Il mio canto libero – Lo Stato non deve disturbare chi ha voglia di fare

Bollettino ADAPT 2 novembre 2022, n. 37
 

È in fondo utile che sia immediatamente emerso il nodo dei processi di semplificazione normativa e più in generale di liberazione della vitalità economica e sociale annunciati dal presidente del consiglio con l’enfatico motto per cui “lo Stato non deve disturbare chi ha voglia di fare”. La polemica, sorta dall’ipotesi di incremento della soglia del contante, ha riproposto il tradizionale approccio contrario prevalso dai primi anni ‘90 e che fa leva sull’accusa ai semplificatori di voler aiutare il malaffare. Secondo questa vulgata, saremmo un Paese ad alto rischio di sfruttamento del lavoro, evasione fiscale, corruzione dei pubblici poteri, infiltrazione della criminalità per cui le regole devono essere invasive e l’amministrazione diffidente. Così la norma è stata spesso tarata sulla patologia più rara ed estrema con l’illusione di comprendere (e impedire) tutto il resto dei comportamenti delittuosi o opportunisti. Senza approfondire in questa sede un legittimo dubbio su questo supposto primato italiano negativo, l’esperienza e l’osservazione della realtà ci insegnano che la via dei vincoli esasperati ha “disturbato” la gente per bene mentre non ha minimamente inibito quella per male che anzi vi trova strumenti di concorrenza sleale.

 

Auguriamoci quindi che i nuovi decisori sappiano resistere alla critica demagogica e imboccare un diverso approccio sostanzialista alla legalità fondato sulla efficienza pragmatica, sul controllo sociale e non sul formalismo giuridico. Si considerino, ad esempio, i modi con cui fare salute e sicurezza effettiva nei rapporti (non solo luoghi) di lavoro. Molti adempimenti potrebbero diventare cedevoli in presenza di investimenti tecnologici, buone prassi organizzative, programmi di prevenzione olistica dei bisogni di salute. I mercati del lavoro più fragili potrebbero essere governati da enti bilaterali che ne gestiscono i processi di collocamento, controllo delle buste paga, formazione. Con un differenziale in termini di procedure e controlli rispetto ai rapporti che si collocano al di fuori di questi coni di luce. Più in generale, ha senso imporre ancora nei percorsi di accompagnamento nelle transizioni vincoli burocratici come la “presa in carico” o il “bilancio delle competenze” che evocano i vecchi nulla osta degli uffici di collocamento? La trasparenza contrattuale può essere garantita da oltre trenta pagine di comunicazioni obbligatorie a carico del datore di lavoro? La fondamentale tutela dei lavoratori risiede oggi nell’accesso alle conoscenze e alle competenze. Può esservi uno scambio virtuoso, anche a questo proposito, tra vecchie rigidità contrattuali (si pensi agli inquadramenti) ed effettive opportunità di crescita professionale?

 

Marco Biagi aveva avviato, oltre il fordismo, una riflessione proprio sulle tecniche di tutela e promozione del lavoro sollecitando le parti sociali e le istituzioni a costruire percorsi alternativi ai vincoli formali, espressione di passività in un mondo di cambiamenti continui. Egli ci può quindi ancora indicare la via di un dialogo sociale nuovo, fondato sulla collaborazione tra le parti e tra queste e le istituzioni, costruito sulla sperimentazione, sulla verifica dei risultati, sul desiderio di fare maggiore e migliore lavoro, sulla rinuncia alla propaganda demagogica e all’inesorabilità del contrasto di interessi.

 

La nuova, potenzialmente discontinua, stagione politica potrebbe finalmente promuovere il suo illuminato auspicio.

 

Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSacconi

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