Emergenza COVID-19: incertezze sull’applicazione della Cassa in deroga alle imprese commerciali con più di 50 dipendenti

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Entrato in vigore il Decreto-Legge 17 marzo 2020, n. 18 (il c.d. Decreto “cura Italia”), gli addetti ai lavori hanno fin da subito riscontrato difficoltà nell’interpretazione del testo di legge, in particolare con riferimento alla possibilità per alcune tipologie di aziende di beneficiare o meno di misure di sostegno al reddito a seguito della sospensione o riduzione delle attività produttive. In particolare, problemi rilevanti si sono posti per le aziende commerciali che occupano più di 50 lavoratori dipendenti e più in generale per tutte quelle aziende che in via ordinaria possono accedere soltanto alla Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS; art. 21 e ss. D.Lgs. n. 148/2015).

 

I dubbi

 

L’art. 19, comma 1 del Decreto-Legge n. 18/2020 prevede che “I datori di lavoro che nell’anno 2020 sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, possono presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale”. A primo impatto, la norma sembrerebbe avere un’applicazione generalizzata inclusiva di tutte le imprese attive sul territorio nazionale che siano state costrette a sospendere l’attività produttiva a casa del diffondersi del virus. Non sembrerebbe, dunque, da una prima lettura che la norma si applichi solo alle imprese che, ordinariamente, hanno diritto di accedere alla Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria (CIGO) poiché non viene fatto richiamo specifico ai datori di lavoro individuati dall’art. 10 del D.Lgs. n. 148/2015. Pertanto, questo tipo di ammortizzatore in deroga potrebbe applicarsi potenzialmente anche alle aziende commerciali con più di 50 dipendenti.

 

L’art. 22 del medesimo decreto, rubricato “Nuove disposizione per la Cassa integrazione in deroga”, definisce il campo di applicazione della stessa “con riferimento ai datori di lavoro del settore privato, ivi inclusi quelli agricoli, della pesca e del terzo settore compresi gli enti religiosi civilmente riconosciuti, per i quali non trovino applicazione le tutele previste dalle vigenti disposizioni in materia di sospensione o riduzione di orario, in costanza di rapporto di lavoro”. La disposizione sembrerebbe impedire alle aziende commerciali con più di 50 dipendenti di accedere all’ammortizzatore in deroga in quanto già beneficiare di un altro specifico ammortizzatore sociale (la CIGS, sebbene non attivabile in queste circostanze, in quanto allart. 21 del D.Lgs. n. 148/2015 non è prevista una causale similare a quella contenuta nell’art. 11, comma 1 lett. a) del medesimo decreto dove è previsto che la CIGO è attivabile per “situazioni aziendali dovute a eventi transitori e non imputabili all’impresa o ai dipendenti”).

 

Tuttavia, l’art. 20 del Decreto “cura Italia” prevede che “le aziende che alla data di entrata in vigore del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, hanno in corso un trattamento di integrazione salariale straordinariopossono presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale ai sensi dell’articolo 19 e per un periodo non superiore a nove settimane. La concessione del trattamento ordinario sospende e sostituisce il trattamento di integrazione straordinario già in corso”. Con questa disposizione, dunque, il legislatore ha esteso il trattamento di cui all’art. 19 anche alle imprese che alla data di entrata in vigore del Decreto-Legge n. 18/2020 erano già state sottoposte al regime della CIGS. Alla luce di questa disposizione, ci si chiede se sia possibile ritenere che il trattamento di cui all’art. 19 del Decreto-Legge possa essere esteso anche a quelle aziende che alla data del 23 febbraio non avevano in corso trattamenti di integrazione salariale straordinaria (CIGS) pur avendone astrattamente diritto.

 

Le risposte

 

Benché l’art. 19 del Decreto-Legge n. 18/2020 possa prestarsi ad avere un’applicazione universale, il richiamo al “trattamento ordinario di integrazione salariale (presente tanto nella rubricazione dell’articolo che nel testo) lascia evidentemente intendere all’interprete che l’ambito di applicazione è quello della Cassa Integrazione Ordinaria. Pertanto, potranno accedere i datori di lavoro ai quali si applica ordinariamente la CIGO (cfr. art. 10 del D.Lgs. n. 148/2015). Con l’art. 19 il legislatore ha tipizzato una causale specifica, denominata “emergenza COVID-19”, da applicarsi per sospensioni o riduzioni dell’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, dalla durata pari a 9 settimane, a partire dal 23 febbraio 2020. Di conseguenza, l’impresa commerciale con più di 50 dipendenti non potrà usufruire di questo ammortizzatore sociale.

 

Esclusa, dunque, l’ipotesi dell’applicazione del trattamento di integrazione salariale ex art. 19, restano da vagliare le ulteriori ipotesi. L’art. 22 del Decreto “cura Italia” prevede che possono accedere a questa specifica Cassa i “datori di lavoro del settore privato, ivi inclusi quelli agricoli, della pesca e del terzo settore compresi gli enti religiosi civilmente riconosciuti, per i quali non trovino applicazione le tutele previste dalle vigenti disposizioni in materia di sospensione o riduzione di orario, in costanza di rapporto di lavoro”. Questa disposizione potrebbe essere interpretata nel senso di ritenere escluse dal trattamento tutte le imprese che ricadono nel campo di applicazione del D.Lgs. n. 148/2015. L’accordo della Regione Campania del 19 marzo 2020 si è espressa in questo senso, prevedendo l’esclusione dal trattamento di cui all’art. 22 di tutte le imprese per le quali “non trovano applicazione le tutele previste in materia di ammortizzatori sociali ordinari in costanza di rapporto di lavoro previsti dal D.Lgs. n. 148/2015 (Cigo, Cigs, Fis e Fondi di solidarietà) nonché dalle norme del Decreto-Legge 17 marzo 2020, n. 18” (art. 3 dell’accordo).

