hanno depotenziato la portata, minando i buoni propositi sottesi alle riforme degli assetti contrattuali del 2009, fondati sul presupposto della esistenza di una relazione virtuosa tra contrattazione decentrata e produttività.

 

Al pari delle forme di retribuzione incentivante, ogni fattore estrinseco della motivazione, qui intesa nella sua estensione collettiva, impatta su una dimensione psicologica, culturale, e relazionale con effetti imprevedibili, talvolta di segno opposto rispetto alle buone intenzioni che ne animano le dinamiche regolative. Resta dunque attuale, in conclusione, il monito della commissione per la verifica del protocollo Giugni laddove precorreva che il cambiamento delle regole del gioco è destinato a rimanere inefficace «finché gli attori sociali non muteranno la loro cultura contrattuale, rispettando l’impegno a perseguire una politica salariale che utilizzi parametri oggettivi» ([9]).

 

Paolo Tomassetti

ADAPT Senior Research Fellow

@PaoloTomassetti

 

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[1] E. Massagli, F. Pignatti Morano, Detassazione e decontribuzione del salario di produttività, in M. Tiraboschi (a cura di), Le nuove regole del lavoro dopo il Jobs Act, Giuffrè, 2016, p. 377 ss.

[2] Dai 650 milioni stanziati nel 2008, si è passati ai 607 milioni per il 2013, fino a un minimo di 200 milioni di euro nel 2014 e al taglio netto della misura nel 2015. I nuovi scaglioni di finanziamento sono così disposti: 344,7 milioni per il 2016, 325,8 milioni per il 2017, 320,4 milioni per il 2018, 344 milioni per il 2019, 329 milioni per il 2020, 310 milioni per il 2021 e 293 milioni annui a decorrere dal 2022.

[3] I fondi, infatti, sono stanziati su base annuale, a esaurimento: ne fruiscono dunque le aziende che per prime riescono a depositare il contratto collettivo e procedere alla detassazione dei relativi emolumenti economici.

[4] A. Corvino, J. Tschöll (a cura di), Salari e produttività nelle mani della contrattazione, Boll. Spec. ADAPT 2011, n. 7; P. Campanella, Decentramento contrattuale e incentivi retributivi nel quadro delle politiche di sostegno alla produttività del lavoro, WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 185/2013.

[5] Aa.Vv., Il “lavoro agile” nella contrattazione collettiva oggi, Working Paper ADAPT, 2016, n. 1.

[6] P. Tomassetti, La produttività secondo Monti, www.farecontrattazione.it, 28 gennaio 2013.

[7] ADAPT, La contrattazione collettiva in Italia (2012-2014). I Rapporto ADAPT, ADAPT University Press, 2015; ADAPT, La contrattazione collettiva in Italia (2015). II Rapporto ADAPT, ADAPT University Press, 2016

[8] F. Fazio, M. Tiraboschi, Una occasione mancata per la crescita. Brevi considerazioni a proposito della misura di detassazione del salario di produttività, in F. Fazio, P. Tomassetti (a cura di), Detassazione di produttività 2011: una occasione mancata per la crescita, Boll. Spec. ADAPT, 2011, n. 64.

[9] Aa.Vv., Relazione finale della Commissione per la verifica del Protocollo del 23 luglio 1993, § 27.

Luci e ombre della nuova detassazione
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