Che cosa si intende per “giusta transizione”? Accezioni e complessità, oltre lo slogan

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Bollettino ADAPT 12 aprile 2023, n. 14
 
Il tema della transizione ecologica è al centro delle più recenti politiche nazionali ed europee. Fra queste, nodale è l’ormai celebre “Green Deal”, il piano della Commissione europea per la transizione verso economie climaticamente neutrali. Presentato a dicembre 2019, il “Green Deal” europeo prefigura la completa eliminazione delle emissioni di gas climalteranti nell’intero territorio dell’Unione entro il 2050 e fornisce il quadro entro cui sono state programmate e avviate, nel corso degli ultimi tre anni, diverse azioni e politiche comunitarie per la transizione ecologica.
 
In questo contesto, il settore dell’energia gioca un ruolo di primo piano, poiché da esso dipende in buona parte il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla strategia europea. È da queste premesse che è stata progettata l’azione denominata “Next Step: Transition”, dedicata proprio alla transizione dell’industria energetica e al rafforzamento delle competenze delle organizzazioni sindacali in questo ambito. L’iniziativa, che ha ricevuto il cofinanziamento dell’Unione Europea, ha preso avvio ad agosto 2022 e sotto la guida del sindacato italiano Femca-Cisl, è condotta da un partenariato formato da ADAPT, il centro studi Helex Institut (Germania) e le organizzazioni sindacali IG BCE (Germania), ACV-CSC BIE (Belgio), SMF Podkrepa (Bulgaria) e UGT-FICA (Spagna), oltre ai sindacati associati Flaei-Cisl (Italia), IndustriAll Europe ed EPSU (entrambi di livello comunitario).
 
Un primo nodo emerso dall’attività di ricerca, preliminare alle azioni formative, ha riguardato la difficoltà di inquadrare e definire alcuni concetti, che si sono sviluppati parallelamente alla crescita dell’attenzione pubblica verso la sostenibilità ambientale. Tra i tanti, la formula “giusta transizione” è spesso citata come un mantra da rappresentanti politici e delle parti sociali in tutto il mondo, anche se non sempre vi è consonanza sull’interpretazione del termine.
 
Per fare un po’ di chiarezza, oltre alla lettura dei maggiori contributi scientifici sul tema, insieme al centro studi Helex, abbiamo chiesto il parere ad alcuni esperti di livello nazionale e internazionale, come Vassil Kirov (Accademia bulgara di scienze, Bulgaria), Paolo Tomassetti (Università “La Statale” di Milano, Italia), Serena Rugiero (Fondazione Di Vittorio, Italia), Oscar Molina (Università Autonoma di Barcellona, Spagna), Béla Galgóczi (ETUI, Belgio), Nadja Dörflinger (Istituto federale per la salute e sicurezza occupazionale, Germania), Alexander Bendel (Università di Duisburg-Essen, Germania), Simone Claar (Università di Kassel, Germania), Kris Bachus (Università Cattolica di Leuven, Belgio) e Anne Guisset (Università Cattolica di Leuven, Belgio).
 
Ciò che è emerso, prima di tutto, è che il concetto di “giusta transizione” ha radici lontane che risalgono agli anni ’70 negli Stati Uniti d’America, quando Tony Mazzocchi, sindacalista dell’Oil, Chemical and Atomic Workers Union (OCAW), notando gli impatti negativi delle aziende petrolifere, chimiche e nucleari sull’ambiente e la salute dei lavoratori, iniziò ad impegnarsi in battaglie a tutela dei lavoratori e del benessere delle comunità locali. Nel 1997, nacque così la Just Transition Alliance, che ha consacrato la partnership tra il movimento sindacale e le associazioni e i gruppi per la tutela ambientale. Progressivamente, l’espressione “giusta transizione” si diffuse anche in Europa e divenne il principale contributo di matrice sindacale al dibattito globale sulla sostenibilità ambientale. Un contributo che trova il suo riconoscimento istituzionale a partire dal preambolo all’Accordo di Parigi sul clima del dicembre 2015, laddove si afferma la necessità di “tenere in conto degli imperativi di una giusta transizione per i lavoratori e la creazione di posti di lavoro decorosi e di qualità”.
 
