Il mio canto libero – L’autonomia collettiva contestata da nuovi filoni giurisprudenziali

Bollettino ADAPT 12 aprile 2023, n. 14
 
Si sta pericolosamente affermando un filone giurisprudenziale che mette in discussione, nel nome del “diritto sostanziale” giustificato dalla interpretazione di norme costituzionali o comunitarie, quel fondamentale cardine della nostra esperienza giuslavoristica che consiste nel primato della fonte contrattuale per alcune materie.

Alcune sentenze hanno contestato ai datori di lavoro la applicazione di un contratto collettivo sottoscritto non già da organizzazioni minori ma persino da quelle comparativamente più rappresentative perché i minimi retributivi sarebbero inferiori a quanto stabilito dall’art.36 della Costituzione a proposito del diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
 
Dottrina e giurisprudenza pressoché costanti hanno sempre riconosciuto il contratto e quindi le parti rappresentative come l’autorità più idonea a definire livelli salariali destinati a risultare effettivi nella complessa realtà dei rapporti di lavoro. Latente è infatti la concorrenza con la sommersione delle prestazioni e, oggi ancor più potremmo aggiungere, con la loro sostituzione da parte delle tecnologie. Certo, il ritardo dei rinnovi contrattuali può determinare una significativa perdita del potere d’acquisto ma una sentenza o una contestazione ispettiva come possono avere la capacità costitutiva di una diversa retribuzione o di un diverso contratto da applicare rispetto a quello di diretto riferimento? Per non parlare della opinabilità del dies a quo della novazione pretesa.
 
Altre sentenze hanno messo in discussione i contratti collettivi che, per esplicito rinvio della norma di legge, hanno stabilito i limiti di durata della somministrazione. La Corte di Cassazione ha aggiunto all’interpretazione dei giudici europei sul carattere non strutturale della somministrazione, il criterio vago della “ragionevole temporaneità” per stabilire che l’assegnazione di missioni successive di uno stesso lavoratore configuri elusione delle disposizioni della Direttiva. La Corte non definisce un parametro specifico, ma afferma che tale durata dovrà basarsi su una spiegazione oggettiva che giustifichi l’interesse dell’impresa utilizzatrice a ricorrere ad una successione di contratti di lavoro tramite agenzia interinale per uno stesso lavoratore. La Corte di appello di Milano ha poi ritenuto non ragionevolmente temporanea anche la successione di contratti di lavoro che non abbiano superato i limiti di durata stabiliti dal CCNL dell’utilizzatore.
 
Preoccupano da un lato la delegittimazione dei contratti collettivi e, dall’altro, l’evidente incertezza che pesa sulle imprese che li hanno applicati con la conseguenza di imponderabili giudizi e sanzioni. L’autonomia collettiva non è perfetta e talora non si rinnova con la tempestività necessaria ma essa non ha eguali nella adattività ed effettività che garantisce. È paradossale che ora vogliano metterla in discussione persino talune organizzazioni sindacali aprendo la strada alla surroga della legge, per definizione rigida, omologante e lenta nei processi di evoluzione.
 

Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSacconi

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