La concettualizzazione dei rischi psicosociali: lo stato dell’arte e le questioni aperte

Bollettino ADAPT 3 febbraio 2025 n. 5

 

Secondo il davvero arricchente studio “Conceptualising work related psycosocial risks” pubblicato in ADAPT International Bullettin n. 22/2024, i rischi psicosociali sono la maggiore preoccupazione per i dirigenti del settore sanitario e sociale; si tratta di un rischio prevalente anche nel settore dell’istruzione. Anche il settore pubblico è associato a livelli elevati di stress lavoro-correlato, mentre nella sanità e nelll’assistenza sociale tali rischi rilevano per il 59%. In una indagine del 2022 si è riscontrata un’elevata prevalenza di disturbi mentali, problemi di salute tra i lavoratori del settore dell’istruzione (31%), nella informazione e nel settore delle comunicazioni/finanza/servizi tecnici (30,3%) e nella sanità, oltre al settore dell’assistenza sociale (29,8%). Questi settori sono stati particolarmente colpiti dai cambiamenti legati al Covid-19 (ad esempio lavoro extra dovuto alla rapida digitalizzazione, volume elevato di pazienti, o il passaggio alla didattica a distanza). Viene segnalato un elevato livello di rischi psicosociali per il settore dei trasporti (48%) poiché questo settore ha la percentuale più alta di lavoratori con orario irregolare (insieme al settore agricolo), nonché orari di lavoro lunghi, isolamento sociale, pressione lavorativa associata ad urgenza di consegna (requisiti di consegna just in time), tensione lavorativa e basse ricompense, sistemi di supporto deboli e bassi livelli di autonomia lavorativa.

 

Gli uomini nel settore agricolo, nei trasporti, negli altri servizi, nella finanza e nella sanità sperimentano un elevato grado di irregolarità nell’orario di lavoro, mentre le donne nella pubblica amministrazione registrano un livello meno preoccupante di irregolarità nell’orario di lavoro. La prevalenza di problematiche  mentali poi, secondo il Rapporto,  è prevalente tra i lavoratori meno qualificati, e aumenta con l’età. Questo è stato confermato anche da un altro studio per l’ETUI che ha scoperto che il livello di istruzione sembra essere un fattore importante associato a disuguaglianze intersezionali nella salute mentale sul lavoro, sia prima che durante la pandemia di Covid-19. Oltre un terzo (37%) dei lavoratori in tutta l’UE che hanno partecipato a questa indagine ha indicato che le tecnologie digitali hanno aumentato la sorveglianza invasiva sul lavoro. I lavoratori che svolgono lavori a bassa retribuzione in settori quali la vendita al dettaglio e la logistica potrebbero avere maggiori probabilità di sperimentare il monitoraggio digitale, poiché il loro lavoro è così misurato e quantificato più facilmente. I lavoratori della piattaforma, come già ben noto, sono soggetti a una costante gestione algoritmica e sorveglianza digitale. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro, a parte la Convenzione sulla Sicurezza sul Lavoro, ha adottato anche una Convenzione sulle Molestie (C190) cioè tesa alla eliminazione delle molestie dal luogo di lavoro. Nel 2022 il Principio del lavoro sano e sicuro è stato anche aggiunto ai Principi Fondamentali. Oltre agli strumenti giuridicamente vincolanti, sono state anche diffuse le soft law. Esse Includono anche standard volontari adottati dalle imprese.  Sono stati sviluppati due strumenti chiave di soft law nel contesto del dialogo sociale europeo. Tra questi gli accordi quadro su stress lavoro-correlato (2004) e molestie e violenza sul lavoro (2007). Gli accordi sono stati firmati dalle parti sociali europee e rappresentano il riconoscimento dell’importanza dei rischi psicosociali e il loro impegno a fronteggiarli a livello nazionale. Ci sono anche ulteriori rilevanti accordi delle parti sociali tra cui quello sul telelavoro (2002), sui mercati del lavoro inclusivi (2010) e sulla digitalizzazione (2020).

 

Nel rapporto si evidenzia che vi sono numerosi problemi applicativi della regolamentazione pur esistente a livello europeo e si suggerisce l’adozione di una Direttiva sullo specifico tema dei rischi psicosociali che distingua tra rischi psicosociali e problemi mentali; si approcci anche al tema dei rischi psicosociali connessi alla digitalizzazione; riconosca il diritto alla disconnessione, e si applichi universalmente a tutti i lavoratori. In relazione ai rischi psicosociali e alla salute mentale più in generale, lo stigma è un aspetto che deve destare preoccupazione e va affrontato sia a livello sociale sia a livello lavorativo. Alcuni autori sostengono che, per rispondere alle preoccupazioni relative alle problematiche psicosociali, le organizzazioni hanno bisogno di informazioni sulla loro natura e sul loro impatto. Tuttavia, i dipendenti spesso esitano a discutere le proprie preoccupazioni legate allo stress con il proprio datore di lavoro, il che potrebbe essere dovuto proprio allo stigma, alle ripercussioni temute dal lavoratore sulla propria carriera, lo stigma è associato anche a problematiche come il bullismo e lo stesso stigma si ripercuote sulle azioni dei decisori a livello politico. Non sono stati identificati studi di revisione sistematica della letteratura focalizzati in modo specifico sui servizi di medicina del lavoro e sui rischi psicosociali. Tuttavia, un articolo recente ha discusso di una analisi comparativa di casi di studio in 12 paesi industrializzati, sul ruolo della salute e sicurezza nella gestione del rischio psicosociale e nella promozione della salute mentale e del benessere sul lavoro. I risultati di questo studio evidenziano che, mentre la maggior parte dei paesi esaminati dispone di leggi, i lavoratori coperti dagli interventi di legge variano notevolmente. Esistono ancora lacune significative in termini di attuazione, capacità e raggio di copertura di tali disposizioni che pure sono esistenti, nonché la mancata integrazione delle multidisciplinarietà nell’ambito della sicurezza anche con riguardo ai rischi psicosociali e alla promozione della salute mentale.

