La prova di avvenuta notifica delle ordinanze e delle ingiunzioni. Qualche riflessione sulla nota dell’INL

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Bollettino ADAPT 11 aprile 2022, n. 14
 
Con propria nota del 4 maggio 2021 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha stabilito che «dal punto di vista dell’Amministrazione notificante, la prova del perfezionamento della notifica, in quanto espressione di un onere posto a suo carico ai sensi dell’art. 2697 c.c., può essere fornita solo con la produzione in sede giudiziale, oltre che dell’attestato di spedizione della raccomandata informativa, dall’avviso di ricevimento della raccomandata con cui è stato comunicato l’avvenuto deposito dell’atto oggetto di notifica presso l’ufficio postale, senza che possa ritenersi sufficiente la prova della mera spedizione della prima. Ha  aggiunto inoltre  che «l’utilizzo delle modalità di notifica degli atti tramite il servizio postale [….]nell’ipotesi in cui non sia pervenuta la ricevuta di ritorno al mittente dell’atto entro tempi congrui [….] ovvero nell’ipotesi in cui risulti il mancato perfezionamento della notifica da parte dell’agente postale (ad es. mancato invio della raccomandata informativa) richiede il sollecito – preferibilmente per iscritto – all’ufficio postale per avere i riscontri del caso circa il mancato ritorno dell’atto e/o dell’avviso o per richiedere all’agente postale di perfezionare l’iter notificatorio secondo i dettami di legge».
 
Tali verifiche, conclude la nota INL, «vanno effettuate in particolare in relazione alla notifica, da parte del personale ispettivo, dei verbali e, da parte del personale degli Uffici legali, delle ordinanze ingiunzione».
 
La nota dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro prende le mosse dalla sentenza n. 10012 del 15 aprile 2021 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, che risolve il contrasto interpretativo insorto all’interno della giurisprudenza di legittimità sull’art.8 della legge n. 890/1982 che trovava contrapposti due diversi indirizzi giurisprudenziali.
 
Secondo un primo indirizzo interpretativo (Cass. Sez. Un. 1° febbraio 2012, n. 1418):  a) l’atto di ritiro della notifica entro il termine di 10 giorni dal deposito presso l’ufficio postale non costituisce un termine processuale, potendo la raccomandata  essere ritirata nel termine più ampio dei 6 mesi, fermi restando gli effetti legali che si producono nel primo termine; b) ai sensi dell’art. 149 c.p.c la notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, al momento della consegna del plico all’ufficiale giudiziario e, per il destinatario, dal momento in cui lo stesso ha la legale conoscenza dell’atto; c) la stessa disposizione processuale, nella parte stabilisce che la notifica si perfeziona per il destinatario dal momento in cui questo “ha la legale conoscenza dell’atto”, tiene conto, per ragioni di coerenza sistematica, proprio del fatto che nella notificazione a mezzo del servizio postale il perfezionamento della notifica non sempre coincide con il materiale recapito o ritiro del piego raccomandato da parte del notificato, potendo invece coincidere, come nella specie, con l’inutile spirare del termine di “compiuta giacenza“, di cui alla L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 4.
 
Decorso il termine predetto dei 10 giorni si presume pertanto la conoscenza legale dell’atto ad opera del destinatario (senza necessità di esibire in giudizio la cd “seconda raccomandata”), e tale termine è considerato quale dies a quo per l’esplicazione delle attività difensive connesse all’atto notificato.
 
Nel motivare la sua interpretazione, la Corte sottolinea che l’art. 8 della L. 890/1982 «realizza due diversi e contrapposti interessi: quello del notificante, che sia assicurato un termine finale per il perfezionamento del procedimento di notificazione, oltre il quale la notificazione si ha per eseguita anche in mancanza di ritiro del piego depositato da parte del destinatario; quello del notificato, in caso di mancato recapito,  a disporre di un termine ragionevole per il ritiro della raccomandata presso l’ufficio postale, «essendo tale termine rispondente al diritto del destinatario ad essere posto in condizione di conoscere il contenuto dell’atto e l’oggetto della procedura instaurata nei suoi confronti, non potendo ridursi il diritto di difesa del destinatario medesimo ad una garanzia di conoscibilità puramente teorica dell’atto notificatogli».

