Le principali novità del Decreto PA

Interventi ADAPT

| di Giuseppina Papini

Bollettino ADAPT 12 maggio 2025, n. 18

Lo scorso 8 maggio è stato convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge 14 marzo 2025, n. 25, recante Disposizioni urgenti in materia di reclutamento e funzionalità delle pubbliche amministrazioni.

Il testo, che si compone di 22 articoli, risponde all’esigenza di «costruire una macchina amministrativa sempre più efficiente e al servizio degli utenti», secondo il Ministro per la Pubblica Amministrazione Zangrillo, e ha l’ambizione di affrontare «in maniera organica alcune criticità del sistema pubblico».

Il decreto si snoda attraverso tre titoli principali: Titolo I, Disposizioni urgenti in materia di reclutamento delle pubbliche amministrazioni; Titolo II, Disposizioni urgenti in materia di organizzazione delle pubbliche amministrazioni; Titolo III, Disposizioni per la funzionalità e il rafforzamento delle pubbliche amministrazioni.

Nonostante l’apparente sistematicità, il decreto oltre ad occuparsi di reclutamento, lotta al precariato, di rafforzamento dei processi di formazione e prevedere alcune misure in tema di retribuzione, dispone di tante piccole norme a favore di singole amministrazioni, che minano la visione unitaria dell’intervento in analisi.

Le misure a favore dei giovani (funzionari)

Per far fronte alle gravi carenze di organico in essere presso gli enti locali, l’art. 1 del decreto innesta sul disposto di cui all’art. 3-ter, comma 1, del d.l. n. 44/2023, la previsione della facoltà di aumentare di un ulteriore 15% il reclutamento, con contratto di apprendistato di durata massima di 36 mesi, di giovani in possesso di specifici diplomi tecnici, tra cui quelli provenienti degli ITS Academy. La norma precisa che «il rapporto di lavoro si trasforma in rapporto a tempo indeterminato, nei limiti delle facoltà assunzionali già autorizzate», fermo restando il possesso di requisiti per l’accesso al pubblico impiego, e della valutazione positiva del servizio prestato. Nell’intento di investire maggiormente nella formazione del giovane personale, la disposizione autorizza gli enti locali a stipulare protocolli di intesa con il Dipartimento della funzione pubblica per l’applicazione del progetto PA 110 e lode, ai fini del conseguimento della laurea.

In altre parole, fino al 31 dicembre 2026, gli enti territoriali possono destinare, una percentuale del 15% delle proprie facoltà assunzionali, che si aggiunge al 20% preesistente riguardante i giovani laureati, al reclutamento, con contratto di apprendistato di durata massima di trentasei mesi, di soggetti in possesso di diploma di specializzazione per le tecnologie applicate o di diploma di istruzione e formazione tecnica superiore, da inquadrarsi nell’area dei Funzionari.

A prescindere dalle note criticità che caratterizzano la figura (ibrida) dell’apprendistato nel settore pubblico (si veda, M. Colombo, M. Tiraboschi, Apprendistato e lavoro pubblico: un’occasione persa per colpa delle singole amministrazioni o per errori di progettazione dello “strumento” da parte del centro? in Bollettino ADAPT, 17 febbraio 2025, n.7), la norma amplia, è vero, la platea dei candidati; nondimeno non si può non evidenziare l’orizzonte temporale limitato della misura, che coincide con la data di scadenza del PNRR.

Sempre in tema di lavoro giovanile, l’altisonante rubrica dell’art. 2, Disposizioni urgenti per il superamento del precariato dei giovani nella pubblica amministrazione, prevede, misure generalizzate volte alla stabilizzazione del personale del Ministero dell’interno e dell’Agenzia industrie Difesa, cui, è vero, si aggiunge la previsione del rinnovo, per ulteriori 12 mesi, di 44 contratti di apprendistato in essere presso quest’ultimo ente (comma 1), al quale si sommano, nei commi successivi, altre misure volte ad autorizzare assunzioni a tempo indeterminato.

