La regolazione giuridica del lavoro su piattaforma: una breve nota critica alla proposta Ichino

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La discussione sui profili lavoristici della cosiddetta gig economy ha ormai raggiunto un elevato livello di diffusione, tanto nel dibattito pubblico quanto nella riflessione accademica. Da più parti si sottolinea la necessità di interventi normativi diretti a contrastare alcune dinamiche del fenomeno che incidono sulle condizioni di lavoro e di vita dei soggetti che operano per il tramite di piattaforme online (le più famose in Italia, oltre a Uber, sono certamente Foodora e Deliveroo, ma molte altre piattaforme si stanno diffondendo nei più svariati ambiti e settori).

 

In questo contesto, di sicuro interesse risulta essere la proposta di legge (Disposizioni in materia di lavoro autonomo mediante piattaforma digitale) che il senatore e giuslavorista Pietro Ichino (primo firmatario) sta per presentare in Parlamento e che ha diffuso in anteprima sul proprio sito web (vedi Un modo per consentire anche ai lavoratori autonomi “di seconda generazione” di godere della tutela previdenziale essenziale e di un minimo di sicurezza mutualistica della continuità del reddito, in www.pietroichino.it).

 

La peculiarità di questa proposta, rispetto alle riflessioni più in voga nel dibattito giuslavoristico, riguarda le modalità ed i contenuti di tutela della stessa rispetto alle esigenze della cd. on-demand workforce. La scelta è, infatti, quella di concentrarsi su uno specifico ambito di tutela – quello relativo alle esigenze di tipo previdenziale e mutualistico – escludendo espressamente la rilevanza di fronte al “nuovo” modello economico di modalità di tutela tradizionali (si veda a questo proposito la relazione, di carattere sostanzialmente dottrinale, al progetto di legge). L’opzione si basa sul principio per cui i lavoratori autonomi che prestano sulle piattaforme non sono «titolari di un rapporto durevole nel tempo con un unico creditore delle loro prestazioni collocato in posizione dominante, ma vedono la propria attività spezzettata in una miriade di rapporti con singoli committenti» (sempre dalla relazione). La conseguenza, secondo i proponenti, sarebbe l’inutilizzabilità delle tecniche di tutela fondate sulla inderogabilità e la necessità di un intervento che permetta al lavoratore autonomo di evitare «[l’]insieme di numerosi e complessi adempimenti burocratici» di cui è gravato e che consenta una minima tutela della continuità del reddito e, limitatamente a determinati casi, uno standard retributivo minimo.

 

A questi fini la proposta di legge prevede l’introduzione nell’ordinamento – simbolicamente all’interno del cd. Statuto del lavoro autonomo, contenuto nel capo I della l. n. 81/2017 – del contratto di assistenza e protezione mutualistica, volto ad abilitare anche in Italia l’azione delle cd. umbrella company con riferimento alla assicurazione della continuità del reddito e agli adempimenti in materia di contribuzione previdenziale e, in alternativa, della possibilità di uso per le prestazioni da piattaforme del meccanismo introdotto per le prestazioni occasionali (articolo 54-bis della l. n. 96/2017) adattato al bisogno.

 

La proposta del senatore Ichino si presta ad essere analizzata e commentata da un duplice punto di vista. In primo luogo rispetto alla opzione di tutela prescelta, che pare limitare l’ambito di interesse delle normative giuslavoristiche, ad alcuni aspetti relativi alle esigenze di regolamentazione del fenomeno sollevati dalla dottrina. Dall’altro sugli strumenti introdotti al fine di perseguire gli obiettivi prefissi e sul testo proposto. Si cercherà di occuparsi brevemente di entrambi gli aspetti.

