La formazione continua alla prova della pandemia: osare insieme nuovi “campi di opportunità e di scelta”

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Bollettino ADAPT XXXXX 2021, n. XXXXXXXX

 

Sintesi dell’Intervento al seminario tematico “Financial incentives for research and development and skills investments” promosso da BusinessEurope, ETUC, Sgi Europe, SMEunited nell’ambito del progetto: “Skills, Innovation and Training” (VS/2019/0431), Venerdì 11 giugno 2021.

 

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Un breve inquadramento sulla formazione continua e i fondi interprofessionali in Italia

 

È utile, in un contesto europeo, fare memoria di come sono nati in Italia i fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua.

 

I fondi interprofessionali, noti anche con Fondi dello 0,30%, sono normati da una legge nazionale risalente a oltre vent’anni fa: la legge 388/2000, parzialmente modificata dall’art. 48 delle legge 289/2022.

 

I fondi, gestiti pariteticamente dalle organizzazioni datoriali e sindacali, vengono finanziati con il prelievo dello 0,30% dei salari dei lavoratori delle imprese aderenti (un contributo obbligatorio che, con finalità diverse, le aziende italiane versano fin dal 1978).

 

Il fine dei fondi interprofessionali era ed è quello di “promuovere lo sviluppo della formazione continua in un’ottica di competitività delle imprese e di garanzia di occupabilità dei lavoratori”.

 

Gli anni che hanno portato alla nascita dei fondi erano caratterizzati da quella che veniva definita, un po’ pomposamente, con la strategia europea di Lisbona, la “società della conoscenza” e che, vent’anni dopo, si confronta oggi con le trasformazioni produttive della quarta rivoluzione industriale e le sfide inedite della pandemia da Coronavirus.

 

La caratteristica più evidente dei Fondi Interprofessionali sta nella loro natura associativa. Essi sono promossi attraverso specifici accordi interconfederali dalle organizzazioni di rappresentanza delle parti sociali maggiormente rappresentative sul piano nazionale.

 

I fondi possono essere costituiti per ciascuno dei settori economici dell’industria, dell’agricoltura, del terziario, dell’artigianato e per settori diversi. Esistono fondi interprofessionali autonomi o sezioni dei fondi generali specifici per la formazione dei dirigenti.

 

I fondi finanziano “in tutto o in parte Piani formativi aziendali, territoriali, settoriali, e individuali concordati tra le Parti sociali”, nonché “eventuali iniziative propedeutiche direttamente connesse, come, ad esempio, le analisi generali dei fabbisogni formativi.

 

Politiche attive e formazione: “rovesciare il sistema”?

 

La domanda fondamentale rispetto al funzionamento dei fondi interprofessionali può essere la seguente: aziende e lavoratori conoscono realmente il loro fabbisogno formativo, tanto più in contesti di vertiginoso e fulmineo cambiamento, accelerato dalla pandemia?

 

L’offerta formativa incrocia la complessità e differenziazione dei numerosi settori produttivi, da quelli più tradizionalmente industriali e strutturati a settori con dinamiche ed esigenze differenti come il turismo, i servizi alla persona e le tecnologie avanzate.

 

A queste considerazioni non si può non aggiungere l’enorme trasformazione, da  molteplici punti di vista, (offerta, fruizione, obiettivi, contenuti, attestazione) dei processi formativi e causata dalla pandemia, in tutto il mondo e in tutti i settori, pur con incidenze quantitative diverse.

 

È necessario tenere presenti le diverse esigenze delle persone: di chi si inserisce nel mercato del lavoro e di chi punta invece a un investimento sulle proprie competenze, sia all’interno dell’azienda, sia per migliorare le proprie condizioni di «occupabilità» trasversali nel mercato del lavoro.

 

Le direttrici di impegno sono molteplici: oltre alla formazione professionale e continua vanno tenuti in considerazione i progetti e i fondi europei (ovviamente a partire da Next Generation Eu, ma senza dimenticare anche la nuova programmazione ordinaria 2021-2027 dei Fondi Strutturali).

