Il nuovo jus variandi alla prova della contrattazione collettiva

L’art. 3 del decreto legislativo n. 81/2015 (“Codice dei contratti”) ha interamente riformato la disciplina dello jus variandi, aprendo – per la prima volta nel nostro ordinamento – al demansionamento del lavoratore (v. M. Menegotto, M. Tiraboschi, La disciplina delle mansioni, in Le nuove regole del lavoro dopo il Jobs Act, Milano, Giuffrè, 2016).

 

In particolare, il quarto comma del nuovo art. 2103 c.c. introduce la facoltà per la contrattazione collettiva di individuare «ulteriori ipotesi di assegnazione» a mansioni inferiori (rispetto a quelle previste dalla stessa disposizione). Si tratta di un rinvio esplicito alla contrattazione collettiva, operando di conseguenza il criterio selettivo di cui all’art. 51 del decreto legislativo n. 81/2015: solamente i contratti stipulati da sindacati riconducibili ad organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale saranno abilitati ad integrare la disciplina legale di cui al quarto comma; qualora non fossero rispettati i requisiti soggettivi summenzionati, gli accordi eventualmente siglati sarebbero colpiti dalla declaratoria di nullità ex art. 2103 co. 9 c.c.

In sostanza, la contrattazione collettiva potrà agire non solo quale strumento di specificazione ed esemplificazione delle ipotesi già previste dalla legge (dato il loro essere assai generiche ed astratte), ma anche quale vera e propria fonte di integrazione del dettato legale,attraverso la previsione di ulteriori ipotesi di demensionamento, del tutto estranee alla formulazione del secondo comma.

 

Non essendovi alcuna norma di transizione, occorre interrogarsi circa il rapporto tra i sistemi di classificazione e inquadramento del personale regolati dai contratti collettivi siglati prima del decreto legislativo n. 81/2015 (e ancora oggi in vigore) e le nuove regole introdotte dal Jobs Act. Non si tratta di un quesito squisitamente teorico. Basti pensare che le scale classificatorie sono da sempre, notoriamente, strumento di definizione e distribuzione dei differenziali retributivi, mentre il Legislatore assegna oggi loro il ruolo ben più qualificante di definizione dell’area del debito del lavoratore.

 

Ci si è dunque chiesti, in dottrina (v. M. Falzone, Jus variandi e ruolo della contrattazione collettiva, WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT – 308/2016), se la disciplina dello Statuto dei Lavoratori possa di fatto sopravvivere attraverso le clausole contenute nella previgente contrattazione collettiva che vi fanno riferimento. Si tratta di operare un confronto tra dato legale e clausole contrattuali, dunque tra fonti eterogenee; stante l’impossibilità di applicare il criterio cronologico, si dovrà operare attraverso una delle diverse tecniche elaborate dalla dottrina, tra cui il cumulo e il confronto fra istituti.

Impiegando la tecnica del cumulo – che consiste in un confronto clausola per clausola con il contenuto della norma di legge e che si ritiene preferibile rispetto ad altre tecniche (cfr. R. De Luca Tamajo, La norma inderogabile nel diritto del lavoro, Napoli, 1976, 197) – la norma legale oggi vigente sulla mobilità orizzontale (art. 2103 co.1 c.c.) risulta derogata in melius da numerosi CCNL, la cui disciplina andrebbe dunque preferita; mentre le nuove norme sulla legittima adibizione a mansioni inferiori del lavoratore (art. 2103 co. 2 e 4 c.c.) non sono comparabili con altre clausole contrattuali, e così le norme codicistiche possono essere legittimamente applicate. Volendo invece operare attraverso il criterio del confronto complessivo fra istituti, deriverebbe la deroga in melius dell’intero art. 2103 c.c. nuova formulazione.

 

Inoltre, anche taluni rinnovi contrattuali intervenuti dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 81/2015 hanno mantenuto inalterate le regole sulla mobilità endo-aziendale. È il caso del CCNL del settore chimico farmaceutico (rinnovato il 15 ottobre 2015) che sul punto, all’art. 6, disciplina come «in relazione alle esigenze organizzative aziendali il lavoratore può essere assegnato temporaneamente a mansioni diverse da quelle inerenti la sua categoria purché ciò non comporti alcun peggioramento economico né alcun mutamento sostanziale del suo inquadramento»; in questo caso, autorizzando la mobilità tra categorie legali, la clausola è da ritenersi nulla ex art. 2103 co. 9 c.c. (si adegua invece il termine per l’assegnazione definitiva a mansioni superiori). Anche con il rinnovo del CCNL “cemento, calce, gesso” si è mantenuta inalterata la precedente norma contrattuale, ma per il semplice fatto che già prima legittimava particolari ipotesi di demansionamento (art. 31: «nell’ambito dell’area di appartenenza il lavoratore può, in relazione a esigenze organizzative, tecniche e produttive, essere adibito anche a mansioni relative ad altri livelli della stessa area senza alcun peggioramento economico in caso di mansioni proprie di un livello inferiore […]»); oggi – contrariamente che in passato – tale clausola è pienamente legittima.

Ne risulta un quadro frammentato ed eterogeneo, a fronte del quale non è oggi possibile valutare, nel complesso, la posizione della contrattazione collettiva (e quindi, più in generale, delle parti sociali) circa il nuovo istituto.

 

Se l’incertezza applicativa può da un lato costituire un elemento di criticità, d’altro canto stimola (in positivo) una necessaria opera di revisione ed aggiornamento delle attuali scale classificatorie.

 

Inducono ad un cauto ottimismo le (seppur “programmatiche”) previsioni contenute sia nella piattaforma predisposta da Cgil-Cisl-Uil il 14 gennaio 2016 dal titolo “Un moderno sistema di relazioni industriali” (v. E. Massagli, F. Seghezzi, Riforma del modello contrattuale, un passo avanti e due indietro), sia la proposta elaborata da Federmeccanica in vista del rinnovo contrattuale (in questo caso si tratterebbe di superare un sistema di inquadramento rimasto immutato dal 1973). In entrambi i casi si auspica una revisione delle scale classificatorie e dunque dei processi di mobilità endo-aziendale.

 

Ed è (anche) su questo terrenoche dovrebbe oggi muoversi la contrattazione collettiva, al fine di governare i processi di modernizzazione dell’organizzazione del lavoro nell’impresa, come ad esempio il fenomeno dell’Industry 4.0, che si caratterizzano per la crescente esigenza di impiego di flessibilità funzionale (v. F. Seghezzi, Lavoro e relazioni industriali in Industry 4.0).

 

Marco Menegotto

ADAPT Junior Fellow

@MarcoMenegotto

 

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