 

Sotto il primo aspetto, il profilo fondamentale che emerge dalla lettura della proposta di legge riguarda l’esclusione dall’ambito di regolazione del rapporto diretto tra piattaforma e lavoratore. La conseguenza di questa scelta è che, all’interno della disciplina proposta, non vengono prese in considerazione le esigenze di tutela sollevate dal rapporto tra piattaforma e lavoratore. Non si tratta, almeno per chi scrive, di operare sulla qualificazione di quel rapporto come rapporto di lavoro subordinato: si conviene che, almeno nella maggioranza dei casi, non siano riscontrabili i caratteri della subordinazione e che l’estensione della nozione non sia opportuna ai fini della regolazione degli interessi in gioco. Si tratta, piuttosto, di analizzare le effettive necessità di tutela che sorgono da quel rapporto e valutare i mezzi adeguati per rispondere alle stesse: emerge qui la questione del funzionamento dei sistemi reputazionali gestiti dalle piattaforme, con possibili utilizzi distorti o apertamente discriminatori, ma anche le modalità di funzionamento algoritmico delle stesse (management by algorithms). Ancora rimane al di fuori dell’ambito di interesse della legge la questione relativa alla formazione e all’esercizio della voce collettiva, che meriterebbe una chiara definizione all’interno della normativa (un tentativo in questo senso, con esiti e prospettive da valutare, si trova all’interno della disciplina francese introdotta con la cd.Loi Travail ([1])) ma anche un problema fondamentale, sottolineato nella relazione stessa, che è quello della formazione del lavoratore (ancora in tema la disciplina francese, dove si prevede – a determinate condizioni – un contributo da parte delle piattaforme per la contribuzione in materia di diritto alla formazione ([2])).

 

Al di là di quello che ci sarebbe potuto essere – cercando di evitare di cadere nella prassi italica del benaltrismo – occorre capire che cosa effettivamente c’è nella proposta. In questo senso i rilievi del professor Ichino sulle difficoltà legate alla continuità del reddito e agli oneri burocratici che ricadono in capo ai lavoratori colgono nel segno: le tecniche di tutela prospettate, in parte ispirate a prassi internazionali (peraltro dibattute), meritano, quindi, attenzione.

 

Una prima considerazione che si può fare – ancor prima di affrontare l’articolato normativo – è che l’introduzione di un contratto che abiliti un soggetto terzo a curare i profili relativi agli adempimenti burocratici dovrebbe, di norma, cedere il passo a processi di semplificazione degli stessi.

 

Quanto al disposto normativo, di non facile lettura, esso consta di tre articoli: il primo introduce la disciplina di rilievo per il lavoro autonomo mediante piattaforma digitale, con profili rilevanti per il lavoro autonomo in senso generale; il secondo ed il terzo contengono rispettivamente la disposizione relativa all’entrata in vigore della legge e la clausola di invarianza per la finanza pubblica. L’attenzione sarà concentrata sull’articolo 1.

 

L’articolo 1 della proposta è diretto ad introdurre nella l. n. 81/2017 gli artt. 17-bis, 17-ter e 17-quater.

 

L’art. 17-bis contiene la definizione di lavoro per mezzo di piattaforme digitali, specificando che per esso si intende «l’attività svolta da prestatori di lavoro autonomo che, non essendo iscritti ad albi od ordini professionali e non essendo assoggettati a un regime di previdenza obbligatoria, offrono i propri servizi in rete mediante appositi siti specializzati e applicazioni, rispondendo di volta in volta alle richieste di servizi provenienti da uno o più committenti». Per come espressa la definizione – rilevante per l’applicazione delle discipline che seguono agli articoli successivi – risulta essere piuttosto limitativa rispetto alla eterogeneità dei soggetti che prestano sulle piattaforme e dei modelli organizzative da queste adottati, escludendo non soltanto tutti i professionisti iscritti all’ordine (che pur si avvalgono delle piattaforme digitali), ma anche quanti soggetti a regimi previdenziali obbligatori.

 

Tale esclusione non incide tanto sulla possibilità di accedere al contratto di assistenza e protezione mutualistica (art. 17-ter) – possibilità estesa a tutti i lavoratori autonomi – quanto con riferimento alla operatività del meccanismo relativo alle prestazioni occasionali, che sarà riservato ad una ridotta parte dei lavoratori tramite piattaforma (art. 17-quater).

 

L’art 17-ter prevede la disciplina del contratto di assistenza e protezione mutualistica e si compone di 3 commi: il comma 1 e il comma 2 sono dedicati rispettivamente alle modalità applicative del contratto ai lavoratori di cui all’art. 17-bis ed a «chiunque svolga l’attività di lavoro autonomo con modalità diverse da quelle di cui all’art. 17-bis»; il comma 3 conferma l’applicazione dei regimi fiscali applicabili al singolo lavoro autonomo ai compensi incassati e gestiti dalla umbrella company.

