“The long and winding road”: l’evoluzione della disciplina legale e contrattuale della stagionalità nel turismo
Bollettino ADAPT 26 maggio 2025, n. 20
La stagionalità, e la sua definizione normativa, costituisce una tipica rappresentazione del rapporto dinamico e mutevole tra le principali fonti del diritto nel campo dei rapporti di lavoro: la legge e la contrattazione collettiva.
Le competenze attribuite a quest’ultima da parte della legislazione primaria si sono modificate nel tempo, a volte cambiando repentinamente ottica e finalità, contribuendo in maniera sostanziale a quella erraticità della normativa in materia di contratti a tempo determinato che costituisce uno dei maggiori problemi per tutti coloro che, a diverso titolo, sono chiamati a utilizzare e a interpretare leggi e contratti.
Origini ed evoluzione della disciplina
Per iniziare la disamina delle normative vigenti, l’elenco delle attività per le quali, ai sensi dell’articolo 1, c. 2, lett. a), della legge 18 aprile 1962, n. 230[1], è consentita per il personale assunto temporaneamente l’apposizione di un termine nei contratti di lavoro allegato al decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525[2] contempla, al numero 48, le “Attività svolte in colonie montane, marine e curative e attività esercitate dalle aziende turistiche, che abbiano, nell’anno solare, un periodo di inattività non inferiore a settanta giorni continuativi o a centoventi giorni non continuativi”.
L’inclusione di tale voce, espressamente richiesta dalle parti stipulanti il CCNL Turismo con l’accordo del 6 ottobre 1994, sottoscritto anche dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, rispondeva all’esigenza di ridefinire l’assetto del lavoro a tempo determinato nel settore turismo dopo l’approvazione della legge n. 108 del 1990[3] e della legge n. 223 del 1991[4].
Le nuove leggi avevano infatti compromesso la tenuta giuridica della prassi sino ad allora seguita, che vedeva l’assunzione dei lavoratori stagionali con contratto a tempo indeterminato e la risoluzione del rapporto a fine stagione mediante licenziamento individuale con preavviso.
Le parti ritennero pertanto opportuno fotografare uno zoccolo duro di aziende, che potremmo definire “esclusivamente stagionali”, individuate mediante un parametro oggettivo (la durata del periodo di chiusura al pubblico), alle quali veniva ufficialmente consentito di assumere tutto il personale con contratto a tempo determinato.
Restava comunque ferma la possibilità di assumere lavoratori stagionali anche in seno alle altre tipologie di aziende, nelle ipotesi previste dai contratti collettivi ai sensi dell’articolo 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56[5] o chiedendo l’autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro ai sensi del decreto-legge 3 dicembre 1977, n. 876[6].
La facoltà di stipulare contratti stagionali in seno ad aziende ad apertura annuale è stata poi ribadita e ampliata, in applicazione di quanto previsto dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368[7], che ha esteso la nozione di stagionalità oltre i desueti confini dettati dalla disciplina del 1963 ed ha sottratto alla necessità di autorizzazione amministrativa i contratti stipulati per far fronte alle intensificazioni dell’attività in determinati periodi dell’anno.
In tale solco si è inserito il CCNL Turismo, annoverando esplicitamente tra le ipotesi non tassative in cui le parti stipulanti riconoscono sussistere le ragioni per la legittima apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato le intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, quali:
– periodi connessi a festività, religiose e civili, nazionali ed estere;
– periodi connessi allo svolgimento di manifestazioni;
– periodi interessati da iniziative promozionali e/o commerciali;
– ulteriori periodi di intensificazione stagionale e/o ciclica dell’attività in seno ad aziende ad apertura annuale.
Per tal via, è stata offerta una soluzione operativa alle tante aziende che, seppur caratterizzate da una apertura al pubblico di durata annuale, operano in un mercato latu sensu stagionale e non possono quindi rinunciare ad avvalersi strutturalmente di collaboratori assunti a tempo determinato in quanto sono condizionate in misura determinante dalle fluttuazioni della domanda.