 

Un secondo e più recente indirizzo giurisprudenziale (Cass. 21 febbraio 2019, n. 5077, Cass. 20 giugno 2019, n. 16601, Cass. 05 marzo 2020, n. 6363), fatto proprio dalle Sezioni Unite nella sentenza 10023/2021 qui in esame, stabilisce per contro che «in tema di notifica di un atto impositivo ovvero processuale tramite il servizio postale secondo le previsioni della L. n. 890 del 1982, qualora l’atto notificando non venga consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo ovvero per temporanea assenza del destinatario stesso ovvero per assenza/inidoneità di altre persone a riceverlo, «la prova del perfezionamento della procedura notificatoria può essere data dal notificante esclusivamente mediante la produzione giudiziale dell’avviso di ricevimento della raccomandata che comunica l’avvenuto deposito dell’atto notificando presso l’ufficio postale (c.d. CAD), non essendo a tal fine sufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della raccomandata medesima […..] in quanto solo l’esame di detto avviso consente di verificare che il destinatario abbia avuto effettiva conoscenza del deposito dell’atto presso l’ufficio postale e che ne sia stato pertanto tutelato il diritto di difesa» .
 
In base a questo ragionamento, risulta pertanto «imprescindibile», ai fini della regolarità della notifica, l’esibizione in giudizio anche dell’avviso di ricevimento relativo alla raccomandata contenente la C.A.D, «in considerazione del fatto che solo la verifica dell’effettivo e corretto inoltro di tale avviso di ricevimento a cura dell’ufficiale postale consente di acquisire la prova che sia stata garantita al notificatario l’effettiva conoscenza dell’avvenuto deposito dell’atto presso l’ufficio postale».
 
La CAD, unitamente all’attestazione di spedizione, costituiscono dunque, secondo l’orientamento giurisprudenziale fatto proprio dalla sentenza 10023/2021, i due elementi necessari a garantire l’effettiva conoscibilità dell’atto notificando, e a dar prova del perfezionamento della procedura notificatoria secondo le previsioni dell’art.8 della L.890/1982
 
In posizione intermedia, ma non contraddittoria, tra i due orientamenti si pone tuttavia la sentenza n.4485 della Cassazione Penale, del 3 febbraio 2020, che ha ritenuto “non condivisibile” la decisione del Tribunale che aveva dichiarato inammissibile l’istanza contenuta nella raccomandata (ndr: relativa alla sostituzione di misure cautelari), non riconoscendo alcuna valenza alla stampa dell’esito della notifica tratto dal “sito web” delle Poste italiane, in quanto documento “privo di alcuna prova di provenienza”, che «non consente di ritenere dimostrato che la missiva sia pervenuta nella sfera di conoscibilità del destinatario, in base al meccanismo di conoscenza presunta stabilita dal legislatore».
 
Nella citata sentenza, dopo aver richiamato (anche in tal caso) la necessità di bilanciare le ragioni della parte offesa (ad essere celermente informata ed a “contraddire” la richiesta) e quelle dell’autore del reato (ad ottenere una decisione rapida sul proprio status libertatis – e dopo un articolato excursus sulla necessità di assicurare «la massima semplificazione processuale con eliminazione di ogni atto non essenziale» – la Corte Penale ha concluso invece che, nella fattispecie esaminata, l’istanza non presentava il vizio di inammissibilità ex art. 299 comma-4 bis cod. proc. pen. poiché risultava che il difensore dell’imputato aveva proceduto alla notificazione dell’istanza mediante raccomandata con avviso di ricevimento, che la notificazione è stata indirizzata al domicilio risultante in atti della persona offesa e che la notificazione si era perfezionata “per compiuta giacenza” risultante dai documenti “scaricati” dal sito web delle poste nel quale si attestava che: “la spedizione non è stata ritirata dal destinatario e sarà restituita al mittente”.
 
Le decisioni della Corte Suprema sono in parte contrastanti ma anche (in buona parte) coincidenti; possono quindi essere armonizzate nel senso che, ai fini della validità della notifica di un atto legale:

a) non è sufficiente la mera attestazione dell’avvenuta spedizione della raccomandata;

b) la produzione della C.A.D. in giudizio, necessaria, insieme all’attestazione, a dar prova dell’avvenuta notifica, può essere sostituita dalla produzione del report scaricato sul sito web delle Poste (che si ottiene mediante il semplice inserimento del codice numerico di riconoscimento della raccomandata che compare sotto il codice a barre dell’attestazione di avvenuta spedizione).
 