In primo luogo si deve specificare come il contratto di assistenza e protezione mutualistica si configuri nella proposta, non come un contratto di lavoro tra il lavoratore e la umbrella company, ma come un contratto «che preveda l’incasso da parte della società stessa dei compensi relativi all’attività di lavoro mediante piattaforma e il pagamento da parte della società dei compensi stessi ai lavoratori secondo modalità tendenti ad assicurare continuità del reddito, dedotta una quota di servizio contrattualmente determinata, nonché la contribuzione previdenziale, destinata alla Gestione Speciale dell’Inps e all’Inail». Si evita così, come sottolinea la relazione stessa, quella simulazione di un contratto di lavoro che trova luogo, invece, nei Paesi dove finora hanno operato le umbrella company, che sollevano profili di dubbia legittimità.

 

Il comma 1, riguardando i lavoratori non soggetti a regimi di previdenza obbligatoria (con un difetto di raccordo con il 17-bis che già stabilisce tale condizione), prevede il necessario intervento di un decreto ministeriale per la determinazione della misura della contribuzione INPS e INAIL.

 

Il comma 2 occupandosi dei lavoratori autonomi “diversi”, prevede, invece, che laddove il lavoratore sia sottoposto ad un regime di previdenza obbligatoria di categoria, la misura sia quella «prevista per la generalità degli appartenenti alla categoria». Una prima difficoltà interpretativa rispetto al comma che si commenta riguarda la definizione dell’ambito applicativo: riferendosi a modalità diverse rispetto a quelle di cui all’articolo 17-bis occorre definire se la disciplina di cui al comma sia rilevante solo per i lavoratori autonomi che non usufruiscono dei servizi delle piattaforme o anche per i lavoratori da piattaforma che appartengano ad ordini o si trovino sottoposti a regimi previdenziali obbligatori. Una interpretazione restrittiva potrebbe portare ad escludere i secondi, dal momento che in quel caso non si tratterebbe tanto di modalità di prestazione diverse, quanto di una diversa condizione soggettiva dei lavoratori; la volontà dei proponenti sembrerebbe però nel senso di un più ampio ambito applicativo.

La seconda questione di rilievo riguarda la compatibilità di tale disposizione rispetto ai diversi regimi previdenziali previsti nell’ambito del lavoro autonomo, ad esempio per le collaborazioni coordinate e continuative, per il lavoro autonomo occasionale ecc… Quali saranno le modalità di raccordo tra il funzionamento di tale contratto e i diversi regimi previdenziali?

 

Quanto, infine, all’art. 17-quater, al di là di alcuni problemi di coerenze interna del disposto normativo con richiami ai commi 1 e 2 che risultano inconferenti rispetto al testo (dovrebbero essere richiamati gli artt. 17-bis e 17-ter) e dell’ambito applicativo ridotto di cui già si è detto, il profilo di maggiore difficoltà risulta essere quello – previsto al comma 2 – della determinazione di un compenso minimo orario: da un lato le modalità di determinazione risultano essere difficilmente intelligibili nel testo; dall’altro, sussistono profili di possibile contrarietà alla disciplina europea antitrust.

 

In conclusione, la proposta del senatore Ichino, si configura come un interessante tentativo di rispondere alle sfide del lavoro nella on-demand economy ed i suoi obiettivi possono dirsi condivisibili: il testo presentato sembra però scontare alcune debolezze e difficoltà e non dovrebbe comunque essere inteso quale soluzione normativa definitiva alle dinamiche della economia delle piattaforme, che richiede una attenzione rispetto a diversi profili non toccati da tale disciplina.

 

Emanuele Dagnino

Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro

Università degli Studi di Bergamo

@EmanueleDagnino

 

([1]) Si veda l’art. L7342-6 del Code du Travail introdotto ai sensi dell’art. 60 della Loi n. 2016-1088 du 8 août 2016 relative au travail, à la modernisation du dialogue social et à la sécurisation des parcours professionnels.

([2]) Si veda l’art. L7342-3 del Code du Travail introdotto dalla medesima legge.

 

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