 

Vengono quindi nel rapporto presi in considerazione fattori negativi che creano il disagio psicosociale e fattori di carattere positivo. Tra quelli negativi, ad esempio, anche elementi attinenti all’ambiente della prestazione (qualora fosse troppo angusto, o le condizioni di illuminazione non fossero adeguate). Se andiamo a vedere sono gli elementi che la legge italiana richiama per rispondere alla domanda se in un ambiente di lavoro siamo in presenza di stress lavoro correlato (inadeguatezza delle attrezzature, problematiche relazioni con i colleghi o con i superiori, chiarezza del ruolo assegnato al lavoratore). Dal lato positivo emergono elementi come il coinvolgimento del lavoratore nella realizzazione degli obiettivi, essere un leader/preposto corretto, saper coinvolgere e comunicare in maniera appropriata. Lo studio si focalizza quindi sui problemi di salute. Uno studio si è concentrato su cinque esposizioni al rischio psicosociale, vale a dire tensione lavorativa, il fatto che sussista uno squilibrio tra impegno e ricompensa, sostanziale insicurezza del lavoro, orari di lavoro lunghi, e bullismo. Le forme di depressione erano tutte significative: a causa della tensione lavorativa (17%), per l’insicurezza lavorativa (9%), per il bullismo subito (7%) e per lo squilibrio impegno-ricompensa (6%). Una revisione sistematica e una meta-analisi delle stime congiunte Organizzazione Mondiale Sanità/ILO è stata fatta in merito al carico di malattie e infortuni legati al lavoro per esaminare l’effetto dell’esposizione a lunghi orari di lavoro sulla cardiopatia ischemica. Prove sull’esposizione al lavoro a 55 ore settimanali o più sono state giudicate “prova sufficiente di nocività” per l’incidenza della cardiopatia ischemica e della mortalità. Allo stesso modo, altri studi hanno trovato prove sufficienti per la nocività in relazione all’incidenza di ictus per l’esposizione dei lavoratori uguale o superiore a 55 ore settimanali di lavoro.  Altri studi condotti, tuttavia, in relazione alla esposizione a lunghi orari di lavoro sulla depressione, in relazione al carico di lavoro svolto hanno concluso per prove di inadeguata nocività” per tutte e tre le categorie di esposizione, 41-48, 48-54 e ≥55 ore/settimana, per quanto riguarda la prevalenza della depressione, e incidenza della stessa e mortalità; e hanno valutato che le prove disponibili sono insufficienti per valutare gli effetti dell’esposizione.

 

Per quanto riguarda l’efficacia degli interventi finalizzati ad un rientro positivamente qualificato al lavoro del lavoratore, gli interventi più efficaci sono risultati essere quelli multiambito (il 67% dei partecipanti ritorna al lavoro a tempo pieno) e quelli incentrati sulla salute. Vi sono anche forti prove di un effetto positivo sulla prevenzione dei disturbi della salute mentale di interventi psicologici sul posto di lavoro, in particolare quelli che utilizzano tecniche di terapia cognitivo comportamentale. Inoltre, ci sono prove evidenti trovate per la prevenzione dei disturbi muscoloscheletrici attraverso interventi sul posto di lavoro, in particolare allenamento con esercizi di resistenza. Altri autori hanno condotto una revisione sistematica e meta-analisi degli interventi psicologici basati sul web, forniti sul posto di lavoro e hanno scoperto che migliorano sia il benessere che l’efficacia attiva dei dipendenti. Nel rapporto si legge poi uno schema finale in cui sono elencati una serie di elementi che devono sussistere per prevenire e fronteggiare problematiche di tipo psico sociale. I leaders, i managers e gli stessi lavoratori devono essere formati sui rischi posico sociali e sui loro effetti. I cambiamenti di carattere organizzativo devono essere effettuati in maniera trasparente. In merito alla specifica mansione, occorre favorire la rotazione dei lavoratori qualora si tratti di compiti di accertata pesantezza, anche fisica. In merito alle scadenze assegnate, tenere conto di tutti i lavoratori che si hanno a disposizione e introdurre i dovuti aggiustamenti qualora vi siano elementi di insicurezza ambientale per i lavoratori. Fondamentale resta anche il discorso in merito al diritto al riposo/pausa per i lavoratori. Occorre anche lasciare ai lavoratori uno spazio di autonomia nello svolgimento del lavoro. Fornire attrezzatura adeguata e controllare che sia sempre in condizioni tali che garantisca l’incolumità del lavoratore. Fare in modo che l’organizzazione, nel suo complesso, faccia sentire adeguatamente supportato e coinvolto il lavoratore.

 

Paola de Vita

ADAPT Professional Fellow

@PaoladeVita1

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