Residui di normativa emergenziale: la sentenza del tribunale di Ragusa sul diritto al lavoro agile

Interventi ADAPT

| di Diletta Porcheddu

Bollettino ADAPT 8 settembre 2025, n. 30

A distanza di più di un anno dalla definitiva dismissione delle ultime previsioni “emergenziali” in materia di lavoro agile – entrate in vigore per fare fronte alla pandemia da COVID-19, e che hanno cessato di avere effetto dal 31 marzo 2024 – la loro interpretazione torna ad essere protagonista nell’ambito di una controversia giudiziaria.

In data 11 luglio 2025, infatti, il Tribunale di Ragusa si è pronunciato sulla legittimità del licenziamento di un lavoratore che, durante il 2023, aveva prestato la propria attività di lavoro in modalità agile, pur nell’assenza di esplicita autorizzazione del proprio datore di lavoro e senza essere parte di un accordo individuale sottoscritto con lo stesso, come previsto dall’art. 18, co. 1, l. n. 81/2017. Tra le motivazioni addotte dalla parte datoriale in relazione al licenziamento, si ritrovano altresì l’improprio utilizzo delle risorse informatiche aziendali (VPN e timbrature virtuali) da parte del lavoratore, nonché la circostanza secondo la quale la modalità di lavoro agile non fosse prevista per il ruolo da lui ricoperto in quanto non “remotizzabile”.

Il lavoratore ha impugnato il licenziamento invocando l’applicabilità al suo caso dell’art. 90 co. 1 e 2, d.l. n. 34/2020 (convertito in l. n. 77/2020) entrato in vigore in piena emergenza pandemica, la cui validità è stata prorogata fino al 31 luglio 2022 da parte dell’art. 10, co. 2, d.l. n. 24/2022 (convertito con l. n. 52/2022), poi fino al 31 dicembre 2023 ad opera dell’art. 42 co. 3-bis, d.l. n. 48/2023 (convertito in l. n. 85/2023) e, da ultimo, fino al 31 marzo 2024 per come disposto dall’art. 18-bis, d.l. n. 145/2023 (convertito in l. n. 191/2023).

Ai sensi del comma 1 dell’art. 90, lo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile rappresenta un diritto per i dipendenti con almeno un figlio minore di 14 anni – nel caso in cui anche l’altro genitore sia un lavoratore – anche in assenza di un accordo individuale, e a condizione che essa sia compatibile con le caratteristiche della prestazione. Nel secondo comma, invece, viene sancito il principio secondo il quale la prestazione lavorativa in modalità agile può essere svolta anche attraverso strumenti informatici nella disponibilità del dipendente qualora non siano forniti dal datore di lavoro.

Il requisito della compatibilità della propria prestazione lavorativa con il lavoro agile è integrato, a parere del lavoratore, dalla circostanza per cui nessuna disposizione contenuta nel contratto collettivo applicabile classifica le attività da lui svolte come “non remotizzabili”. Inoltre, il lavoratore sostiene di avere avvisato il proprio superiore dello svolgimento della prestazione in modalità agile tramite apposita comunicazione avvenuta tramite sistema di messaggistica istantanea (Whatsapp).

Per decidere la controversia, il Tribunale di Ragusa propone un riepilogo completo della normativa “ordinaria” in materia di lavoro agile. In particolare, vengono riassunte le principali disposizioni della legge n. 81/2017, che sanciscono l’inderogabile necessità della stipulazione di un accordo individuale tra parte datoriale e lavoratore ai fini dell’attivazione del lavoro agile (art. 18), nonché i contenuti fondamentali che devono caratterizzare tale documento (artt. 19, 21) e gli obblighi di comunicazione delle vicende interessanti i rapporti di lavoro agile al Ministero del Lavoro (art. 23).

