“Le persone al centro”: l’ultima frontiera della formazione nel pubblico impiego

Bollettino ADAPT 27 gennaio 2025, n. 4
 
Lo scorso 14 gennaio il Ministro della Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo ha adottato  una nuova direttiva avente come oggetto la Valorizzazione delle persone e produzione di valore pubblico attraverso la formazione. Principi, obiettivi e strumenti.
 
Gli indirizzi contenuti nella direttiva del Ministro, che innovano quelli in essere, sono da ascriversi a quanto prescritto dal PNRR e dal Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale del marzo 2021 tra Governo e Cgil, Cisl, Uil, che nell’intento di rilanciare l’efficienza della macchina statale e un potenziamento della relativa capacità amministrativa, tra le altre cose, eleva la formazione a vero e proprio diritto del dipendente pubblico (vedi A.  Impronta, M. Tiraboschi, Il diritto soggettivo alla formazione nel lavoro pubblico: una rassegna ragionata delle previsioni legali e contrattuali, CNEL, Casi e materiali di discussione: mercato del lavoro e contrattazione collettiva, Roma, 2024.) quantificandola ora in 40 ore annuali.
 
I contenuti della direttiva: i principi e gli obiettivi

 
La prima parte dell’atto ministeriale contestualizza, dal punto di vista normativo, l’istituto della formazione del personale, mutandone però il paradigma: dalla consunta “obbligatorietà” si passa ai concetti di “necessità” e di “responsabilità”. In altre parole, enumerate le varie materie ove è comunque prescritto l’obbligo formativo (es. salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, prevenzione della corruzione, contratti pubblici, lavoro agile, etc.), e individuato lo strumento di programmazione principale in mano alle Amministrazioni per pianificarne gli interventi, ossia il PIAO (Piano Integrato di Attività e Organizzazione della Pubblica Amministrazione), si tenta di innescare un mutamento culturale (e prima mentale) nel personale pubblico, facendo leva sul ruolo della formazione come «fattore motivante dell’azione pubblica».
 
Il cambio di prospettiva non esime il dirigente preposto ad uffici dirigenziali con specifiche competenze in materia di gestione del personale – e segnatamente di formazione – da responsabilità di tipo dirigenziale ai sensi dell’art. 21 del d.lgs. n. 165/2001, nel caso in cui non osservi l’obbligo di curare la formazione dei dipendenti o in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi delle politiche e dei programmi formativi, debitamente accertati dall’Organismo indipendente di valutazione della performance-Nucleo di valutazione. Simili mancanze, peraltro, incidono anche sul piano del trattamento accessorio del dirigente ai sensi dell’art. 24 del Testo Unico del pubblico impiego, andandosi a determinare, se del caso, anche una responsabilità di tipo disciplinare.
 
A prescindere dallo spettro delle conseguenze della responsabilità individuale in caso di mancata osservanza degli obblighi formativi tesi ad accompagnare il dipendente pubblico in un percorso di sviluppo delle proprie competenze, la direttiva fa leva anche sul concetto di «responsabilità collettiva di tutte le amministrazioni», riconoscendo loro il ruolo di attrici protagoniste del conseguimento dei target del PNRR.
 
Il cambio di passo dovrebbe avvenire configurando la formazione come un valore, anzi, come un fattore generatore di valore pubblico: non è solo un «catalizzatore della produttività e dell’efficienza organizzativa», ma anche un conduttore per il rafforzamento di principi dell’equità sociale e dell’inclusività, qualora si verta in aree come l’etica, l’analisi delle politiche e il coinvolgimento degli stakeholders, preparando il dipendente pubblico a «migliorare la progettazione e l’implementazione di programmi e servizi volti a ridurre le disuguaglianze e promuovere l’equità nella fornitura dei servizi».
 
Un rafforzamento, una diversificazione e un ampliamento delle competenze, delle conoscenze e delle abilità (le c.d. hard skills) del dipendente pubblico da svolgersi non in via episodica, bensì in maniera sistematica e con un orizzonte temporale che travalichi il breve termine affinché possa sortire positivi effetti interni, tra la comunità dei dipendenti, ma anche all’esterno delle amministrazioni.
 
La direttiva, ed è questa una interessante novità, adotta un approccio multidimensionale della formazione: l’analisi dei fabbisogni formativi deve infatti considerare una dimensione organizzativa (gli obiettivi e i tempi della formazione), professionale (diretto a colmare il gap tra compiti e performance richiesta), individuale (a seconda del ruolo e del potenziale del dipendente) e di riequilibrio demografico. Quest’ultimo aspetto evidenzia l’attenzione a determinate categorie della comunità lavorativa, ad esempio con riferimento ai neoassunti, ai dipendenti con esperienza o ai dipendenti con disabilità, che necessitino di percorsi formativi dedicati.
 
Oltre all’aggiornamento e la crescita delle conoscenze tecniche e teoriche coerenti con il proprio percorso lavorativo e lo sviluppo delle capacità relazionali, la direttiva si preoccupa di mettere in luce «una delle cause alla base del divario, anche ampio, tra potenzialità individuali, in termini di conoscenze e competenze, e performance realizzate», ossia la fattiva «crescita della coscienza del ruolo ricoperto da ciascuna persona».
 