Da segnalare, nella medesima disposizione (comma 3), al fine di garantire la continuità nella presa in carico dei beneficiari dei servizi di welfare comunali, delle misure relative alla stabilizzazione del personale precario contenute nell’art. 20 del d.l.gs. n. 75/2017, con riferimento agli assistenti sociali assunti con contratto a termine, da finanziarsi con le risorse stanziate dall’art. 1, comma 200, l. n. 205/2017 (Legge di bilancio 2018).

Il ritorno della centralità del concorso e la norma “salva – idonei”

Semmai ce ne fosse stato bisogno, con specifica norma di interpretazione autentica, l’art. 4 Misure urgenti in materia di reclutamento, ribadisce che «il concorso è lo strumento ordinario e prioritario per il reclutamento di personale», e che le PP.AA. debbano procedere necessariamente all’assunzione di tutti i vincitori di una procedura concorsuale, prima che se ne possa espletare una nuova.

Fatta questa premessa, la norma inserisce diverse misure, tra cui delle premialità, come ad esempio quella a favore di coloro che abbiano prestato servizio nelle PP.AA. ai fini dell’attuazione del PNRR (art. 4, comma 2-bis); ma abilita anche, al comma 7, gli enti pubblici di ricerca ad «adottare nuovi bandi nonché avvalersi degli esiti delle procedure selettive già svolte» a favore di ricercatori e tecnologi.

Si legittima, in generale (art. 4, comma 9), il pieno utilizzo delle graduatorie esistenti (2024 e 2025) per stabilizzare il personale idoneo, in deroga al limite che vincola le assunzioni degli idonei ad un numero non superiore al 20% dei posti messi a concorso, come previsto dall’art. 35, comma 5-ter, quarto periodo, del d.lgs. n. 165/2001.

A ulteriore chiosa, si legittima l’utilizzo di graduatorie di altre amministrazioni (art. 3, comma 1, lett. d), punto 3.3). Le PP.AA. per ragioni di carattere organizzativo, purché in presenza di profili professionali sovrapponibili a quelli programmati per l’assunzione, possono infatti reclutare personale a tempo determinato o indeterminato utilizzando, previo accordo, anche le graduatorie di altri enti.

Con un cervellotico gioco di rinvii (art. 3, comma 1, lett. d), punto 3.2), viene, inoltre, disposto il ripristino della durata triennale (anziché due anni, come previsto dal previgente art. 35, comma 5-ter del d.lgs. n. 165/2001) delle graduatorie concorsuali degli enti locali ai sensi dell’art. 91, comma 4 del d.lgs. n. 267/2000 (Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali).

Alcune modifiche sul Testo Unico del pubblico impiego (TUPI): dirigenti e mobilità

Tra le varie misure, si segnala, all’art. 3 comma 1, lett. b), la modifica dell’accesso alla qualifica di dirigente di seconda fascia, prevedendo anche il concorso unico gestito dal Dipartimento della funzione pubblica. In sostanza, viene modificato il testo dell’art. 28, comma 1, del d.lgs. n.165/2001, che nel regolare l’accesso alla qualifica iniziale della dirigenza statale, contempla espressamente le due modalità del concorso indetto dalle singole amministrazioni e del corso-concorso selettivo di formazione bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione (ora Scuola nazionale dell’amministrazione), aggiungendo l’ulteriore modalità di reclutamento del concorso unico.

In tema di mobilità, l’art. 3 tenta di responsabilizzare le amministrazioni, cercando di ovviare al problema dell’uso distorto che talvolta viene fatto dell’istituto, per sopperire alle croniche carenze in organico.

L’art. 3, comma 1, lett. c) definisce il nuovo comma 2-bis dell’art. 30 del TUPI, disponendo che, a decorrere dal 2026, le amministrazioni destinano alle procedure di mobilità una percentuale non inferiore al 15% della facoltà assunzionali. Le posizioni eventualmente non coperte all’esito delle predette procedure sono destinate ai concorsi. Come misura di carattere sanzionatorio, nel caso non vengano attivate le procedure di mobilità entro l’anno di riferimento, «le facoltà assunzionali autorizzate per l’anno successivo sono ridotte del 15%, con conseguente adeguamento della dotazione organica, e i comandi in essere presso l’amministrazione cessano allo scadere del termine di sei mesi dall’avvio delle procedure concorsuali e non possono essere riattivati per diciotto mesi, nemmeno per il personale diverso da quello cessato».