Ritorno al futuro: il decreto legislativo n. 81 del 2015
Stante quanto disposto dall’articolo 21, c. 2, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81[8], le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525 continuano a trovare applicazione fino all’adozione del decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che individua le attività stagionali.
La stessa disposizione affida ai contratti collettivi di lavoro il compito di individuare ulteriori ipotesi di stagionalità.
In relazione a tale ultima previsione, il CCNL Turismo 18 gennaio 2014, all’articolo “Stagionalità”, primo comma, prevede che “Si considerano aziende di stagione quelle che osservano, nel corso dell’anno, uno o più periodi di chiusura al pubblico, nel rispetto delle vigenti disposizioni in materia”.
Il secondo comma dello stesso articolo prevede che “Le parti convengono, nell’ambito della propria autonomia contrattuale, che rientrano nei casi di legittima apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato per ragioni di stagionalità le attività già previste nell’elenco allegato al decreto del presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, come modificato dal decreto del presidente della Repubblica 11 luglio 1995, n. 378”.
Il verbo utilizzato dalle parti (“rientrano”) rende esplicita la circostanza che le attività previste nell’allegato al decreto n. 1525 non esauriscono il novero dei casi di legittima apposizione del termine per ragioni di stagionalità.
Come anticipato, nell’articolo “Intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno” le parti “convengono, nell’ambito della propria autonomia contrattuale, che rientrano nei casi di legittima apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato le intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, quali:
– periodi connessi a festività, religiose e civili, nazionali ed estere;
– periodi connessi allo svolgimento di manifestazioni;
– periodi interessati da iniziative promozionali e/o commerciali;
– periodi di intensificazione stagionale e/o ciclica dell’attività in seno ad aziende ad apertura annuale.
Nella dichiarazione a verbale in calce all’articolo in esame le parti hanno convenuto che “la stagionalità come definita dall’articolo (…) soddisfa i requisiti legali richiesti dal decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 ai fini dell’applicazione di specifiche normative”.
Con riferimento ai lavoratori impiegati nelle attività stagionali come sopra definite nonché nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi non trovano applicazione:
– le limitazioni inerenti alla durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro[9];
– la disciplina condizionale delle proroghe e dei rinnovi[10];
– la disciplina degli intervalli minimi tra due contratti successivi contratti a tempo determinato (c.d. stop-and-go)[11];
– le limitazioni riguardanti il numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulabili[12].
Inoltre, non trovano applicazione per la generalità dei contratti stagionali stipulati a decorrere dal 1° gennaio 2020 il contributo addizionale dovuto per i rapporti di lavoro subordinato non a tempo indeterminato[13] nonché la maggiorazione di 0,5 punti percentuali in occasione di ciascun rinnovo del contratto[14].
Il Collegato lavoro e l’interpretazione autentica
Questo quadro normativo, che disciplina – nel settore turismo – il rapporto di lavoro di 477.462 persone[15] – è stato messo in discussione dalla sentenza della Corte di Cassazione 4 aprile 2023, n. 9243, concernente le modalità e i limiti dell’esercizio, da parte dei contratti collettivi, della facoltà di determinazione delle attività stagionali che consentono la stipula di contratti a tempo determinato.
Sebbene la sentenza riguardasse un precedente dettato normativo, un diverso settore e una particolare previsione contrattuale, non si poteva escludere il rischio di ricadute negative sul settore del turismo, che sarebbero state nefaste, anche in considerazione della estensione del fenomeno.
Qualora l’orientamento restrittivo espresso dalla Cassazione fosse stato esteso anche al settore turismo, sarebbero stati messi in discussione i presupposti per la stipula di 240.293 contratti di lavoro[16].
Allo scopo di circoscrivere il problema, Federalberghi ha propugnato l’approvazione di una norma di interpretazione autentica volta a chiarire / ribadire che: “l’articolo 21, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, si interpreta nel senso che rientrano tra le attività stagionali, oltre a quelle individuate dal decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, le attività organizzate per far fronte a intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, secondo quanto previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative nella categoria”[17].
La proposta è stata accolta dal legislatore, che la ha trasposta nell’articolo 11 del c.d. Collegato lavoro[18].
