Il mio canto libero – Caregivers: spostare la spesa socio-sanitaria dalla spedalità marginale ai servizi territoriali

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Da anni è in corso una progressiva trasformazione dei bisogni di salute nella nostra società. Si è infatti via via modificato il rapporto tra malati acuti e cronici con la progressiva, straordinaria, prevalenza di questi ultimi. Se i primi richiedono una assistenza ospedaliera sempre più concentrata in hub ad alto contenuto tecnologico ed elevate competenze multidisciplinari, i secondi ne rifuggono, anche se sollecitati, perché invocano soluzioni appropriate nella dimensione territoriale attraverso il calore relazionale della famiglia o il servizio professionale delle strutture residenziali.

 

Le ragioni della sostenibilità finanziaria coincidono con quelle della appropriatezza perché un malato cronico ricoverato in ospedale costa da sette a dieci volte di più rispetto a famiglie e RSA e viene inevitabilmente trascurato in ragione dell’orientamento agli stati acuti. La stessa spesa crescente per l’innovazione non può essere considerata aggiuntiva pena l’implosione del sistema. Essa è infatti sostitutiva perché, a ben vedere, modifica profondamente il ciclo terapeutico e necessariamente conduce a ridurre l’offerta ospedaliera in favore dei servizi territoriali, cui dovrebbe essere destinato, secondo i target del federalismo fiscale, almeno il 51% della spesa complessiva di ciascuna azienda socio-sanitaria. D’altronde, il programma nazionale degli esiti e il DM 70/15 sugli standard di efficienza sollecitano la chiusura o trasformazione di molti ospedali marginali e pericolosi che attraggono ricoveri inappropriati. Non è teoria dell’impossibile. Ove si sono fatte scelte coraggiose in questo senso (raramente) tornano i conti della salute e dei bilanci.

 

Nella maggiore spesa assistenziale, derivante dalla scomposizione e ricomposizione dei fattori, si colloca la possibilità e la necessità di promuovere la migliore qualificazione e tutela dei caregivers tanto nella dimensione volontaria quanto in quella professionale. Nel primo caso si tratta di riconoscerne la rilevanza economica e sociale introducendo tutele quali il diritto a prestazioni “agili” o alla modulazione dell’orario di lavoro, in funzione della conciliazione tra i tempi di vita, e all’accantonamento di contributi previdenziali “figurativi” per il tempo, parziale o totale, dedicato alla cura di un familiare. Nel secondo caso uno sviluppo della contrattazione collettiva dovrebbe accompagnarsi, per la famiglia, con una robusta possibilità di dedurne i costi o con il beneficio di un’”imposta negativa”. In tutti e due i casi saranno essenziali le opportunità formative e l’inserimento nelle reti dei servizi socio-sanitari dei territori in modo da garantire alla persona assistita in casa la migliore integrazione tra le prestazioni, compresa una vera e propria spedalizzazione domiciliare, e ai caregivers adeguati spazi relazionali.

 

Fortunatamente cresce ogni giorno di più la consapevolezza circa la necessità di organizzare un mercato professionale per questi lavori affinché i prestatori siano tutelati e i nostri familiari ben accuditi. Vi devono concorrere istituzioni, organizzazioni sociali, enti pubblici e imprese private del settore. A nord come a sud.

 

Maurizio Sacconi
Chairman ADAPT Steering Committee
@MaurizioSacconi

 

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