Il nodo retribuzioni

Definiti come il «cuore pulsante del Paese», gli enti territoriali non sempre sono adeguatamente valorizzati nell’apporto che ogni giorno danno al funzionamento della macchina amministrativa locale. Notoriamente angustiati dalle differenze retributive rispetto ai trattamenti economici percepiti dai colleghi delle Funzioni Centrali, cui peraltro deve aggiungersi anche la circostanza che il CCNL Funzioni Locali 2022-2024 sia ancora in fase di negoziazione, sembra, nondimeno, che le misure del decreto vadano nella direzione di una maggiore soddisfazione economica per i dipendenti di simili amministrazioni.

Inserito in fase di conversione, il comma 1-bis dell’art. 14 (comunque rubricato) Misure urgenti per la progressiva armonizzazione dei trattamenti economici delle amministrazioni centrali e delle agenzie, consente a regioni,  città metropolitane, le province e i comuni di aumentare la consistenza del Fondo risorse decentrate che finanzia quelle componenti della retribuzione che si aggiungono alla retribuzione base e che può comprendere premi, indennità e compensi legati alla produttività o a condizioni particolari di lavoro. In deroga all’anacronistico limite di cui all’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75/2017 «Riforma Madia», la consistenza del Fondo può essere aumentata fino al 48% delle somme destinate alla componente stabile del predetto Fondo, maggiorate degli importi relativi alla remunerazione degli incarichi di posizione organizzativa (incarichi dirigenziali o di responsabilità), sulla spesa complessivamente sostenuta nell’anno 2023 per gli stipendi tabellari del personale non dirigenziale.

Sebbene l’intervento abbia natura strutturale, nondimeno, non si può non evidenziare che la reale operatività della norma dipende anche dalla (sana) sostenibilità finanziaria dell’ente, nel senso che il reale aumento delle retribuzioni è condizionato anche dalle regole sugli spazi assunzionali, in rapporto alla capacità di spesa dell’amministrazione, per via del richiamo all’art. 33 d.l. n. 34/2019.

Inoltre, al fine di responsabilizzare maggiormente gli enti locali, la norma prevede che le PP.AA. indichino la maggiore spesa sostenuta derivante dall’incremento delle risorse destinate al trattamento accessorio del personale, pena l’indisponibilità, in sede di contrattazione integrativa, di somme pari al 25% delle risorse incrementali.

La versione originaria della norma contemplava misure per le sole amministrazioni centrali, volte a uniformare il trattamento economico accessorio, in sede di contrattazione collettiva integrativa, del personale dirigenziale e non dirigenziale dei Ministeri e del comparto autonomo Presidenza del Consiglio dei ministri, istituendo un fondo di 190 milioni di euro annui.

Nella stessa disposizione vengono stanziate altresì risorse per varie amministrazioni, e per adeguare anche le retribuzioni di alcune categorie di personale in regime di diritto pubblico, ossia per i dipendenti assunti a contratto dalle rappresentanze diplomatiche, dagli uffici consolari di prima categoria, dagli istituti italiani di cultura e dalle delegazioni diplomatiche speciali di cui al d.P.R. n. 18/1967.

Un’accelerazione verso la digitalizzazione?

Una buona notizia per gli specialisti ICT che sembrano trovare degno riconoscimento anche nel lavoro pubblico.

Il comma 9-novies dell’art. 4 dispone che le pubbliche amministrazioni possono individuare tra il personale in servizio e nell’ambito delle nuove assunzioni, la figura professionale del social media e digital manager, con compiti di elaborazione di strategie comunicative specifiche per i social media, in linea agli obiettivi istituzionali, al fine di rafforzare il processo di transizione digitale, di sfruttare al meglio e nel modo corretto l’implementazione delle nuove tecnologie, come l’intelligenza artificiale, e di migliorare la qualità dei servizi destinati alle imprese e ai cittadini, nonché la necessaria partecipazione dei cittadini stessi alla gestione delle politiche pubbliche.