L’adozione dell’interpretazione autentica contribuisce a eliminare la possibilità di contenzioso su una materia di estrema rilevanza per il settore turismo e preserva i risultati contrattuali raggiunti dalle parti sociali attraverso la negoziazione collettiva dei decenni recenti, confermando un quadro di riferimento normativo che – come si è già osservato – costituisce la base per la stipula di oltre duecentomila rapporti di lavoro nel solo settore turistico.
A riprova della coerenza complessiva dell’impianto normativo e interpretativo delle disposizioni di legge e contrattuali collettive, la nota illustrativa delle disposizioni dell’articolo 11 della legge n. 203 del 2024 diramata dall’Ispettorato nazionale del lavoro[19] ricorda come l’interpretazione fornita dal legislatore ribadisca la validità di quanto già affermato dallo stesso Ispettorato con la nota 10 marzo 2021, n. 413.
I chiarimenti ministeriali al Collegato lavoro
Le rilevanti novità introdotte dall’articolo 11 del Collegato lavoro hanno costituito oggetto di una nota di commento da parte del Ministero del lavoro[20].
Sotto l’aspetto della qualificazione della fattispecie, rileva il Ministero, rientra nella definizione di lavoro stagionale l’attività lavorativa svolta in un determinato periodo dell’anno e priva del carattere della continuità, sussumibile nella più ampia categoria del lavoro a tempo determinato, regolato dal decreto legislativo n. 81 del 2015 (articoli 19-29), dal quale si distingue per alcune eccezioni, in un’ottica di riduzione delle relative rigidità organizzative e gestionali.
In merito alle tipologie di attività di lavoro stagionale, l’articolo 11 della legge n. 203 del 2024 chiarisce che le stesse sono riconducibili – oltre a quelle indicate dal decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525 – anche a quelle previste dai contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto n. 81, ossia dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.
Ad avviso del Ministero del lavoro, la norma di interpretazione autentica si è resa necessaria in quanto la formulazione letterale dell’articolo 21 del decreto legislativo n. 81 del 2015 non risultava sufficientemente chiara circa la possibilità o meno per i contratti collettivi di prevedere altre ipotesi di attività stagionali, oltre a quelle contenute nel decreto Presidente della Repubblica n. 1525 del 1963 o nel decreto ministeriale che avrebbe dovuto sostituirlo.
In base alla disposizione in esame, sono considerate stagionali non solo le tradizionali attività legate a cicli stagionali ben definiti, ma anche quelle indispensabili a far fronte ad intensificazioni produttive in determinati periodi dell’anno o a soddisfare esigenze tecnico-produttive collegate a specifici cicli dei settori produttivi o dei mercati serviti dall’impresa.
Riflessi previdenziali
Con il messaggio n. 483 del 7 febbraio 2025, l’INPS ha precisato che, in forza della previsione contenuta nel c. 28 dell’articolo 2 della legge n. 92 del 2012, come modificato dall’articolo 1, c. 13, lett. a), della legge 27 dicembre 2019, n. 160[21], l’esonero dal versamento del contributo addizionale NASpI e dall’incremento previsto in occasione di ciascun rinnovo – oltre a trovare applicazione con riferimento ai lavoratori assunti a termine per lo svolgimento delle attività stagionali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525 – continua ad applicarsi anche ai contratti di lavoro a tempo determinato, stipulati a decorrere dal 1° gennaio 2020, per lo svolgimento delle attività stagionali “definite dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati entro il 31 dicembre 2011 dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative”.
Questa interpretazione era stata peraltro esplicitata dall’istituto in precedenza, con la circolare 4 agosto 2020, n. 91.
Conclusioni
L’analisi dell’evoluzione della disciplina legale e contrattuale dei rapporti di lavoro stagionali nel settore turistico, che costituisce la fonte normativa per quasi mezzo milione di rapporti di lavoro alle dipendenze di 220mila imprese, mette in evidenza la complessità di un sistema normativo in continua trasformazione.