 

Altri accordi regionali si esprimono nella medesima direzione, prevedendo che le imprese che hanno diritto ad accedere alla CIGS non possono rientrare nel campo di applicazione di cui all’art. 22 del Decreto-Legge n. 18/2020. In particolare, si veda:

  • l’accordo della Regione Puglia del 20 marzo 2020: “Ai sensi dell’art. 22 del D.L. n. 18/2020 i trattamenti di CIG in deroga sono destinati ai datori di lavoro del settore privato con unità produttiva nel territorio della Regione Puglia, ivi inclusi quelli agricoli, della pesca e del terzo settore compresi gli enti religiosi civilmente riconosciuti, per i quali non trovino applicazione le tutele previste dalle vigenti disposizioni in materia di sospensione o riduzione di orario, in costanza di rapporto di lavoro, ivi comprese quelle dei Fondi di Solidarietà Bilaterali di cui all’art. 27 del D.Lgs. n. 148/2015” (art. 2 dell’accordo);
  • l’accordo della Regione Veneto del 20 marzo 2020: “L’accesso allo strumento avviene qualora i datori di lavoro sopra citati siano privi delle tutele previste dalle vigenti disposizioni in materia di sospensione o riduzione di orario, in costanza di rapporto di lavoro, previste dal Titolo I e dal Titolo II del D.lgs n. 148/2015 e dagli artt. 19, 20 e 21 del DL n. 18/2020, ivi compreso l’accesso al FSBA secondo quanto previsto dall’Accordo interconfederale citato in premessa” (art. 3 dell’accordo);
  • l’accordo della Regione Liguria del 20 marzo 2020: “Possono accedere alla cassa integrazione in deroga i datori di lavoro del settore privato, ivi inclusi quelli agricoli, della pesca e del terzo settore compresi gli enti religiosi civilmente riconosciuti, con sede legale o unità operative/produttive situate in Regione Liguria, per i quali non trovino applicazione le tutele previste dalle vigenti disposizioni in materia di sospensione o riduzione di orario, in costanza di rapporto di lavoro” (art. 1 dell’accordo).
  • l‘accordo della Regione Lombardia del 20 marzo 2020: “I datori di lavoro aventi diritto accedono alla CIGD solo se non possono fruire degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro previsti dal TITOLO I e dal TITOLO II del D.lgs. n.148/2015 ordinari, in coerenza con le specifiche disposizioni ministeriali e/o dell’Ente erogatore” (art. 2 dell’accordo).

 

Alla luce del quadro normativo tracciato, pertanto, alle imprese commerciali con più di 50 dipendenti non rimarrebbe altra strada che quella di accedere alla CIGS, provando, trascorso un consistente lasso di tempo, la sussistenza di uno stato di crisi aziendale.

 

Diversamente, si potrebbe ritenere che queste imprese abbiano diritto alla Cassa in deroga di cui all’art. 22 presupponendo che il legislatore, laddove fa riferimento alla mancata “applicazione” delle “tutele previste dalle vigenti disposizioni in materia di sospensione o riduzione di orario, in costanza di rapporto di lavoro”, abbia inteso, date le circostanze, fare riferimento a tutele da un evento oggettivamente non imputabile. Pertanto, la Cassa in deroga dovrebbe essere riconosciuta anche a quelle imprese rientranti nel solo campo di applicazione della CIGS e non della CIGO, poiché la CIGS non è compatibile a fronteggiare l’attuale situazione emergenziale (come detto, infatti, la causale dell’evento oggettivo non imputabile è prevista solo per la CIGO e non per la CIGS). È – forse – in questa prospettiva che l’INPS, con messaggio n. 1287 del 20 marzo 2020 ha specificato che la Cassa in deroga di cui all’art. 22 non trova applicazione per i soli “datori di lavoro rientranti nel campo di applicazione della CIGO, del FIS o dei Fondi di solidarietà”.

 

A questa primissima interpretazione dell’INPS si sono conformati gli accordi regionali successivi a detto messaggio (v. ad esempio, l’accordo stipulato nel Lazio, nel Piemonte, in Umbria) che infatti hanno incluso nel campo di applicazione del trattamento in deroga le aziende rientranti esclusivamente nella CIGS.

 

L’Istituto previdenziale ha poi confermato questa interpretazione nella circolare n. 47 del 28 marzo 2020, spiegando che i datori di lavoro che hanno accesso a prestazioni ordinarie potranno fare richiesta per tali prestazioni con la causale “COVID-19 nazionale”, mentre i datori esclusi da esse, quindi anche i datori di lavoro che godono solo della CIGS (aziende del commercio e le agenzie di viaggio e turismo sopra i 50 dipendenti) potranno accedere alla cassa in deroga.

 

Questo approccio interpretativo comporterebbe o la modifica o l’inefficacia di tutte quelle clausole inserite negli accordi regionali che escludono dalla misura tutte le imprese che ricadono nel campo di applicazione della CIGS disciplinata dal D.Lgs. n. 148/2015.

 

Concludendo, possiamo dire che il dato letterale è comunque incerto, pertanto, oltre all’interpretazione dell’INPS, è auspicabile una modifica del testo della disposizione nel momento in cui il Parlamento procederà a convertire il Decreto “cura Italia” in legge.

 

Giovanni Piglialarmi

Assegnista di ricerca presso il centro studi DEAL (Diritto Economia Ambiente Lavoro)
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@Gio_Piglialarmi

 

Silvia Spattini

Direttore ADAPT

@SilviaSpattini

 

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