I salari minimi all’interno dell’Unione Europea nel 2022: la panoramica di Eurofound

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Bollettino ADAPT 27 giugno 2022, n. 25

 
L’accordo politico del 7 giugno 2022 stipulato tra Consiglio dell’Unione Europea e Parlamento europeo sulla Proposta di direttiva della Commissione sui salari adeguati all’interno dell’UE ha di recente riacceso, all’interno dell’opinione pubblica italiana e non solo, il dibattito relativo al migliore metodo per garantire livelli salariali minimi idonei per i lavoratori dell’Unione (per una rassegna di materiali sul tema, vedi E. Massagli, S. Spattini, D. Porcheddu, Una legge sul salario minimo per l’Italia? Riflessioni e analisi dopo la direttiva europea, 2022, ADAPT University Press).
 
È noto, infatti, come lo strumento di fissazione dei minimi salariali nei paesi UE non sia uniforme: 21 paesi su 27 possiedono un’apposita legislazione a tal fine, mentre i restanti sei (Italia, Cipro, Austria, Danimarca, Svezia, Finlandia) delegano tale compito alla contrattazione collettiva. A loro volta, le legislazioni e i sistemi collettivi di fissazione dei salari dei singoli paesi membri, comunque, differiscono significativamente tra loro: un recente report di Eurofound, titolato “Minimum wages in 2022: annual review” ne fornisce una panoramica, ponendo particolare attenzione alle azioni messe in campo al fine di tentare di conservare i livelli dei salari reali in seguito alle recenti fluttuazioni dei livelli inflattivi.
 
A livello generale, il report mostra come, rispetto al 2021, i salari nominali legali abbiano subito un forte aumento, soprattutto per quanto riguarda i paesi dell’Est Europa: in Ungheria, ad esempio, l’aumento del minimo salariale è stato del 19,5%. Nei paesi dell’Europa centro-occidentale, invece, l’incremento è stato più modesto. Fa eccezione la Germania, il cui livello minimo salariale orario lordo passerà dai 9,82 euro del 2021 a 12 euro a partire da ottobre 2022, grazie ad un intervento straordinario da parte del Parlamento tedesco (per una panoramica sui minimi salariali in Germania, vedi D. Porcheddu, La contrattazione collettiva in Germania: le tendenze del 2021, Bollettino ADAPT 28 marzo 2022, n. 12).
 
Il tema degli effetti dell’introduzione del salario minimo legale in Germania è molto dibattuto: all’interno del Report qui descritto, viene ripreso un recente studio che segnala come lo stesso non abbia avuto significativi impatti sul fenomeno della c.d. “in-work poverty” (K. Bruckmeier, O. Bruttel, Minimum Wage as a Social Policy Instrument: Evidence from Germany, Journal of Social Policy, 2021, Vol. 50, n. 2, pp. 247–266). Difficile, tuttavia, indicare il caso tedesco come prova dell’inefficienza del salario minimo legale per quanto riguarda il contrasto del lavoro povero: l’aumento del 22% del minimo salariale in Spagna, risalente al 2019, è infatti individuato dal Report come un elemento che ha contribuito significativamente a ridurre le disparità salariali e sociali all’interno del paese.
 
Eurofound completa il quadro relativo agli aumenti dei salari nominali nel corso del 2022 segnalando infine come, considerando un campione di settori tradizionalmente a basso reddito (tra cui rientrano, ad esempio, quelli dell’agricoltura, del lavoro domestico e del delivery) tale fenomeno sia stato registrato anche all’interno di paesi i cui minimi sono fissati unicamente tramite la contrattazione collettiva, come l’Austria, la Finlandia e la Svezia.
 
Tuttavia, differentemente da quanto avveniva durante gli anni precedenti, nella maggior parte dei casi né gli aumenti dei salari minimi legali, né di quelli negoziali sono riusciti a contrastare gli effetti dell’inflazione: viene rilevato, infatti, come tra il 2021 e il 2022, il livello dei salari reali sia diminuito in due terzi dei paesi dell’Unione Europea. È da notare come i paesi le cui legislazioni sono dotate di meccanismi di indicizzazione automatica al costo della vita, come ad esempio la legislazione belga, francese e del Lussemburgo, siano stati maggiormente efficienti nel tentare di allineare i livelli dei minimi salariali all’aumento dell’inflazione.
 
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Se le trasformazioni nei livelli salariali nominali e reali durante il 2022 sono state significative, lo stesso non può dirsi per i metodi di fissazione dei salari all’interno delle legislazioni/sistemi di relazioni industriali degli Stati Membri, i quali sono in gran parte rimasti invariati dal 2021 ad oggi. Come specificato in apertura, l’emanazione della proposta di Direttiva sta tuttavia iniziando ad influenzare il dibattito in materia all’interno degli Stati Membri: l’Italia e Cipro sono citati come esempi di paesi in cui la possibilità di introduzione di un salario minimo legale esiste, ma il cui sviluppo procede a rilento. In ogni caso, poca attenzione sembra essere dedicata ai metodi con i quali è possibile aumentare il livello di copertura della contrattazione collettiva, considerata dalla stessa Commissione Europea come strumento fondamentale per quanto concerne la salvaguardia dell’adeguatezza dei minimi salariali (si veda, in questo senso, l’Explanatory Memorandum della Proposta di Direttiva).
 
In considerazione delle rilevazioni compiute nel corso del Report, Eurofound segnala come, in un contesto di fluttuazioni inflattive così significative, sarebbe opportuno che gli Stati membri dell’Unione valutassero l’idoneità dei propri sistemi di fissazione e adeguamento dei minimi salariali a fare fronte alle attuali circostanze macroeconomiche.
 
Allo stesso tempo, è da considerare come in diversi contesti nazionali manchino ricerche approfondite per quanto concerne sia l’impatto degli incrementi salariali sui lavoratori e sulle imprese, sia dati attendibili per quanto concerne l’effettivo livello dei salari negoziali. Per quanto concerne quest’ultimo elemento, si segnala come la Proposta di Direttiva preveda che gli Stati membri, e in particolare quelli non dotati di una legislazione sui minimi salariali, forniscano annualmente alla Commissione dati attendibili relativi alla copertura della contrattazione collettiva, alla distribuzione in decili dei salari negoziali pesata sulla percentuale di lavoratori effettivamente coperti dalla contrattazione, alla differenza dei livelli salariali tra i lavoratori coperti e quelli non coperti dalla contrattazione collettiva (articolo 10).
 
Dati, questi, spesso difficilmente reperibili, ma che potrebbero apportare un significativo contributo ad un’adeguata valutazione della forza dei diversi sistemi di relazioni industriali nazionali nella garanzia di livelli salariali adeguati, nonché sull’effettiva necessità di apportare misure correttive.
 
Diletta Porcheddu

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@DPorcheddu

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