Investire sulla coscienza del ruolo del dipendente pubblico significa abbracciare una «educazione umanistica», che consenta all’individuo di comprendere «la significatività delle attività da svolgere, la relazione fra queste e quelle svolte dalle altre persone con le quali deve interagire e, quindi, dare valore al contributo che il suo lavoro fornisce al raggiungimento degli obiettivi dell’amministrazione nel suo complesso».
 
In conclusione, gli obiettivi della direttiva possono essere così sintetizzati:

1. definire «soluzioni formative funzionali al raggiungimento degli obiettivi strategici del PNRR»;

2. individuare «i presupposti per un sistema di monitoraggio e valutazione della formazione e del suo impatto sulla creazione di valore pubblico, a supporto della pianificazione strategica delle singole amministrazioni e della definizione di policy a livello di sistema».
 
Quali aree di intervento per la formazione?

 
Come si può apprezzare dalla tabella sottostante, nel tentativo di rafforzare la capacità amministrativa di tutte le amministrazioni pubbliche, cinque sono le aree di competenze trasversali, enucleate nell’ambito della strategia del PNRR, e coerenti con la Comunicazione della Commissione Europea sul rafforzamento dello spazio amministrativo europeo (ComPAct): le competenze di leadership, le soft skills, le competenze per la transizione amministrativa; per la transizione digitale e per la transizione ecologica.
 
Figura 1 – Le aree di competenze trasversali del personale pubblico nella strategia del PNRR

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Fonte: Direttiva sulla formazione del Ministro per la Pubblica Amministrazione
 
In realtà, la direttiva ministeriale rappresenta la trasposizione della comunicazione europea ComPAct nell’ordinamento italiano, e concretamente, significa compulsare ogni Amministrazione a predisporre nell’ambito dei propri strumenti di programmazione, ossia, nel PIAO (per PA con più di 50 dipendenti), gli interventi formativi, nella sezione dedicata all’organizzazione e al capitale umano, evidenziando le azioni necessarie per sviluppare le competenze di leadership (come da direttiva ministeriale del 28 novembre 2023); le soft skills (come da decreti ministeriali del 28 settembre 2022 e 28 giugno 2023) e quelle misure da adottarsi per realizzare la transizione amministrativa, digitale ed ecologica.
 
Il documento dedica un approfondimento ai tre concetti e processi di transizione che vedono coinvolti gli enti pubblici di ogni tipo, rammentando che «le competenze manageriali e di leadership dei dirigenti pubblici e le soft skills di dirigenti e dipendenti sono trasversali alle competenze abilitanti i processi di transizione delle amministrazioni (digitale, ecologica e amministrativa), in quanto ne costituiscono il principale fattore di attivazione e guida».
 
Sinteticamente, tenendo a mente che per ciascun tipo di processo di transizione vi sono competenze di base e competenze specialistiche (vedi la tabella che segue), si evidenzia che per:

1. transizione amministrativa, si intende il processo di smantellamento degli appesantimenti burocratici già iniziato con i processi di semplificazione amministrativa e normativa, ma non solo. Si tratta di una nuova relazione dell’amministrazione con il futuro, che conta sullo sviluppo di un atteggiamento proattivo, anticipante, resiliente, teso a innescare un cambio culturale del personale, per gestire e accompagnare le trasformazioni in atto, riconducibili a norme, strategie e indirizzi sovranazionali (PNRR, fondi di coesione) e nazionali (riforme istituzionali e amministrative), shock esogeni, spesso determinati da crisi sistemiche (ad esempio, economica, sanitaria, etc.). In sostanza, si vuole costruire una buona amministrazione in numerosi ambiti, tra cui la gestione di acquisti o la gestione delle risorse finanziarie (anche europee) che tenga conto di una pertinente valutazione ex ante e di una proficua misurazione ex post;

2. transizione digitale: comprende non solo la c.d. «IA literacy» ossia la «comprensione dell’esistenza di di applicazioni di intelligenza artificiale», atteso il grande potenziale che potrebbero avere anche in ambito pubblico, ma anche la progressiva digitalizzazione dei processi (es. e-procurement in materia di appalti) che importano una solida formazione in tema competenze tecniche di dominio che riguardano metodi, regole e strumenti;

3. transizione ecologica: sulla scorta del quadro europeo delle competenze in materia si sostenibilità (GreenComp), si intende edificare a) una più spiccata sensibilità individuale e collettiva negli ambienti di lavoro, volta, ad esempio, al risparmio energetico negli edifici o all’applicazione di soluzioni di mobilità sostenibile; b) traducendo in seconda battuta simili valori in azioni concrete, come ad esempio, l’applicazione di procedure di autorizzazione per gli impianti che sfruttano fonti rinnovabili e promuovere le comunità dell’energia rinnovabile (CER); c) per poi costruire idonei sistemi di monitoraggio per la gestione e la rendicontazione della sostenibilità.
 