La stagionalità rappresenta un punto di incontro – e talvolta di frizione – tra la regolazione legislativa e la contrattazione collettiva, due fonti del diritto che si influenzano reciprocamente in un equilibrio spesso mutevole.
Nel corso del tempo, il legislatore ha affidato alla contrattazione collettiva un ruolo cruciale nella definizione dei rapporti di lavoro stagionali, modificandone di volta in volta il perimetro e le finalità.
Questa oscillazione tra delega e regolamentazione diretta ha contribuito a generare un quadro normativo estremamente dettagliato, caratterizzato da un certo grado di frammentarietà.
Tale instabilità ha avuto ripercussioni significative sia per le imprese, che necessitano di regole chiare per organizzare la forza lavoro, sia per i lavoratori, la cui tutela dipende dalla coerenza e dall’efficacia degli strumenti normativi a loro disposizione.
Il recente intervento normativo operato dalla legge n. 203 del 2024 (c.d. Collegato lavoro) favorisce questa opera di chiarezza, riconoscendo il ruolo e i risultati ai quali è pervenuta la contrattazione collettiva nel corso degli anni.
Angelo Giuseppe Candido
Capo Servizio sindacale Federalberghi
[1] Legge 18 aprile 1962, n. 230 “Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato” (Gazzetta ufficiale 17 maggio 1962, n. 125)
[2] Decreto Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525 “Elenco che determina le attività a carattere stagionale di cui all’art. 1, comma secondo, lettera a), della legge 18 aprile 1962, n. 230, sulla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato” (Gazzetta ufficiale 26 novembre 1963, n. 307)
[3] Legge 11 maggio 1990, n. 108 “Disciplina dei licenziamenti individuali” (Gazzetta ufficiale 11 maggio 1990, n. 108)
[4] Legge 23 luglio 1991, n. 223 “Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro” (Gazzetta ufficiale 27 luglio 1991, n. 175 supplemento ordinario n. 43)
[5] Legge 28 febbraio 1987, n. 56 “Norme sull’organizzazione del mercato del lavoro” (Gazzetta ufficiale 3 marzo 1986, n. 51 supplemento ordinario n. 26)
[6] Decreto-legge 3 dicembre 1977, n. 876 “Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato nei settori del commercio e del turismo” (Gazzetta ufficiale 7 dicembre 1977, n. 333) convertito con modificazioni dalla legge 3 febbraio 1978, n. 18 (Gazzetta ufficiale 4 febbraio 1978, n. 35)
[7] Decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 “Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES” (Gazzetta ufficiale 9 ottobre 2001, n. 235)
[8] Decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183” (Gazzetta ufficiale 24 giugno 2015, n. 155 supplemento ordinario n. 34)
[9] articolo 19, c. 2, decreto legislativo n. 81 del 2015
[10] articolo 21, c. 01, decreto legislativo n. 81 del 2015
[11] articolo 21, c. 2, decreto legislativo n. 81 del 2015
[12] articolo 22, c. 2, lett. c), decreto legislativo n. 81 del 2015
[13] articolo 2, c. 29, legge 28 giugno 2012, n. 92 “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita” (Gazzetta ufficiale3 luglio 2012, n. 153, supplemento ordinario)
[14] articolo 2, c. 28, legge n. 92 del 2012
[15] le stime sono frutto di elaborazioni Federalberghi su dati INPS riferiti all’anno 2024
[16] le stime sono frutto di elaborazioni Federalberghi su dati INPS riferiti all’anno 2024
[17] cfr. audizione di Federalberghi presso la Commissione XI della Camera dei deputati sul disegno di legge 1532-bis in materia di lavoro (https://t.ly/ehFvT)
[18] legge 13 dicembre 2024, n. 203 “Disposizioni in materia di lavoro” (Gazzetta ufficiale 28 dicembre 2024, n. 303)
[19] INL, nota 30 dicembre 2024, n. 9740
[20] Ministero del lavoro, circolare 27 marzo 2025, n. 6
[21] legge 27 dicembre 2019, n. 160 “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022” (Gazzetta ufficiale 30 dicembre 2019, n. 304, supplemento ordinario n. 45)
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