Tornano davvero i voucher in agricoltura?

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Bollettino ADAPT 16 gennaio 2023, n. 2
 
Da diversi giorni, nel dibattito politico e sindacale in molti si sono espressi a favore o in senso critico per il “ritorno” dei c.d. voucher nel settore agricolo: ma si tratta veramente di questo?
 
Se proviamo a comparare la disciplina della Legge di Bilancio 2023 (legge n. 197 del 2022, art. 1, comma 343-354) con quella prevista dalla Legge Biagi, alla quale va attribuita la paternità del lavoro accessorio (d.lgs. n. 276 del 2003, artt. 70-74) ci potremmo forse accorgere che vi sono non poche differenze, a tal punto da mettere seriamente in dubbio che ci si possa esprimere in termini di vera e propria “reintroduzione” dei voucher nel nostro ordinamento.
 
In questo senso, ad esempio, si evidenzia che i voucher vengono definiti oggi all’art. 1, comma 343 della Legge di Bilancio 2023 come “lavoro occasionale a tempo determinato”. Inoltre, all’art. 1, comma 345 viene precisato che “Il datore di lavoro, prima dell’inizio del rapporto di lavoro, è tenuto ad acquisire un’autocertificazione resa dal lavoratore in ordine alla propria condizione soggettiva”. Anche al comma 346 si fa espresso riferimento al datore di lavoro e a dettagliati obblighi informativi. Indizi letterali che certamente esprimono una espressa volontà del legislatore di collocare queste prestazioni nell’area del lavoro subordinato.
 
Inoltre, mentre all’art. 1, comma 347 è presente una norma incentivo (cioè una norma che consente l’impiego dei voucher ai soli datori di lavoro che “rispettano i contratti collettivi nazionali e provinciali  di  lavoro stipulati dalle  organizzazioni sindacali  comparativamente   più rappresentative sul piano nazionale”), al comma 348 viene stabilito che il compenso è determinato sulla base dei livelli retributivi stabiliti dal contratto collettivo di settore (anche questo sottoscritto da organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale) e che lo stesso deve essere corrisposto secondo le modalità dell’art. 1, comma 910 e ss. della legge 205 del 2017 (Legge di Bilancio 2018), ovvero attraverso strumenti di pagamento tracciabili e idonei a dare riscontro dell’avvenuto versamento.
 
Già da questi modesti elementi, ci possiamo agevolmente accorgere che stiamo parlando di tutt’altro rispetto al lavoro accessorio concepito dalla Legge Biagi, la quale, proprio perché si tratta(va) di prestazioni occasionali, non le riconduceva espressamente ad una fattispecie, indicando infatti il soggetto che se ne avvale non in termini di “datore di lavoro” o “committente” ma come “beneficiario” (cfr. art. 70 del d.lgs. n. 276 del 2003). Caratteristica che si riscontra anche nella normativa del 2017, laddove si parla di “utilizzatore” (cfr. art. 54-bis del d.lgs. n. 50 del 2017). Anche sul compenso vi sono notevoli distinzioni: secondo il d.lgs. n. 276 del 2003 non occorreva ricorrere al metodo di pagamento tracciato come avviene per le normali retribuzioni nell’ambito del lavoro subordinato, in quanto il beneficiario poteva acquistare dei buoni aventi un determinato valore nominale – da consegnare al lavoratore – presso gli enti concessionari indicati dalla legge e dai relativi decreti attuativi (art. 72 del d.lgs. n. 276 del 2003). Inoltre, il fatto che le prestazioni di lavoro debbano riguardare attività di natura stagionale (comma 344) e che le 45 giornate di lavoro (quale limite massimo annuale di impiego dei lavoratori in questa modalità) vadano conteggiate “prendendo in considerazione esclusivamente le presunte  giornate  di effettivo lavoro e non la durata in sé del contratto di lavoro, che può avere una durata massima di dodici mesi” (comma 346) accosta questa nuova modalità di prestazione più ad un contratto di lavoro stagionale a tempo determinato part-time che al lavoro accessorio così come declinato nella Legge Biagi.
 
Tutto questo per dire due cose. Anzitutto, come spesso accade, il dibattito pubblico ha ricondotto questa nuova disciplina per il settore agricolo sotto il cappello di quello che una volta era il lavoro accessorio (ovvero i voucher) senza tenere in debita considerazione le dovute differenze che intercorrono tra le attuali previsioni normative e quelle della Legge Biagi, che esprimevano tutt’altra politica del diritto in materia. Da qui, il perdurante sospetto che questa eccessiva semplificazione, certamente finalizzata ad alimentare legittime posizioni e opinioni “politiche” rispetto alle recenti scelte adottate dal Governo in carica in materia di mercato del lavoro, sia frutto di grande improvvisazione e poco studio della materia nel suo reale sviluppo economico e normativo.
 
La premura – da parte di chi scrive – di evidenziare le differenze intercorrenti tra la disciplina della Legge Biagi e quella della Legge di Bilancio 2023 non è certo finalizzata ad imputare errori (anche tecnici) al legislatore il quale, invece, nell’ambito della sua discrezionalità, resta libero di intervenire nel modo che più ritiene opportuno. Piuttosto, queste brevi osservazioni hanno la finalità di mettere in evidenza l’estrema complessità del lavoro in agricoltura che certo non si governa a colpi di slogan. Ogni regolazione fatica anzi a soddisfare le esigenze di semplificazione e certezza del diritto che ogni giurista auspica perché il più delle volte si tratta di un mero “punto di compromesso tra interessi contrapposti nella regolazione di questioni altamente complesse e in continua trasformazione che nel processo parlamentare passano di mano in mano” (così M. Tiraboschi, Competenza tecnica e rappresentanza: riflessioni sul futuro delle politiche sociali e del lavoro dopo la nomina di Marina Calderone, in Bollettino ADAPT 24 ottobre 2022, n. 36).
 

Giovanni Piglialarmi

Ricercatore presso il Dipartimento di Economia “M. Biagi”
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

@Gio_Piglialarmi

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