 

A questi ambiti si aggiunge il supporto ad aziende e lavoratori che investono sulla mobilità transnazionale, la formazione a distanza, il ruolo trasversale dello smart working. Non va dimenticata l’alta formazione in apprendistato (sistema duale incluso), il cui decollo reale è ancora lontano da livelli, qualitativi e, soprattutto, quantitativi, accettabili.

 

Al di là dei molti slogan di facile successo, ma di evidente indeterminatezza, come la «necessità di portare la formazione in azienda», va rafforzata la consapevolezza che la domanda di formazione non esiste di per sé, ma è un aspetto che va costruito, vagliato, strutturato, ri-verificato.

 

Appare necessario riscoprire un ruolo dirimente del raccordo strategico tra parti sociali e istituzioni, ad ogni livello, attraverso la centralità nella rete di costruzione sociale dell’offerta formativa.

 

Per fare ciò, occorre porsi un interrogativo: quanto gli attori (lavoratori e imprese) sono collegati con il mondo deputato alla costruzione sociale dell’offerta formativa e quanto, d’altro canto, gli enti erogatori della formazione (anche in rapporto ai sistemi istituzionali regionali) sanno rispondere e riconoscere le reali e spesso differenziate esigenze degli attori?

 

Al di là della retorica sulla «riscoperta della vocazione formativa dell’impresa», occorre andare più in profondità e analizzare, nella formazione professionale e continua, come strutturare quel sistema di rete che è fondamentale per innovare e rendere più efficiente la formazione nel suo complesso.

 

Non si tratta quindi di capovolgere il sistema della formazione in Italia, ma di rigenerarlo concretamente, accogliendo anche la sfida dell’integrazione dei sottosistemi della formazione e del welfare attivo, a partire dalla matrice della contrattazione collettiva.

 

Se, come ha giustamente sottolineato Tommaso Nannicini (vedi T. Nannicini, prefazione al volume: L. Campagna, M. Lizza, L. Pero, R. Rossini, La fabbrica delle competenze e della dignità. Idee e progetti per il Pnrr: il Next Generation Italia, Edizioni Lavoro, Roma, 2021), “nel piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) c’è una giusta enfasi sulle politiche attive del lavoro, di orientamento e della formazione (permanente), sugli Its e sull’istruzione professionale, non è la prima volta che questi obiettivi vengono fatti propri da documenti ufficiali”.

 

Per passare dalle parole ai fatti, continua Nannicini, occorrono alcuni fattori:

  • Risorse finanziarie (fine delle riforme a costo zero);
  • Un sistema di governance istituzionale ed amministrativa chiara che responsabilizzi gli attori pubblici, privati e del privato sociale;
  • Una forte e non teorica integrazione tra politiche attive e passive
  • Una visione consapevole del cambiamento

Personalizzare, non individualizzare. Le sfida del Fondo Nuove Competenze e l’integrazione con i Fondi Interprofessionali

 

Nella pandemia, abbiamo riscontrato alcuni rischi: chi propone di “smontare” o “individualizzare” tout court il modello formativo rischia di indebolire il collegamento con i sistemi di politiche attive del lavoro e mortificare attori e strumenti nel loro complesso.

 

Se manca o si svilisce il pilastro puramente formativo nelle politiche attive appare inevitabile che tutte le considerazioni sul mix tra formazione e strumenti di welfare, anche attraverso i contratti nazionali e aziendali di lavoro, rischino di crollare, portando a duplicazione e spreco di risorse.

 

Uno strumento innovativo e un banco di prova non privo di difficoltà, è costituito dal Fondo Nuove Competenze: un fondo pubblico cofinanziato dal Fondo sociale europeo, nato per contrastare gli effetti economici dell’epidemia Covid-19.

 

Esso permette alle imprese di adeguare le competenze dei lavoratori, destinando parte dell’orario alla formazione. Le ore di stipendio del personale in formazione sono a carico del fondo, grazie ai contributi dello Stato e del Fse, con la previsione della validazione tramite accordi collettivi che, in alcuni ambiti, hanno avuto estensione territoriale e coinvolto piccole aziende e lavoratori spesso privi di diretta rappresentanza sindacale.

 

Il Fondo rappresenta un’opportunità che deve essere correttamente interpretata e ben sfruttata: non è possibile trasformarlo in una forma impropria di ammortizzatore sociale senza conseguenze reali sull’occupabilità delle persone.

