Transizioni occupazionali, politiche attive del lavoro e ruolo del sindacato nell’era del Governo Draghi*

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Bollettino ADAPT 21 febbraio 2022, n. 7
 
Integrazioni salariali per contrastare la crisi
 
Durante la pandemia il legislatore italiano ha messo i datori di lavoro, coperti o no in tempi normali dalla Cassa integrazione, nelle condizioni di ridurre il più possibile il ricorso ai licenziamenti, dando loro accesso alla Cig non solo per le normali causali (ordinaria o straordinaria), ma anche per la c.d. “causale COVID-19”, senza rischio di incapienza dei contatori. La causale COVID-19 ha inoltre permesso di estendere la copertura per le integrazioni salariali a quasi tutti i lavoratori dipendenti, senza distinzione di settore, comparto e dimensione occupazionale del datore di lavoro. A queste politiche passive1 non ha, però, fatto seguito l’erogazione di adeguate politiche attive. Per ragioni legate inizialmente alla tutela della salute dei lavoratori addetti ai centri per l’impiego (CpI)2 e, soprattutto, a causa dell’arretratezza di gran parte dei CpI, per lo più poco attrezzati per garantire servizi da remoto, durante l’ultimo biennio sono state ben poche le occasioni di erogazione di politiche attive ai percettori di ammortizzatori sociali.
 
Questo problema, già avvertito dal Governo Conte-bis, ha trovato un tentativo di soluzione con la legge di bilancio per il 2021 n. 178, che ha lanciato il programma GOL – Garanzia Occupabilità dei Lavoratori – un piano nazionale di politiche attive per il lavoro che, però, è rimasto inattuato per mesi, per poi rifluire nel PNRR, nell’ambito del quale è attualmente in corso d’implementazione. Il programma, nato per accompagnare la ripresa economica dopo la crisi dovuta alla pandemia, ha l’ambizione di assumere le caratteristiche di una riforma di sistema, considerato sia l’orizzonte temporale di 4 anni, sia l’ammontare delle risorse, 4,4 miliardi di euro cui si aggiungono 500 milioni di euro a valere sui fondi REACT-EU. L’obiettivo è raggiungere 3 milioni di beneficiari GOL entro il 2025. Di questi, almeno 800 mila devono essere coinvolti in attività di formazione per il rafforzamento delle competenze digitali.
 
Riordino degli ammortizzatori sociali e l’ampliamento alle transizioni occupazionali
 
La legge di bilancio per il 2022 (n. 234 del 2021) nel modificare le regole per l’accesso agli ammortizzatori sociali, rendendole più inclusive rispetto a quelle dettate dal c.d. Jobs Act, valorizza il programma GOL, adottato con decreto interministeriale nel mese di novembre 20213, e rafforza i meccanismi di condizionalità di accesso alla tutela del reddito nel tentativo di uscire definitivamente dall’equivoco indotto dai due anni di pandemia. Ovvero che le politiche passive in costanza di rapporto, soprattutto quelle finanziate dalla fiscalità generale, possono essere del tutto scollegate da percorsi di attivazione verso la riqualificazione professionale o verso nuovi lavori.
 
La legge riscrive i meccanismi di condizionalità per i beneficiari di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro (art. 25-ter, inserito nel d.lgs. n. 148/2015). E rafforza quelli collegati alla causale d’intervento “riorganizzazione aziendale”, che viene ampliata anche in riferimento ai processi di transizione, con la disciplina dell’“accordo di transizione occupazionale” che, con gli accordi di ricollocazione già disciplinati dal d.lgs. n. 148/20154, rafforza il ruolo delle parti sociali per la gestione delle crisi occupazionali.
 
Vediamo di cosa si tratta. Una grande novità del riordino degli ammortizzatori sociali è costituita dall’ampliamento della platea dei lavoratori beneficiari di ammortizzatori in costanza di rapporto di lavoro. A partire dal primo gennaio 2022 possono usufruire della CIGS oltre ai lavoratori subordinati – con esclusione dei dirigenti – anche i lavoratori a domicilio e i lavoratori con contratto di apprendistato di primo e di terzo livello. Per l’accesso ai trattamenti d’integrazione salariale è necessario che l’impresa abbia alle proprie dipendenze mediamente più di 15 dipendenti, indipendentemente dal settore lavorativo, da calcolarsi in riferimento al semestre precedente la data di presentazione della domanda.  Sono calcolati nel computo anche i dirigenti, i lavoratori a domicilio, gli apprendisti e anche i lavoratori che prestano la loro opera con il vincolo di subordinazione sia all’interno sia all’esterno dell’azienda.
 
