Trasferimento di ramo d’azienda e diritto di opposizione del lavoratore

Interventi ADAPT

| di Matteo Di Francesco

Bollettino ADAPT 20 ottobre 2025, n. 36


Con sentenza n. 228 del 26 giugno 2025, il Tribunale di Ravenna, ha stabilito che il dissenso della maggioranza dei lavoratori appartenenti ad un ramo di azienda è idoneo ad impedire il passaggio automatico degli stessi dal cedente al cessionario rendendo quindi tale cessione giuridicamente inesistente.

Nel caso esaminato nella sentenza, i rapporti di lavoro di 116 dipendenti di una Banca venivano trasferiti ad un’altra società nell’ambito di un’operazione di trasferimento di due rami d’azienda ex art. 2112 c.c. Unitamente alla sottoscrizione dell’accordo di cessione dei rami, cedente e cessionario sottoscrivevano un “accordo quadro” avente ad oggetto la creazione di una piattaforma di servicing e la contestuale stipula di un contratto per la gestione ed il recupero dei crediti. Si trattava, quindi, di una esternalizzazione – che si verifica quando una impresa dismette la gestione diretta di alcuni segmenti dell’attività produttiva, affidandosi per gli stessi a terzi – di alcune attività amministrative, passate ad un soggetto terzo con il quale poi la cedente stipulava un contratto di appalto di servizi (c.d. “terziarizzazione interna”).

Su 116 lavoratori coinvolti, ben 106, dichiaratisi dissenzienti al trasferimento dei loro rapporti di lavoro, impugnavano la cessione, chiedendo che fosse dichiarata la prosecuzione del loro rapporto di lavoro con la cedente, sin dalla data del 15 gennaio 2024 (passaggio alla cessionaria). La maggioranza dei lavoratori coinvolti si opponeva all’operazione sostenendo che il trasferimento era finalizzato a realizzare, contra legem, un piano di riduzione del personale.

A fronte del dissenso manifestato dai lavoratori, il Tribunale di Ravenna ha formulato una lettura dell’art. 2112 c.c. alla luce del diritto europeo. 

Ed infatti, osserva il Tribunale, com’è facile ricavare dalla semplice lettura dei provvedimenti legislativi che hanno trasformato il contenuto dell’art. 2112 c.c., tutte le modifiche sono state fatte in attuazione delle direttive comunitarie in tema di “ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti” (così la prima, n. 77/187/CEE). In tal senso, le disposizioni dell’art. 2112 c.c. devono, secondo il Tribunale, essere comunque lette alla luce del diritto dell’Unione Europea (comprensivo innanzi tutto della sua ratio, ossia il mantenimento del diritto dei lavoratori a fronte di cessioni di compendi aziendali) e, laddove il diritto interno corra il rischio di porsi in contrasto con tale diritto, il primo debba essere fatto oggetto di interpretazione conforme tesa al raggiungimento dell’effetto voluto dalla direttiva (cfr. CGUE, 24 giugno 2019, Popławski, C‑573/17, EU:C:2019:530).

Venendo proprio alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), il Tribunale ricorda che la Corte – alla luce della finalità della direttiva, che è la tutela dei lavoratori a fonte del passaggio ad un altro soggetto dell’azienda nella quale i primi lavoravano e vogliono continuare a lavorare – ha ampliato notevolmente l’ambito applicativo della direttiva stessa, estendendo la nozione di trasferimento di impresa, in modo tale che tale trasferimento vi sia, in caso di prosecuzione dell’attività alle dipendenze di un altro soggetto, essenzialmente (in questo senso, per tutte, CGUE, 19 ottobre 2017, Securitas, C-200/16): i) negli appalti di mezzi, nel quale rilevano beni strumentali importanti: se passano i mezzi, vi trasferimento di azienda ed i lavoratori hanno diritto di passare, ossia non li si può escludere dal ramo ceduto; ii) negli appalti c.d. “leggeri”, di manodopera: se passa un numero significativo di lavoratori, vi è trasferimento di azienda ed i lavoratori hanno diritto di passare a prescindere dal passaggio anche di mezzi materiali.