 

Diversi fondi interprofessionali hanno pubblicato bandi pensati appositamente per dialogare con il Fondo Nuove Competenze e rendere compatibili le proprie attività con le risorse del Fondo stesso.

 

Tornando ai problemi strutturali: i dati sulla formazione continua in Italia, pur moderatamente positivi, presentano consuete e consolidate criticità: il tipo di fruitori (aziende e lavoratori), pur con eccezioni tende ad aumentare e non a diminuire le disuguaglianze nel nostro mercato del lavoro.

 

Obiettivi diversi, ma integrati nella prospettiva del Pnrr

 

L’utilizzo delle risorse dei Fondi interprofessionali, in collegamento con la contrattazione e le politiche attive del lavoro, anche a fronte dell’innegabile fallimento del binomio “navigator-reddito di cittadinanza”, può, inoltre, costituire uno dei cardini per accompagnare gli accordi tra governo e Regioni e parti sociali, volti a integrare le risorse nazionali disponibili con una parte delle risorse europee, a partire dagli interventi formativi e per l’occupabilità per i lavoratori colpiti dalla crisi.

 

Si pensi, ovviamente, allo specifico Fondo Sure o alle opportunità, più generali, che verranno fornite dal Recovery Plan e dall’implementazione del Piano di Ripresa e Resilienza.

 

Il Recovery Plan e il Pnrr italiano, oltre a individuare l’innovazione digitale come obiettivo trasversale e centrale, riconoscono il disallineamento delle competenze come una questione cruciale che va superata investendo su formazione adeguata e dando seguito al percorso nazionale per la certificazione delle competenze stesse.

 

Gli obiettivi sono diversi, ma integrati: life long learming, reskilling e upskilling, e un’innovazione importantissima per il nostro sistema: la possibilità per i fondi interprofessionali di erogare formazione anche per i lavoratori disoccupati.

 

Sappiamo bene, infatti, quanto l’Italia sia intrappolata in uno “low-skills equilibrium” cioè uno stallo tra la scarsa offerta di competenze e una debole domanda da parte delle imprese.

 

Per queste ragioni, nell’utilizzo delle risorse dei Fondi interprofessionali nell’attuale condizione generale, in cui la pandemia condiziona metodologia e fruizione della formazione, è necessario osare il coraggio dell’innovazione, pur senza stravolgimenti di funzione o di governance.

 

Si tratta di gestire la complessità della domanda e dell’offerta formativa e analizzare le prospettive del ruolo degli enti bilaterali nel collegamento tra formazione professionale e continua e negli strumenti di orientamento nel mercato del lavoro, a partire dai giovani, senza fermarsi ad essi.

 

Come scrivono Luigi Campagna e Luciano Pero ( vedi L. Campagna, L. Pero, Formazione permanente e continua per creare lavoro e produttività, in L. Campagna, M. Lizza, L. Pero, R. Rossini, Le fabbriche delle competenze e della dignità. Idee e progetti per il Pnrr: il Next Generation Italia, Edizioni Lavoro, Roma, 2021) “una nuova stagione e un nuovo modello di formazione continua per i lavoratori sono indispensabili al nostro paese per inserirsi nel processo di sviluppo post-pandemia e per riprendere a crescere (qualitativamente) con più produttività e con più lavoro “buono” per i giovani”.

 

Per la costruzione delle «rete formativa» appare importante realizzarla nella modalità più allargata possibile, coinvolgendo, con le parti sociali, senza burocraticismi, anche il mondo dell’università, della ricerca, dei diversi enti di formazione, delle istituzioni territoriali, in primis regionali.

 

Un nuovo ponte tra impresa, saperi e società attraverso le persone

 

È cruciale che gli enti di formazione, gli enti bilaterali e i Fondi interprofessionali, diventino sempre più attori strategici nell’ancora labile collegamento tra mondi dell’impresa e del sapere.

 

Essi devono valorizzare le proprie strutture e competenze nella costruzione di un linguaggio condiviso che colleghi questi mondi, contribuendo a una rinnovata concezione dell’alternanza  scuola lavoro, attraverso una rinnovata alleanza con un mondo della scuola ancora frastornato dagli effetti della pandemia.