Di contrario avviso, la Nota dell’INL qui in esame, dopo aver premesso che “gli Uffici (dell’INL mittente), all’atto della costituzione, saranno sempre tenuti alla produzione in giudizio sia dell’atto di spedizione che dell’avviso di ricevimento della raccomandata (CAD)”, non sembra riconoscere il report delle Poste come documento “alternativo” valido ai fini della corretta prova di notifica ai sensi della l.390/1982, ritenendo indispensabile la produzione in giudizio della C.A.D rappresentata dalla (sola) “cartolina verde” con cui vengono spediti atti e comunicazioni a contenuto giudiziario relativi al processo (civile o penale) ovvero al procedimento amministrativo (sanzioni, comunicazioni della Agenzia delle Entrate, delle Forze di Polizia, ecc).
 
Nella sua nota l’Ispettorato richiama infatti la (risalente) sentenza della Suprema Corte n.  14574/2018 che stabiliva la necessità di produzione in giudizio del CAD o di un duplicato dell’avviso di ricevimento rilasciato dall’Ufficio postale «in quanto costituisce il solo documento idoneo a provare sia la consegna della raccomandata sia la data di questa, sia l’identità della persona a mani della quale la consegna è stata eseguita».
 
Dal ché l’INL fa discendere la certezza della notifica dei verbali e delle ordinanze ingiunzioni alle annotazioni solo attraverso le annotazioni che l’agente postale appone sulla “cartolina verde” quando lo restituisce al mittente, dalle quali cui «può emergere che la raccomandata non è stata consegnata perché il destinatario risulta trasferito, oppure deceduto o, ancora, per altre ragioni che rivelano che l’atto in realtà non è pervenuto nella sfera di conoscibilità dell’interessato e che, dunque, l’effetto legale tipico, a tale evento ancorato, non si è prodotto».
 
L’interpretazione non convince, perché allarga la portata nomofilattica della decisione delle Sezioni Unite n.10023/2021 (come detto richiamata dalla stessa INL) inserendo elementi aggiuntivi che, per quanto utili all’Ufficio procedente, non sembrano necessari ai fini della validità della notifica, e comunque superati dalla giurisprudenza successiva alla sentenza n.14574/2018 surrichiamata.
 
Per argomentare meglio quanto qui affermato sembra tuttavia opportuna una breve ricostruzione dei fatti di causa da cui ha dato origine alla decisione 10023/2021 delle Sezioni Unite.
 
La vicenda prende le mosse dalla (contestata) notifica di una cartella di pagamento di Equitalia relativa ad un avviso di accertamento IRPEF, a fronte della quale il destinatario (ricorrente) lamentava di non aver ricevuto la cartella esattoriale contestando quindi l’inesistenza di un titolo esecutivo (iscrizione a ruolo) legittimante la minacciata esecuzione. La Commissione Tributaria di appello respingeva il ricorso, inducendo l’interessato a ricorrere in Cassazione, che a sua volta, con ordinanza n. 21714 dell’ 8 ottobre 2020, rimetteva gli atti al Primo Presidente per l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite «al fine di risolvere il contrasto sulla questione [della modalità di] assolvere l’onere di provare il perfezionamento di una procedura notificatoria di un atto impositivo mediante l’impiego diretto del servizio postale nel caso della temporanea assenza del notificatario (c.d. “irreperibilità relativa”) ed in particolare se possa considerarsi sufficiente la prova della spedizione della raccomandata informativa (CAD) ovvero se sia invece necessario il deposito dell’avviso di ricevimento di tale raccomandata».
 
Agli atti del processo, dunque, risultava prodotta la sola attestazione di spedizione della raccomandata ma non la ricevuta di ritorno (cosiddetta C.A.D.), a fronte della quale la Suprema Corte, adeguandosi al secondo orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, confermava (né più né meno) che la sola attestazione di spedizione non è sufficiente a provare l’avvenuta notifica della raccomandata medesima in conformità all’art. 8 della L. 890/1982.
 