Un’altra novità riguarda le causali. Con una modifica dell’art. 21, la CIGS può essere chiesta anche per riorganizzazione volta “a realizzare processi di transizione5. La modifica è assai rilevante per sostenere i processi di trasformazione e modernizzazione delle imprese sul piano della ecocompatibilità, della digitalizzazione e del rinnovamento delle competenze, tre pilasti su cui è basato il PNRR. I piani di riorganizzazione aziendale devono presentare interventi articolati contemplando azioni dirette a gestire la transizione ecologica, energetica e digitale. Per l’individuazione e regolazione dei casi che rientrano in questa causale aggiuntiva e per la regolamentazione dei programmi di riorganizzazione si deve però aspettare un decreto emanato dal ministro del Lavoro, sentito il ministro dello Sviluppo Economico, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge. Il programma di riorganizzazione deve, in ogni caso, essere finalizzato a un consistente recupero occupazionale, anche in termini di riqualificazione professionale e di potenziamento delle competenze del personale interessato alle sospensioni o alle riduzioni dell’orario di lavoro. Nell’ipotesi in cui l’impresa proceda alla riconversione degli impianti, essa deve indicare le azioni volte per es. all’efficientamento energetico e alla sostenibilità ambientale e tutti gli investimenti per realizzare il processo di transizione tecnologico, digitale o energetico.  Devono essere indicate anche le misure di recupero occupazionale dei lavoratori coinvolti nel programma e interessati alle sospensioni o alle riduzioni di orario di lavoro.
 
Accordo di transizione occupazionale
 
Questa causale legata ai processi di transizione verde e digitale è collegata a ulteriori misure di politica attiva affidate a un accordo sindacale finalizzato a sostenere le transizioni occupazionali: il c.d. accordo di transizione occupazionale disciplinato dal nuovo art. 22-ter del d.lgs. n. 148/2015.
 
Durante la consultazione sindacale volta a evitare un esubero di personale, le parti possono concludere un accordo di transizione che consente ai lavoratori interessati dal trattamento di integrazione salariale per riorganizzazione o crisi di accedere al programma GOL. A fronte di questi accordi l’art. 23-ter consente una proroga del trattamento straordinario d’integrazione salariale di ulteriori 12 mesi6. In sede di consultazione sindacale, pertanto, l’impresa e le rappresentanze dei lavoratori, se vogliono prolungare la CIGS fino a 36 mesi, devono negoziare azioni concrete finalizzate alla rioccupazione o all’autoimpiego dei lavoratori potenzialmente in transizione, quali formazione e riqualificazione professionale, anche ricorrendo ai fondi interprofessionali. Dette azioni possono essere cofinanziate dalle Regioni nell’ambito delle misure di formazione e politiche attive del lavoro.
 
La mancata partecipazione alle predette azioni, per esclusiva responsabilità del lavoratore, comporta la decadenza dall’integrazione salariale. Questo inciso lascia presupporre la obbligatoria partecipazione a corsi di formazione o riqualificazione da parte dei lavoratori a rischio di esubero. A tal fine i nominativi dei lavoratori coinvolti sono comunicati all’ANPAL che li mette a disposizione delle Regioni interessate ai fini dell’accesso al programma GOL. È assai probabile che per questi lavoratori sia garantito l’accesso preferenziale al percorso n. 1 tra i cinque percorsi previsti dal programma GOL per il reinserimento occupazionale destinato a coloro che, dopo la profilazione, risultano più vicini al mercato del lavoro e, dunque, più facilmente occupabili. Per questi lavoratori la probabilità di rimanere disoccupati si riduce notevolmente se, già durante la sospensione del rapporto, iniziano a cercare un lavoro grazie agli accordi di ricollocazione di cui all’art. 24-bis o l’indirizzamento verso percorsi personalizzati di formazione o riqualificazione professionale indicati nell’accordo di transizione.
 
Incentivi per le imprese che assumono lavoratori in transizione
 
Gli accordi di transizione sono incentivati e promossi anche con azioni volte a garantire l’occupabilità dei lavoratori. La legge di bilancio per il 2022 riconosce un contributo del 50% della CIGS autorizzata e non goduta nel limite massimo di 12 mesi in favore dei datori di lavoro che assumano a tempo indeterminato lavoratori coinvolti da processi di transizione7. Per poter beneficiare dell’incentivo (art. 1, c. 243) il datore di lavoro deve assumere il lavoratore con contratto a tempo indeterminato e nei sei mesi precedenti l’assunzione non deve aver effettuato licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo, o licenziamenti collettivi, nella medesima unità produttiva. Il beneficio – subordinato all’autorizzazione della Commissione europea – è riconosciuto pro quota anche qualora i lavoratori beneficiari del trattamento straordinario di integrazione salariale di cui all’articolo 22-ter, costituiscano una cooperativa8.
 