Ebbene, secondo il giudice ravennate, se si fosse trattato di applicare sic et simpliciter tale giurisprudenza comunitaria estensiva della nozione di ramo di azienda, l’operazione in questione – come molte delle altre esternalizzazioni sottoposte allo scrutinio dei giudici – sarebbe rientrata perfettamente nella nozione di trasferimento di impresa.

A ben vedere, però, esaminando la casistica sulla quale la CGUE si è così pronunciata, in tali casi vengono in rilievo ipotesi in cui i lavoratori aspirano a rimanere a lavorare all’interno dell’azienda ceduta. In altre parole, lo scopo delle direttive è stato quello di tutelare i lavoratori a fonte del passaggio ad un altro soggetto dell’azienda nella quale i primi lavoravano e volevano continuare a lavorare ed è per questa ragione che è stata adottata una nozione iper-estensiva di “azienda” e di “ramo d’azienda – nozione che considera ramo d’azienda qualsiasi “articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento” (art. 2112, c.c. , ult. comma). Tuttavia, sottolinea il Tribunale di Ravenna, le nozioni iper-estensive di azienda e di ramo d’azienda vanno applicate alle ipotesi in cui i lavoratori aspirano a rimanere a lavorare all’interno dell’azienda ceduta e, dunque, a passare” dal cedente al cessionario, con il passaggio dell’azienda.

Quando, invece, i lavoratori non volessero passare alle dipendenze del cessionario, la CGUE (CGUE, 16 dicembre 1992, Katsikas e altri, cause riunite C-132/91, C-138/91, C-139/91; 24 gennaio 2002, Temco Service Industries Sa e altri, C-51/00) riconosce che il trasferimento automatico del rapporto di lavoro alle dipendenze del cessionario non opera e che in caso di dissenso rispetto al trasferimento, visto che il rapporto non prosegue con la cessionaria – “o il contratto può essere considerato risolto, nell’impresa cedente, su domanda del datore di lavoro o su domanda del dipendente, o il contratto può continuare con tale impresa” (CGUE, Temco, cit.).

Con un passaggio ancor più forte, il Tribunale precisa che la direttiva, anche se consente al lavoratore di rimanere alle dipendenze del nuovo datore di lavoro alle stesse condizioni di quelle pattuite con il cedente, non può essere interpretata nel senso che essa obbliga il lavoratore a proseguire il rapporto di lavoro col cessionario. Un obbligo del genere comprometterebbe i diritti fondamentali del lavoratore, il quale deve, in ogni caso, essere libero di scegliere il suo datore di lavoro e non può essere obbligato a lavorare per un datore di lavoro che non ha liberamente scelto. Ragionare diversamente, quindi, comporterebbe una lesione dei diritti fondamentali del lavoratore.

Dunque, la CGUE – nel mentre dà una nozione iper-estesa di trasferimento – allo stesso tempo ritiene che la direttiva non obblighi assolutamente il lavoratore ad essere trasferito ove dissenziente e rimette agli stati membri la scelta sulle conseguenze di tale mancato passaggio sul rapporto di lavoro con la cedente, essendo ben possibile che il diritto interno preveda anche la continuazione di tale rapporto.

Da tali premesse non possono che derivare conseguenze anche in ordine alla nozione di azienda rilevante ai fini della tutela dei lavoratori nel passaggio da un’impresa ad un’altra.

Sul punto, il giudice ravennate ha ritenuto insussistenti i rami di azienda conferiti, visto che erano costituiti sostanzialmente dai lavoratori, oltre che da generica attrezzatura da ufficio, per cui non sussisterebbe alcuna autonomia funzionale possibile dei rami, in violazione dell’art. 2112 c.c. In altri termini, il giudice ha aderito a quell’orientamento rigoroso (ex multis, Cass. 30/04/2025, n. 11431; Cass. 19 gennaio 2017, n. 1316; Cass. 25 febbraio 2016, n. 10542) che ritiene che il ramo “leggero”, composto esclusivamente – o prevalentemente – dal solo personale non possa rientrare nella nozione ordinaria di “ramo d’azienda”.

Ramo “leggero” significa, per il Tribunale di Ravenna, esternalizzazione di un rilevante numero di dipendenti essenzialmente senza struttura produttiva. In sostanza, i rami di questo tipo evidenziano una assenza di qualsiasi autonomia funzionale pregressa dell’entità ceduta, dal che ne discende l’inesistenza di una cessione di azienda.