La sentenza, riporta altresì alcuni dei principali articoli del Protocollo sul lavoro in modalità agile stipulato tra il Ministero del lavoro e le parti sociali il 7 dicembre 2021, i quali sanciscono i medesimi principi. Dal suddetto quadro normativo e contrattuale il Tribunale ne fa discendere che “lo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile non costituisce un diritto pieno del lavoratore, risultando esso comunque subordinato all’autorizzazione della parte datoriale ed alla sottoscrizione di specifico accordo […]. Non può dunque ragionevolmente sostenersi che il lavoratore eventualmente in possesso dei requisiti idonei a consentire l’accesso preferenziale allo smart working possa in maniera del tutto autonoma decidere se e quando rendere la propria attività lavorativa in non meglio precisato locali diversi dalla sede aziendale”.

L’argomentazione proposta dal Tribunale di Ragusa, tuttavia, non prende in considerazione l’intersecazione tra la normativa “ordinaria” di lavoro agile e quella “emergenziale”, ancora parzialmente in vigore durante il periodo in cui si sono svolti i fatti oggetto di causa e che, quindi, necessita di apposita menzione.

In particolare, in parziale contraddizione a quanto asserito dalla parte giudicante, l’art. 90 co. 1 del d.l. n. 34/2020 ha previsto – seppur temporaneamente – un vero e proprio “diritto” (e dunque, non un mero “accesso preferenziale”) al lavoro agile per due categorie di lavoratori, ossia i lavoratori “fragili” (maggiormente a rischio di contagio da COVID-19, così come definiti dalle legislazioni susseguitesi nel corso degli anni della pandemia) e i genitori di figli minori di 14 anni. Tale diritto era esercitabile dai lavoratori rientranti in tali categorie anche nell’assenza di un accordo individuale, con l’unica limitazione rappresentata dalla compatibilità delle loro mansioni con il lavoro da remoto.

La “remotizzabilità” delle mansioni e la conseguente possibilità di consentire al lavoratore di svolgere la propria prestazione al di fuori dei locali aziendali rappresenta, infatti, tema centrale nella scarna giurisprudenza in materia di lavoro agile. Alcune sentenze, relative a casi verificatisi durante il periodo pandemico e post-pandemico, hanno ad esempio sancito che l’onere della prova relativamente all’incompatibilità delle mansioni di un lavoratore disabile con il lavoro agile ricadesse sul datore di lavoro (Trib. Roma, ord. 20 giugno 2020, n. 12525), e che la richiesta di lavorare da remoto per 5 giorni su 5 da parte di una lavoratrice parzialmente invalida potesse essere negata dal datore di lavoro solamente nel caso in cui sussistessero delle ragioni organizzative tali per cui fosse richiesta la presenza in azienda della stessa, e unicamente qualora lo svolgimento della prestazione nei locali aziendali non ne pregiudicasse la tutela della salute (Trib. Trieste, ord. 21 dicembre 2023, n. 525).

Più difficile da reperire, invece, giurisprudenza relativamente a tale giudizio di compatibilità delle mansioni a favore di lavoratori con figli minori di 14 anni, sebbene esso rappresentasse – come già affermato – l’unica vera limitazione all’esercizio del diritto al lavoro agile per tale categoria di lavoratori.

In ogni caso, il tribunale di Ragusa sceglie di lasciare sullo sfondo il tema della compatibilità delle mansioni – pur richiamata sia nel provvedimento di licenziamento che nel ricorso del lavoratore – soffermandosi sull’assenza dell’accordo individuale. Viene affermato infatti che “non è plausibile affermare che la formalizzazione dell’accordo scritto possa essere validamente sostituito dalla mera notizia (informale e implicita) offerta dal dipendente al proprio superiore gerarchico […], essendo evidente la distinzione tra simili comunicazioni […] ed il complesso contenuto dell’accordo al quale fanno riferimento tanto la legge n. 81 del 2017 quanto il suddetto Protocollo”. Tuttavia, il tribunale non fa riferimento ad alcuna procedura autorizzatoria alternativa contenuta all’interno del contratto collettivo o eventuali regolamenti aziendali applicabili, nel caso in cui, come quello di specie, l’accordo individuale non rappresenti un requisito di legge per l’accesso allo svolgimento della prestazione in modalità agile.

Diletta Porcheddu

Ricercatrice ADAPT Senior Fellow

@DPorcheddu