Nella sentenza 10023/2021, quindi, la Corte non ha contestato la validità “alternativa” del report delle poste, ma esclusivamente il fatto che in giudizio era stata prodotta la sola attestazione di avvenuta spedizione della raccomandata. Il che cambia sostanzialmente la prospettiva interpretativa, confermando che le (varie) decisioni assunte nel tempo dalla Suprema Corte sostanzialmente convergono sul punto che per provare l’avvenuta (e corretta) notifica dell’atto occorre produrre in giudizio sia l’attestato della spedizione sia il CAD di compiuta giacenza della raccomandata, indipendentemente dalla “tipologia” del documento che fornisce la prova (“cartolina verde” o “report” estratto dal sito web delle Poste).
 
Che questa possa ragionevolmente considerarsi l’interpretazione esatta ci è confermata, a parere di chi scrive, dagli stessi elementi (probatori della regolarità della notifica) raccolti dal servizio postale, rintracciabili accedendo al sito web delle Poste al link “cerca raccomandate”.
 
Dalla “LEGENDA DEGLI STATI DI SPEDIZIONE”, si può infatti prendere conoscenza dell’iter seguito dalle Poste per dare affidabilità e certezza giuridica alla notificazione. Che si svolge con le modalità che qui testualmente si riportano: a) – Presa in carico: la spedizione è stata accettata e sarà a breve inserita nel ciclo di lavorazioni che la indirizzeranno verso la destinazione finale; b) In Lavorazione: sono in corso le operazioni necessarie al trasferimento della spedizione verso la destinazione finale (scansione dati, verifica indirizzi…) [….]. Può accadere che spedizioni “in consegna” tornino nello stato “in lavorazione”: significa che la consegna non è andata a buon fine, e che sono necessarie ulteriori operazioni (es. trasferimento verso altro indirizzo, invio alla struttura di giacenza, restituzione al mittente); c) In transito: è in corso il trasferimento della spedizione da un Centro Operativo ad un altro; d) In attesa di sdoganamento (omissis); e) Partita dal Centro di Scambi Internazionale (omissis); f) In Consegna: la spedizione è arrivata nella struttura preposta alla consegna. In alcuni casi può verificarsi che: – la consegna sia stata già effettuata, ma il sistema non sia stato ancora aggiornato (si suggerisce di verificarne l’allineamento nelle ore successive); – lo stato rimanga invariato da più giorni, sebbene la consegna non sia ancora avvenuta (suggeriamo di controllare di aver ricevuto un avviso contenente le istruzioni per il ritiro della spedizione);   g) – Consegnata in digitale: la raccomandata è stata ritirata in modalità digitale con il servizio Ritiro Digitale. Il ritiro in modalità digitale è sempre alternativo al ritiro in modalità fisica; pertanto non sarà più possibile ritirare fisicamente la Raccomandata presso l’ufficio postale; h) Restituzione al mittente: non è stato possibile consegnare la spedizione, che sarà resa al mittente, per una delle seguenti ragioni: 1) il destinatario era assente, ed è scaduto il tempo di giacenza previsto;  2) l’indirizzo o il nominativo del destinatario non erano corretti; 3) il destinatario ha rifiutato la consegna o non era raggiungibile; 4) il mittente ha richiesto la restituzione della spedizione.
 
Gli elementi raccolti dal servizio postale appaiono dunque sufficienti ad assolvere gli obblighi di notifica in conformità alla normativa di riferimento ed alle decisioni della Corte Suprema, senza interrompere il flusso degli adempimenti conseguenti alle notifiche di Verbali e di Ordinanze nel caso in cui, per le tante e molteplici motivazioni e disservizi organizzativi (degli Uffici interni o delle Poste) la produzione in giudizio delle “cartoline verdi” diventa difficile (o impossibile perché pervenuta fuori tempo massimo), rallentando il lavoro dei Giudici e dei Funzionari e/o creando pregiudizi ai procedimenti in corso.
 
La scelta del report postale, che resta comunque alternativo alla cartolina verde, va peraltro a favore del mittente e del destinatario, nel corretto bilanciamento di quegli interessi richiamati dalla stessa citata giurisprudenza della Corte, ed a favore dell’economia processuale, che costituisce (rectius: dovrebbe costituire) il perno di una mai raggiunta e sempre tentata semplificazione amministrativa, cui da 30 anni si pone mano senza mai riuscire a fare sostanziali passi avanti.
 
Antonio Tarzia

ADAPT Professional Fellow

La prova di avvenuta notifica delle ordinanze e delle ingiunzioni. Qualche riflessione sulla nota dell’INL