 

Una pandemia che ci ha dimostrato, ancora una volta, che in un momento di crisi, non si può che spingere sulla “relazione”, sui “patti di comunità” (si veda ancora la grande questione dell’istruzione) che intrecciano impresa e territorio, alla ricerca di nuove sinergie e supporti reciproci.

 

A fronte di un sistema delle imprese che deve ripensare la propria domanda formativa ed enti di formazione che propongono spesso corsi già sperimentati e ripetitivi, la scommessa sta nella rigenerazione del sistema della formazione e nel suo collegamento con gli strumenti di welfare.

 

L’Unione Europea ha  fatto dell’occupabilità il perno delle politiche da attivare per il progressivo passaggio dalla tutela del posto di lavoro alla tutela nel mercato del lavoro, confrontandosi con il sostanziale superamento della tradizionale triplice ripartizione tra età dello studio, del lavoro, del pensionamento, e individuando nelle riforme dei servizi di formazione professionale e continua, ma anche di placement, ricollocazione dei lavoratori, invecchiamento attivo sul lavoro e outplacement, alcuni dei propri cardini.

 

L’occupabilità, come ci ha spiegato Amartya Sen, non deve ricadere sulle spalle del singolo lavoratore, ma è una sfida di responsabilità e di impegno attivo dell’intera società che lo circonda.

 

Il ruolo del sindacato e degli attori sociali in questi processi non può che basarsi sulla valorizzazione della persona, per soddisfarne, anche facendo emergere la domanda formativa, la creatività, il percorso lavorativo, senza misurare solo gli esiti, ma anche i processi.

 

Una ricerca promossa di Microsoft sullo smart working nella pandemia (vedi Microsoft, Building resilience & maintaining innovation in a hybrid world. Modernazing the workplaces emergea as top business transformation priority, ottobre 2020), pur evidenziando il valore positivo di questo strumento, ha sottolineato che la mancanza di “relazione” e persino di conflitto vissuta nell’ultimo anno, ha anche comportato un calo di generatività di idee nell’ambito del lavoro.

 

La “giusta” formazione, anche nella pandemia, può contribuire a superare questo molteplice e multidimensionale rischio concreto di isolamento. Rafforzare e sostenere un recupero di soggettività nel lavoro, nell’epoca degli algoritmi, e promuovere un massiccio, regolato e consapevole uso degli strumenti e dei nuovi diritti individuali e collettivi che lo supportano, è una delle sfide più impegnative e affascinanti del nostro tempo, per gli attori sociali e per le istituzioni.

 

Alcune concrete piste di impegno

 

Lo scenario dei prossimi anni si presenta come un’epoca in cui i cambiamenti, invece di stabilizzarsi, sembrano destinati ad accentuarsi, sia nella direzione di estendersi a tutto il sistema economico, sia di ulteriori cambiamenti in profondità nei ruoli e nelle competenze. Anche se oggi questo cambiamento è difficile da prevedere, è certo che assisteremo a un’ulteriore evoluzione e revisione profonda dei ruoli, delle professionalità, dell’organizzazione del lavoro.

 

È indubbio che si creerà una situazione con significativi gap di competenze e di conoscenze in vasti strati della popolazione lavorativa. Questi divari tuttavia non saranno omogenei e non potranno essere affrontati con una formazione standard identica per tutti, magari basata su “pillole” somministrate a distanza, digitalmente e senza alcun tutoraggio reale, fuori dall’orario di lavoro.

 

Una risposta efficace a tutti questi fabbisogni formativi emergenti, come ci ha insegnato la stagione delle 150 ore per il diritto allo studio insieme al suo declino (vedi F. Lauria, Le 150 ore per il diritto allo studio. Analisi, memoria, echi di una straordinaria esperienza sindacale, Edizioni Lavoro, Roma, 2012), incontrerà la necessità di venire adattata alla particolarità delle persone, dei ruoli, degli ambienti di lavoro.

 

Soprattutto nella formazione degli adulti non si può infatti immaginare di non tenere conto della loro esperienza e dell’ambiente in cui si muovono quotidianamente.