Condizionalità e riqualificazione professionale
 
Con gli interventi di riordino degli ammortizzatori sociali (art. 1, c. 202, della citata legge di bilancio 2022) è anche ridefinito il meccanismo di condizionalità per tutti i percettori di sostegno del reddito in costanza di rapporto9, indipendentemente dalla causale: riorganizzazione aziendale, crisi aziendale, contratto di solidarietà. La norma contenuta nell’art. 25-ter, rubricata significativamente “Condizionalità e formazione”, subordina l’erogazione del trattamento alla partecipazione del lavoratore a programmi di formazione o riqualificazione allo scopo di mantenere o sviluppare le competenze in vista della conclusione della procedura di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa. I corsi di formazione o di riqualificazione offerti ai lavoratori devono essere programmati in connessione con la domanda di lavoro espressa dal territorio. Detti corsi possono essere finanziati anche mediante fondi interprofessionali oppure possono essere cofinanziati dalle Regioni nell’ambito delle rispettive misure di formazione e politica attiva del lavoro. La mancata partecipazione senza giustificato motivo alle iniziative formative comporta l’irrogazione di sanzioni a carico del lavoratore, graduate a seconda della gravità: esse vanno dalla decurtazione di una mensilità di trattamento di integrazione salariale fino alla decadenza dallo stesso, secondo le modalità e i criteri da definire con decreto del ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, da adottare sempre entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione in esame. Per i percettori di CIGS, le modalità di attuazione delle iniziative di carattere formativo o di riqualificazione non prevedono il rinvio automatico al programma GOL ma sono definite con decreto del ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, previa intesa in sede di Conferenza unificata10, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della norma. Detto passaggio tiene conto degli assetti costituzionali e degli ambiti di competenza esclusiva delle Regioni e delle Province autonome in materia di formazione professionale.
 
È assai probabile che il decreto faccia rinvio al Piano Nazionale Nuove Competenze recentemente adottato nell’ambito delle azioni proposte nel PNRR11, il quale prevede che almeno 800 mila lavoratori siano coinvolti in attività di formazione entro il 2025. Per far funzionare bene la condizionalità dei percettori di CIGS, sia per il caso di transizioni occupazionali sia negli altri casi, è necessario mettere a punto un sistema di governance multi livello articolato in un coordinamento nazionale forte volto ad assicurare il perseguimento di standard di qualità e livelli essenziali delle prestazioni su tutto il territorio nazionale; l’attivazione a livello di regioni e province autonome di adeguati corsi di formazione professionale che tengano conto dei fabbisogni delle imprese; la organizzazione sempre a livello territoriale, di una rete territoriale di servizi garantiti anche grazie alla sussidiarietà del livello nazionale ove necessario.
 
Il Governo appare consapevole della necessità di incanalare i lavoratori in transizione verso le politiche attive: in particolare verso percorsi di formazione professionale utili alla rioccupazione. Occorre ricordare che i percorsi di aggiornamento delle competenze previsti nel Piano Nazionale Nuove Competenze sono di tre tipi: percorsi di aggiornamento di breve durata, fino a 150 ore focalizzati su contenuti prevalentemente professionalizzanti; percorsi di riqualificazione della durata massima di 600 ore, per il rafforzamento delle competenze in base alla rilevazione degli specifici fabbisogni del beneficiario progettati per l’innalzamento dei livelli di qualificazione/EQF o per l’acquisizione di una qualificazione inclusa nel Repertorio Nazionale delle competenze; infine percorsi integrativi di 60 ore, volti al rafforzamento delle competenze di base con particolare riguardo a quelle digitali, alfabetiche, matematiche, finanziarie e multilinguistiche progettati in coerenza con gli standard internazionali di riferimento.
 
È assai importante che, durante la fase della consultazione e di esame congiunto sul programma aziendale che l’impresa intende attuare nel definire le misure necessarie a gestire le transizioni occupazionali, le organizzazioni sindacali sappiano guidare bene i lavoratori verso la scelta dei corsi migliori. A differenza dei lavoratori, i sindacati conoscono molto bene il mercato del lavoro e sanno quali sono i settori in cui vi è richiesta di nuove professionalità e di quali professionalità vi è bisogno in ciascun settore. Se il sindacato non si farà interprete di questo ruolo d’informazione capillare sugli sbocchi occupazionali esistenti nel territorio anche negoziando, ove necessario, misure per garantire la mobilità dei lavoratori in altri territori, la condizionalità legata alla formazione introdotta dal riordino del sistema degli ammortizzatori sociali sarà destinata a fallire miseramente: i lavoratori dopo al massimo 36 mesi di CIGS passeranno dalla condizione di occupato alla condizione di disoccupato e per loro si apriranno le porte della NASpI.
 