Con la stessa ambizione sembrano muoversi i commi 5 e 5-bis inseriti nella norma “miscellanea” di cui all’art. 12, Ulteriori misure urgenti per la funzionalità della Pubblica amministrazione, ove arricchiscono i contenuti del Piano integrato di attività e di organizzazione (PIAO) con l’inserimento nel fabbisogno del personale, di specifiche professionalità per la realizzazione della transizione digitale e per l’innovazione tecnologica, con particolare riguardo all’intelligenza artificiale, alla sicurezza informatica e alla gestione dei big data.

Sempre in tema di digitalizzazione, si deve evidenziare che l’art. 7, comma 2 ha la finalità di incrementare le risorse annualmente assegnate all’associazione Formez PA – Centro servizi assistenza, studi e formazione per l’ammodernamento della P.A., autorizzando la spesa ulteriore di 1 milione di euro annui, quale contributo a favore del Dipartimento della funzione pubblica per attività di supporto allo svolgimento dei concorsi pubblici per i medi e piccoli Comuni.

Il fondo, istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, ha l’obiettivo di una piena formazione digitale, ecologica e amministrativa dei dipendenti pubblici e finanziare, e ha la finalità, tra le altre cose, della messa a punto del fascicolo elettronico del dipendente, destinato ora anche per supportare le procedure di reclutamento  e «per la realizzazione di interventi per finalità sociali, culturali, per l’innalzamento della qualità delle azioni di sviluppo della coesione sociale da parte di PA ed enti pubblici o privati senza scopro di lucro» (art. 7 comma 3).

Riflessioni conclusive

Senza entrare nel merito dell’annoso abuso della decretazione di urgenza per interventi che si dichiarano strutturali, il decreto in (sommaria) analisi difetta di sistematicità, contenendo una miriade di disposizioni che vanno oltre la volontà di risolvere le criticità che affliggono da sempre il lavoro pubblico. Pur giustificato dall’uso del sintagma “funzionalità” presente nel titolo della legge, l’intervento dà la stura ad una serie di micro-norme volte soddisfare specifiche esigenze di singole amministrazioni, difettando, per contro, di una regia unitaria che regoli semplificazioni o riforme procedurali di grande respiro.

Sono sicuramente da salutare con favore le autorizzazioni alle procedure concorsuali di particolari categorie di personale (art. 5, per Ministero dell’interno per far fronte alle problematiche dei flussi migratori; art. 6, per i Vigili del Fuoco) o il rafforzamento della Commissione RIPAM (Commissione per l’attuazione del Progetto di Riqualificazione delle Pubbliche Amministrazioni) ai fini delle gestione dei concorsi unici; ma, complici altre misure variamente disseminate nel testo, e la non felice tecnica normativa, aggravata dalle modifiche occorse in sede di conversione, sortiscono l’effetto finale di un decreto omnibus.

Ciononostante, è apprezzabile il tentativo del legislatore di uniformare alcuni dei trattamenti economici del personale, seppure un intervento concreto e fattivo sia più nelle corde della contrattazione collettiva, al netto delle idonee coperture economiche.

Resta critico invece il tema dei giovani lavoratori: sicuramente l’ampliamento del bacino di candidati che possano ambire al contratto di apprendistato con l’inserimento dei diplomati nelle maglie della norma di cui all’art. 3-ter del d.l. n. 44/2023 è positivo, perché permette l’iniezione di giovane personale con competenze tecniche nelle file delle amministrazioni; nondimeno non si può non evidenziare le criticità circa l’uso (e prima ancora la costruzione normativa) che viene fatto delle figura dell’apprendista nel lavoro pubblico (sulle evidenze riscontrate negli appena 95 contratti di apprendistato attivati nel 2024, si rinvia a M. Colombo, G. Papini, M. Tiraboschi, Contratto di apprendistato e pubblica amministrazione: una sperimentazione che non decolla, Working Paper ADAPT, 2025, n.1).

In conclusione, l’intervento tocca molti nodi irrisolti che affliggono la macchina amministrativa, mirando a un potenziamento concreto delle capacità assunzionali di molti enti, nondimeno sarebbe stato necessario un intervento riformatore che guardasse oltre l’orizzonte temporale della scadenza del PNRR, investendo anche in termini di semplificazione normativa e procedurale.

Giuseppina Papini

PhD Candidate ADAPT – Università di Siena

@PapiniGiuse