Verso il (nuovo) Fondo nuove competenze

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Bollettino ADAPT 12 settembre 2022, n. 30
 
È in dirittura di arrivo il nuovo decreto ministeriale per l’attuazione dell’art. 88 del decreto legge n. 34 del 2020, costitutivo del Fondo nuove competenze.
 
Il Fondo, già ampiamente analizzato, sia nella sua cornice normativa (G. Impellizzieri, E. Massagli, ANPAL pubblica le FAQ sul Fondo nuove competenze. Molte risposte (e qualche nuova domanda), in Bollettino Adapt del 30 novembre 2020, n. 44) che attuazione pratica (ADAPT, La contrattazione collettiva in Italia (2020). VII Rapporto, 2021, in specie il capitolo “Fondo nuove competenze e contrattazione collettiva”), ha la funzione di finanziare le rimodulazioni di orario convenute in accordi aziendali o territoriali che prevedano la destinazione di parte del monte orario in attività formativa, coprendo i costi contributivi e previdenziali del personale.
 
Introdotto durante il culmine dell’emergenza pandemica ed economica del 2020, lo strumento rappresenta indubbiamente una delle politiche del lavoro italiane più innovative degli ultimi anni, pur ferme le criticità già rilevate dai commentatori e studiosi, assurgendo anche a best practice riconosciuta a livello comunitario.
 
La natura polivalente della misura che, con pieno protagonismo (almeno sulla carta) delle relazioni sindacali, integra forme di sostegno economico all’impresa con azioni formative di riqualificazione dei lavoratori e ammodernamento dei processi produttivi ha riscosso notevole successo tra gli operatori del mercato del lavoro. Al punto che, secondo le rilevazioni della Corte dei conti, sono state ammesse al finanziamento 6.724 istanze, per un totale di 378.182 lavoratori coinvolti e un complessivo pari a oltre 782 milioni di euro.
 
Anche per questo motivo non è poca l’attesa verso il nuovo decreto attuativo che renda nuovamente operativa la misura, così come previsto dallo stesso Piano nazionale di ripresa e resilienza (Missione 5, componente 1) che ne prevede il rifinanziamento per un miliardo a valere delle risorse comunitarie React-Eu e fissa l’obiettivo di renderla strutturale, almeno in relazione Piano nazionale nuove competenze.
 
In considerazione di una razionalizzazione delle risorse disponibili e di una sua funzionalizzazione alla transizione digitale ed ecologica che, com’è noto, permea l’intero Pnrr, è sempre più probabile che il Fondo nuove competenze sia ridisegnato dal Ministero del lavoro, con significative novità rispetto alla versione originaria. E pare pertanto utile, anche in vista della possibile scadenza per la sottoscrizione di nuove intese a fine dicembre 2022, rappresentare i tratti principali della misura, ravvisando eventuali profili di criticità.
 
La principale novità riguarderebbe l’ammontare degli oneri finanziabili dal Fondo che non rimborserebbe più l’intero costo del personale destinato in formazione, ma soltanto il 60% della retribuzione oraria, oltre che la totalità dei contributi previdenziali. È tuttavia prevista un’inedita ipotesi premiale che, esplorando ulteriormente i rapporti tra orario di lavoro e formazione e riqualificazione dei lavoratori, ammetterebbe il 100% di copertura dei costi in caso di accordi che prevedano, oltre la rimodulazione dell’orario di lavoro finalizzata a percorsi formativi, anche una riduzione dell’orario normale di lavoro a parità di retribuzione complessiva (di carattere strutturale o sperimentale per almeno un triennio).
 
Anche le modalità di erogazione del finanziamento sembrano destinate a cambiare, con la possibilità di ottenere le risorse in anticipo, prima dell’attivazione delle azioni formative, limitata ai soli datori di lavoro che presentino una fidejussione bancaria o polizza assicurativa (e non più estesa a tutti per la misura del 70% del finanziamento).
 
È inoltre reso strutturale, pur con qualche ambiguità, il coinvolgimento dei Fondi interprofessionali per la formazione continua che si intendono partner privilegiati per l’attuazione dei programmi e il finanziamento dei costi strettamente relativi alla formazione. Al punto che sarebbe anche fissato un termine entro il quale ciascun Fondo che voglia far parte del circuito del Fondo nuove competenze debba presentare una domanda preliminare. Non sono ancora chiari gli scopi e modalità concrete di una tale (e ulteriore) attrazione dei fondi interprofessionali alla gestione pubblica (a dispetto della loro natura tipicamente di relazioni industriali), tanto più che le stesse azioni formative ben potrebbero essere sovvenzionate anche dalle risorse messe a disposizioni delle regioni che, com’è noto, sono competenti in materia di formazione professionale.
 
Altre novità rilevanti sono previste con riguardo agli stessi contenuti formativi dei piani finanziati dal Fondo nuove competenze. Innanzitutto viene introdotto un monte orario minimo di 40 ore (per un massimo di 200 ore) per ciascun lavoratore. Ma soprattutto sono definite le aree tematiche verso le quali devono essere orientati i progetti formativi. Se in origine era sufficiente che fossero funzionali alle «mutate esigenze organizzative e produttive dell’impresa», le nuove modalità di funzionamento limiteranno l’accesso alle risorse del Fondo ai soli programmi rivolti all’acquisizione di competenze utili alla transizione ecologica e tecnologica.
 
Con qualche perplessità sulla legittimità costituzionale di una previsione che escluderebbe le Regioni dalla determinazione dei contenuti formativi, oltre che sull’elevato tasso di burocraticità dell’operazione che non lascia ben sperare riguardo alla capacità di dialogo con i fabbisogni professionali dei territori e delle imprese, parrebbe che le competenze da acquisire siano anche già preventivamente e tassativamente individuate da allegati di qualche decina di pagina.
 
Al fine di garantire la qualità delle azioni formative e di evitare forme di utilizzo distorsive è anche escluso, a differenza di quanto previsto in origine, che la formazione possa essere erogata dall’azienda stessa.
 
Nel complesso, e in conclusione, le nuove regole del Fondo nuove competenze, a tacer delle criticità già evidenziate, soprattutto in materia di ripartizione delle competenze legislative con le regioni, paiono piuttosto condizionate dal (pur comprensibile) timor di non disperdere le risorse in azioni formative di bassa qualità – e sul punto dovrebbe far riflettere il venire meno dell’(inattuato) obbligo di certificare le competenze acquisite. E in questo senso sono inserite clausole limitative e restrittive che però corrono il rischio di accentrare eccessivamente la gestione della misura, sottraendo facoltà di programmazione e controllo anche alle stesse parti sociali, il cui coinvolgimento rimane pur fondamentale per l’accesso alle risorse ma che rischia ulteriormente di ridursi a mero adempimento formale.
 
Giorgio Impellizzieri

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@giorgioimpe

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