Con riferimento al significato del termine, tanto la letteratura quanto gli esperti intervistati riportano un’accezione particolarmente ampia, che allude alla prevenzione e al contrasto delle possibili conseguenze negative della transizione ecologica per alcune categorie di persone: lavoratori e soggetti e comunità vulnerabili in primis. Conseguentemente, le azioni associate alla “giusta transizione” afferiscono spesso alla formazione per i lavoratori e alla riconversione professionale, alla costruzione di reti di protezione sociale, economica e occupazionale e alla definizione di nuove politiche per lo sviluppo.
 
Data l’ampiezza di tale definizione, sono almeno tre le declinazioni del concetto di “giusta transizione”, che emergono dall’analisi della letteratura: l’approccio “job-focused”, che si concentra sulle conseguenze della transizione ambientale per i lavoratori, promuovendo misure di contenimento quali la previsione di strumenti di sostegno economico e percorsi di formazione; l’approccio “environment-focused”, che invece enfatizza la centralità della giustizia ambientale, sostenendo il coinvolgimento di tutti i cittadini nella definizione e implementazione delle politiche ambientali; e infine, l’approccio “society-focused”, che declina a livello di sistema la transizione ecologica e quindi supporta un cambiamento radicale delle nostre economie e società intorno ai valori di giustizia ed equità universali, anche attraverso l’empowerment e la partecipazione a questo processo di tutte le minoranze, incluse le popolazioni indigene e le comunità LGBTQ.
 
Ma al di là dei diversi ambiti possibilmente ricompresi nelle accezioni date alla “giusta transizione”, la difficoltà definitoria sembra derivare, secondo alcuni degli esperti intervistati, da un’insita relatività del concetto di “giustizia”, che risente delle percezioni soggettive delle persone e delle organizzazioni che via via lo impiegano. Questa soggettività, unita allo squilibrio di potere che persiste tra gli attori coinvolti nella transizione ecologica, fa sì che se volessimo oggi giungere ad una definizione univoca di “giusta transizione”, correremmo il rischio di percorrere una strada e di giungere a degli esiti intrinsecamente sbilanciati. Il processo definitorio, infatti, potrebbe risentire del peso maggiore che esercitano le autorità pubbliche e le imprese nell’orientare il dibattito sull’ambiente, rispetto al ruolo che giocano oggi lavoratori e comunità locali. Anche l’approccio sindacale prevalente, pur nella varietà di politiche e azioni messe in atto nei diversi paesi, pare soffrire di questo squilibrio di forze, tanto che – è stato osservato – sembrerebbe far emergere un’idea di giustizia largamente piegata sui processi distributivi e che quindi, proprio come nell’accezione “job-focused” prima illustrata, tende ad applicarsi alla mera mitigazione degli effetti negativi delle politiche di transizione ecologica, senza concretizzarsi in un reale intervento dei lavoratori e dei loro rappresentanti nella definizione dei piani di riconversione.
 
Così orientata, però, la “giusta transizione” rischia di risultare limitata e parziale, poiché priva della sua declinazione pre-distributiva, che presume cioè la concreta partecipazione di lavoratori e cittadini a monte dei processi di transizione ecologica, sin dalla loro definizione, regolazione e attuazione. Ed è in questa direzione che, secondo alcuni esperti, occorrerebbe lavorare perché la formula di “giusta transizione” possa davvero dispiegare il suo pieno potenziale.
 
Ilaria Armaroli

ADAPT Research Fellow

@ilaria_armaroli
 
Sara Prosdocimi

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena

@ProsdocimiSara

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