Per svolgere al meglio questo servizio sugli sbocchi occupazionali, i sindacati che assistono i lavoratori durante una vertenza o che partecipano alla consultazione sindacale e all’esame congiunto previsti dall’art. 24, possono utilizzare i dati del sistema informativo Excelsior Unioncamere Anpal, che registrano mensilmente i fabbisogni delle imprese12, o le comunicazioni obbligatorie per il lavoro dipendente per comprendere quali settori stanno assumendo e quali sono in espansione. Se i sindacati non interpreteranno questo ruolo strategico per il futuro dei lavoratori, negoziando anche voucher per il rapido accesso alla formazione utile, i lavoratori avranno come unico sbocco i corsi regionali: rispetto a questi corsi, del tasso di coerenza tra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi non sappiamo davvero nulla. Manca ogni forma di monitoraggio e valutazione della formazione impartita a livello locale e, soprattutto, non sappiamo quanti enti accreditati ai sistemi regionali per la formazione sono in linea con le indicazioni europee recate dalla New Skills Agenda 2020. La sola cosa che sappiamo è che gli enti accreditati alla formazione professionale regionale in Italia sono 7300. Di questi, più di 2800 sono accreditati per l’istruzione e la formazione professionale. Quale formazione impartiscano effettivamente non è chiaro ai più, anche perché il sistema informativo della formazione professionale affidato dall’art. 15 del d.lgs. n. 150/2015 all’ANPAL ancora non è operativo.
 
Come si legge nel suo sito, l’ANPAL “sta attuando in sinergia con Regioni e Amministrazioni pubbliche una strategia di intervento mirata all’ottimizzazione dei flussi di cooperazione applicativa, valorizzando l’integrazione tra le componenti applicative regionali e il sistema centrale per l’erogazione dei servizi all’utenza”.
Nel Piano nazionale e nelle norme di riordino degli ammortizzatori sociali non si dice chi deve vigilare sul tipo di offerta formativa proposta a livello regionale ai lavoratori in CIGS affinché questa non diventi un parcheggio per i lavoratori in transizione o in esubero e una fonte di finanziamento per gli enti accreditati ai sistemi regionali. Farebbero bene, dunque, i sindacati a vigilare e chiedere a gran voce di essere inseriti nella governance del processo che porta i lavoratori a usufruire dei corsi di formazione come meccanismo di condizionalità cui è subordinato il godimento del sostegno del reddito.
 

Lucia Valente

Ordinario di diritto del lavoro

Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

@luciavalente_tw
 
*Scritto destinato al volume “I quaderni della Commissione” con scritti dedicati a Giovanni Pino.
 
1 Costate per l’anno 2020, 36.634,8 miliardi finanziati grazie al Temporary framework sugli aiuti di Stato e anche con il supporto diretto di programmi europei.

2 V. art. 40, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con mod. dalla l. 24 aprile 2020, n. 27 recante «Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19» (c.d. “Decreto Cura Italia”) che sospende la condizionalità di tutti i trattamenti di sostegno del reddito sia di natura previdenziale sia di natura assistenziale.

3 Decreto interministeriale pubblicato il 5 novembre 2021.

4 Art. 24 bis, d.lgs. n. 148/2015 inserito dalla l. 27 dicembre 2017, 205.

5 l’art. 21 del d.lgs. n. 148/2015 come modificato dall’art. 1, c. 199, l. 30 dicembre 2021 n. 234.

6 La norma precisa che per l’anno 2022 la proroga è concessa esclusivamente per la CIGS con causale contratto di solidarietà.

7 Il licenziamento del lavoratore assunto ai sensi del c. 243 nonché il licenziamento collettivo o individuale per giustificato motivo oggettivo di un lavoratore impiegato nella medesima unità produttiva e inquadrato con gli stessi livello e categoria legale di inquadramento del lavoratore assunto ai sensi del c. 243, effettuato nei sei mesi successivi alla predetta assunzione, comporta la revoca del contributo e il recupero del beneficio già fruito. Ai fini del computo del periodo residuo utile alla fruizione del contributo di cui al comma 243, la predetta revoca non ha effetti nei confronti degli altri datori di lavoro privati che assumono il lavoratore ai sensi del comma 243. In caso di dimissioni del lavoratore il beneficio è riconosciuto per il periodo di effettiva durata del rapporto.

8 A norma dell’art. 23, c. 3-quater, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.

9 Art. 25 ter del. d.lgs. n. 148/2015 introdotto dalla l. 234/2022 che abroga l’art. 22 del d.lgs. n. 150/2015 (v. art. 1, c. 203, l. 234/2021 cit.).

10 Di cui all’art. 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, c.d. intesa debole che consente i poteri sostitutivi del Consiglio dei Ministri con deliberazione motivata nel caso di mancata intesa.

11 Il piano è stato adottato il 28 dicembre 2021.

12 Secondo gli ultimi dati, driver principali delle trasformazioni in atto sono le competenze digitali (il 71% delle imprese hanno investito in trasformazione digitale nel 2021) e la transizione verso un’economia più sostenibile (il 53% investono in competenze green).
 

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