Ovviamente, laddove non si configuri un ramo vero e proprio, non trova applicazione l’art. 2112 c.c. ma l’art. 1406 c.c. e quindi si è in presenta di plurime cessioni di rapporti individuali di lavoro (rendendo senza dubbio necessario, in base alla norma, il consenso del lavoratore).

La sentenza va letta con cautela, dando ingresso ad una lettura sulla disciplina del trasferimento d’azienda che, in ambito giudiziale, non aveva trovato sin qui spazio. La tesi per cui, se la cessione riguarda un ramo “leggero”, il lavoratore possa rifiutare il trasferimento, restando alle dipendenze del soggetto cedente, apre scenari complessi che potrebbero vincolare l’operatività della cessione al preventivo consenso dei lavoratori.

Occorre peraltro considerare che, sebbene l’art. 2112 cod. civ. non preveda che il lavoratore coinvolto da una operazione di trasferimento di ramo aziendale abbia diritto di opporsi, ha comunque previsto un “rimedio” per il dissenso del lavoratore, prevedendo la facoltà di dimettersi entro tre mesi dal trasferimento di tale rapporto lavorativo qualora mutino le condizioni organizzative che regolavano il suo rapporto di lavoro prima di tale cessione, ai sensi dell’art. 2112, quarto comma, c.c.

Ma anche sul punto, il giudice ravennate è di idee differenti, sostenendo che il diffuso dissenso dei lavoratori alla cessione, idoneo ad escludere il passaggio del ramo di azienda leggero, non deve rivestire necessariamente i crismi delle dimissioni per giusta causa (anche eventualmente ex art. 2112, 4 comma c.c.), e che la norma non possa “essere intesa quale sorta di ghigliottina che ne conculchi i diritti”, “imponendo” le dimissioni a fronte di una cessione di ramo illegittima.

Piaccia o meno tale interpretazione, la pronuncia si discosta in modo evidente dalla giurisprudenza tradizionale, incluso l’orientamento della Cassazione, che finora ha escluso la necessità del consenso del lavoratore nel trasferimento d’azienda o di ramo. Se confermata nei successivi gradi di giudizio, potrebbe costituire un precedente rilevante per una diversa interpretazione dell’art. 2112 c.c., riconoscendo un diritto effettivo di opposizione alla cessione del rapporto.

L’annullamento di un trasferimento di ramo può avere evidenti ripercussioni economiche e occupazionali che impongono alcune cautele. Ad esempio, se è ovvia l’utilità di mappare con precisione il ramo prima di ogni operazione e simulare tutti gli scenari giuridici prima di sottoscrivere il trasferimento, parimenti una gestione preventiva del consenso, anche tramite comunicazioni trasparenti e negoziazioni individuali, potrebbe risultare rilevante per prevenire contenziosi.

Il rischio, dopo tutto, non è solo il contenzioso, ma il possibile risultato negativo del medesimo, cioè la reintegrazione coatta dei lavoratori, considerato che, una volta accertata l’illegittimità della cessione, il lavoratore ha diritto al ripristino del rapporto di lavoro con il cedente (l’azienda originaria) e al pagamento di tutte le retribuzioni perse, senza detrazione di quanto eventualmente percepito lavorando per il cessionario.

Alla luce della sentenza di Ravenna, dalla motivazione articolata, la materia del trasferimento di ramo d’azienda presenta ancora forti aree di incertezza. La tesi del “diritto di opposizione” del lavoratore nei rami “leggeri”, sebbene ancora assolutamente minoritaria, potrebbe in futuro incrinare il dogma dell’automaticità del trasferimento.

La sentenza in commento è espressione della frequente disarmonia tra la certezza del diritto, elemento cruciale per le operazioni straordinarie, e la necessità di una tutela effettiva i.e., non meramente formale- dei lavoratori, confermando un costante contrasto e tentativo di bilanciamento tra interessi antitetici e fondamentali.

Matteo Di Francesco

Avvocato

Professore a contratto Università degli Studi di Napoli Parthenope e Libera Università di Bolzano

ADAPT Professional Fellow