Figura 2 – Framework degli obiettivi di sviluppo delle competenze del personale delle amministrazioni pubbliche per la transizione amministrativa, digitale ed ecologica

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Fonte: Direttiva sulla formazione del Ministero per la Pubblica Amministrazione
 

Come creare valore nella PA? La risposta è l’offerta formativa di Syllabus, ma non solo.
 
Ciascuna amministrazione ha l’onere di registrarsi alla piattaforma Syllabus, abilitando tutti i dipendenti alla fruizione dei corsi ivi previsti, con speciale attenzione ai temi della transizione amministrativa, digitale ed ecologica «in quanto necessari per l’attuazione dei processi di innovazione del PNRR, delle sue milestones e dei suoi target». Oltre ai consueti obblighi formativi previsti dalle discipline di settore, le amministrazioni assegnano ai propri dipendenti percorsi formativi anche sull’etica e in tema di contrasto alla violenza contro le donne; con riguardo al lavoro agile, oltre che con riguardo alle competenze manageriali e la leadership, e sulle soft skills, come evidenziato in precedenza.
 
Qualora l’offerta formativa di Syllabus non sia sufficiente al raggiungimento degli obiettivi delle amministrazioni, soccorrono i programmi di formazione predisposti dalla Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA) e dal Centro servizi, assistenza, e formazione per l’ammodernamento della PA (FORMEZ). Ma dal testo della direttiva emerge anche la possibilità per le PP.AA. di accedere ai finanziamenti del PNRR messi a disposizione dal Dipartimento della funzione pubblica (ad esempio, progetto PerForma PA), oppure utilizzando le proprie risorse finanziarie optando per la formazione in house, o ancora, promuovendo «l’iscrizione a condizioni agevolate dei propri dipendenti ad una ricca offerta formativa, che comprende corsi di laurea triennali e specialistici, master di I e di II livello delle Università aderenti all’iniziativa “PA 110 e lode”».
 
Resta da segnalare la previsione, al punto 6 della direttiva ministeriale, circa il set di informazioni che le PP.AA. devono indicare per ciascun intervento formativo (es. aree di competenza, ore, modalità di fruizione, in presenza/webinar/apprendimento autonomo, tempi di erogazione) all’interno della Sezione 3 – Organizzazione e capitale umano. 3.3 Piano triennale dei fabbisogni del personale) del Piano Integrato di Attività e Organizzazione della Pubblica Amministrazione (PIAO).
 
Vi sono infine anche prescrizioni in tema di monitoraggio: le amministrazioni pubbliche verificano il contributo e l’impatto determinato dagli investimenti in formazione e sviluppo del capitale umano per la crescita delle persone, il miglioramento della performance e la produzione di valore pubblico, in coerenza con le Linee guida in materia di predisposizione del PIAO, di prossima emanazione.
 
Riflessioni conclusive
 
La direttiva del Ministro della funzione pubblica è un segnale importante rispetto alla volontà politica di rilanciare la pubblica amministrazione investendo sulla professionalità e le competenze del dipendente pubblico. Per evitare di replicare errori del passato, che invero condizionano lo sviluppo della professionalità anche nel settore privato, è bene evidenziare, in sede di riflessioni finali, come la formazione in sé sia un’arma spuntata là dove non venga ancorata a precisi standard professionali di riferimento che, nel mondo del lavoro, sono storicamente individuati e alimentati dai sistemi di classificazione e inquadramento del personale.
 
Seppure la direttiva contenga un timido accenno alla necessaria interdipendenza dello «sviluppo delle competenze nelle progressioni professionali e ai fini dell’attivazione delle c.d. elevate professionalità» (per una disamina degli ordinamenti professionali nelle ultime tornate contrattuali sia consentito il rinvio a A. Ferraguzzo, G. Papini, Professionalità e classificazione del personale nel lavoro pubblico, in CNEL, Casi e materiali di discussione: mercato del lavoro e contrattazione collettiva, Roma, 2024), si deve dare atto della persistente difficoltà pratica nel costruire canali di comunicazione funzionali tra i modelli di competenze sin qui delineati e i sistemi di classificazione e inquadramento del personale.
 
Una maggiore coscienza del ruolo, correttamente imputato a fattore determinante nel colmare il divario tra potenzialità individuali e performance richiesta al lavoratore pubblico, è poca cosa se non vengono incardinati sistemi tali da legare a doppio filo le competenze acquisite tramite i programmi formativi delineati con i percorsi di sviluppo delle carriere e le relative premialità economiche.
 
Il rischio è quello di restare sul piano delle norme-annuncio, o meglio, dei buoni propositi, spesso rimasti inattuati, come recentemente testimoniato da due sperimentazioni in tema di apprendistato (sulle evidenze riscontrate negli appena 95 contratti di apprendistato attivati nel 2024, si rinvia a M. Colombo, G. Papini, M. Tiraboschi, Contratto di apprendistato e pubblica amministrazione: una sperimentazione che non decolla, Working Paper ADAPT, 2025, n.1)
 
Giuseppina Papini

PhD Candidate ADAPT – Università di Siena

@PapiniGiuse

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