 

Molti temi e problemi possono essere comuni a più settori e ruoli, ma la maggiore efficacia della formazione (anche in termini di “accettazione” e “messa in gioco” da parte di coloro che vengono formati) si ottiene, come è noto, attraverso l’adattamento sia all’ambiente specifico di lavoro, sia alle caratteristiche dei singoli.

 

Un grande ruolo può essere giocato dalla rappresentanza dei lavoratori, ad ogni livello, valorizzando e implementando alcuni strumenti già presenti in alcuni contratti collettivi nazionali di categoria, si pensi, solo per fare alcuni esempi, ai settori metalmeccanico (recentemente rafforzato e profondamente rinnovato su questo aspetto) e chimico-farmaceutico.

 

Coerentemente con il quadro europeo e dando valore ad un rinnovato protagonismo degli attori sociali, anche a livello territoriale, occorre finalmente dare corpo e reale implementazione condivisa agli obiettivi dei provvedimenti legislativi del 2012, del 2013 e del 2021 (si fa riferimento nell’ordine a: Legge 28 giugno 2012, n. 92; Decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13; Decreto 5 gennaio 2021 di adozione delle Linee Guida che rendono operativo il Sistema nazionale di certificazione delle competenze) a partire da:

  • riconoscimento e la validazione dei saperi acquisiti; anche con il coinvolgimento degli enti bilaterali e dei fondi interprofessionali;
  • individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e in- formali;
  • riconoscimento delle esperienze di lavoro come parte essenziale del percorso educativo, formativo e professionale della persona;
  • definizione di criteri e strumenti per la validazione dell’apprendimento non formale ed informale;
  • definizione di riscontri e prove in relazione ai livelli e ai sistemi di referenziazione dell’Unione europea;
  • implementazione di un sistema pubblico nazionale di certificazione delle competenze fondato su standard minimi di servizio omogenei su tutto il territorio nazionale e il raccordo di esso con quanto previsto nei contratti nazionali settoriali di lavoro.

Abbiamo di fronte una sfida importantissima anche in considerazione della crisi economica e occupazionale: la formazione permanente deve essere promossa come leva per l’occupabilità, correttamente intesa, e come chiave di cittadinanza attiva per la riduzione delle disuguaglianze fuori e dentro il mercato del lavoro.

 

Rispetto alle sfide legate alla dimensione digitale, come ha giustamente affermato Stefano Mastrovincenzo (vedi S. Mastrovincenzo, Ruolo delle parti sociali e potenzialità dei Fondi Interprofessionali fra formazione continua e politiche attive, contributo al seminario Fisascat Cisl, 7 giugno 2021), il sindacato non può che opporsi al “determinismo tecnologico” e a una formazione subordinata o ancillare a progetti di competitività che abbiano come paradigma prioritario la tecnologia e il capitale a suo supporto.

 

Come ricorda Mastrovincenzo: “nell’ottica di un Lavoro 4.0, la formazione non è più solo “utile”, ma coessenziale alla possibilità stessa di far evolvere il sistema stesso (aziendale, socio- economico,…) proprio perché è un investimento sulle persone e sulle loro competenze”.

 

Una scommessa, questa, che, a partire dalla personalizzazione delle risposte e dei “campi di opportunità e di scelta” (non dall’alienazione digitale e solitaria del singolo lavoratore in apprendimento”), metta insieme percorsi individuali, collettivi e investimenti privati, bilaterali e pubblici, nazionali ed europei.

 

Il valore comune, per il sindacato, ma anche per le imprese, è costituito dalla valorizzazione della persona e del suo capitale umano, a partire dai momenti e dalle condizioni di maggiore fragilità e bisogno, accolti in un’ottica progettuale e proattiva e non meramente difensiva o passiva.

 

Francesco Lauria

Componente del Consiglio di Amministrazione del Cedefop,

Componente del comitato tripartito dell’Unione Europea sulla formazione professionale e continua (Acvt),

Componente, per la Cisl, del comitato della Confederazione Europea dei Sindacati per l’istruzione e la formazione

 

La formazione continua alla prova della pandemia: osare insieme nuovi “campi di opportunità e di scelta”