Telelavoro e giurisprudenza spagnola: quattro sentenze del Tribunal Supremo estendono i perimetri delle tutele per i lavoratori a distanza
| di Lavinia Serrani
Bollettino ADAPT 13 ottobre 2025, n. 35
A quattro anni dall’entrata in vigore della Ley 10/2021, de trabajo a distancia, il telelavoro torna al centro dell’attenzione della giurisprudenza spagnola. Nel corso del 2025 il Tribunal Supremo ha emanato quattro sentenze di rilievo che contribuiscono a chiarire alcuni dei punti più controversi della disciplina, definendo meglio l’estensione degli obblighi datoriali e i diritti del lavoratore a distanza.
La citata legge spagnola sul lavoro a distanza definisce il telelavoro “regolare” come quello che supera il 30% dell’orario di lavoro in un periodo di tre mesi, imponendo in tali casi la sottoscrizione di un accordo di lavoro a distanza (Acuerdo de Trabajo a Distancia – ATD). Tuttavia, nonostante le buone intenzioni del legislatore, la norma si è rivelata in parte ambigua su aspetti centrali: misura e criteri della compensazione delle spese, individuazione dei mezzi e strumenti da fornire e disciplina del luogo di lavoro ai fini processuali. Non sorprende, dunque, che il Supremo sia stato chiamato più volte a intervenire per colmare tali lacune.
Il più recente di tali interventi si riferisce alla sentenza STS 10 settembre 2025 (n. 760/2025, rec. 14/2024), la quale ha suscitato particolare interesse per la questione – apparentemente minuta ma in realtà rilevante – della fornitura di sedie ergonomiche ai telelavoratori. Il Tribunal Supremo ha escluso l’esistenza di un obbligo generale in tal senso: l’impresa è tenuta a fornirle solo se ciò è previsto dal contratto collettivo applicabile, dall’accordo individuale di telelavoro, o per comprovate ragioni di salute, documentate da un referto medico.
Nel caso di specie, relativo al Convenio de Consultoría y Estudios de Mercado, il sindacato ricorrente sosteneva che la dotazione ergonomica fosse obbligatoria. Il Supremo, confermando la decisione dell’Audiencia Nacional, ha invece ritenuto sufficiente l’indennità mensile di 30 euro lordi corrisposta a titolo di compensazione per spese e strumenti di lavoro. A parere dell’organo giudicante, difatti, l’art. 12.1 della Ley 10/2021 vieta che i lavoratori sopportino i costi di strumenti «aventi relazione con lo svolgimento della loro attività lavorativa», senza però prevedere un elenco minimo di dotazioni. In assenza di specificazione normativa o contrattuale, la misura della compensazione resta affidata alla contrattazione collettiva, il cui ruolo si conferma centrale nel determinare standard qualitativi e quantitativi di dotazione.
La seconda delle sentenze la cui menzione è utile alla ricostruzione dell’interpretazione giurisprudenziale su questa materia è la sentenza STS 2 aprile 2025 (n. 267/2025, rec. 169/2022), in cui il Tribunal Supremo affronta un tema delicato, al confine tra diritto del lavoro e protezione dei dati personali: la liceità della clausola che consente all’azienda di contattare il lavoratore al proprio telefono o e-mail personale in caso di «urgenze del servizio» (si veda, su questa sentenza, il commento pubblicato su Bollettino ADAPT del 19 Maggio 2025 dal titolo Spagna: il datore di lavoro può richiedere al telelavoratore di fornire numero ed e-mail personali per urgenze legate al servizio).
Il Supremo ha ritenuto valida la clausola, precisando però che il suo utilizzo deve essere strettamente limitato a situazioni di effettiva urgenza e solo «qualora sia necessario» per esigenze aziendali. Richiamando l’art. 6.1, lett. b), del Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR), la Corte ha osservato che la comunicazione di tali dati può essere lecita ove necessaria per l’esecuzione del contratto di lavoro. Ha ribadito, tuttavia, il Supremo, che la fornitura dei mezzi di lavoro rimane sempre a carico dell’impresa: il lavoratore non può essere obbligato a utilizzare dispositivi propri in modo continuativo.
In buona sostanza, la sentenza, pur confermando la liceità astratta della clausola, invita le imprese a una maggiore specificazione delle situazioni di urgenza e a un uso proporzionato dei dati personali, nel rispetto del principio di minimizzazione sancito dagli artt. 5.1 b) e c) del GDPR. In tal modo, la Corte delimita la frontiera tra l’obbligo di reperibilità e il diritto alla disconnessione digitale, ponendo le basi per una futura elaborazione del bilanciamento tra diritti fondamentali ed esigenze organizzative.
Con la STS 4 marzo 2025 (n. 164/2025, rec. 56/2023) il Tribunal Supremo ha invece affrontato l’aspetto della gerarchia delle fonti e della inderogabilità di alcuni diritti del telelavoratore, confermando la decisione dell’Audiencia Nacional (sentenza 144/2022) che aveva annullato alcune clausole di un accordo individuale che vietavano al telelavoratore di recuperare i giorni di rientro in sede e negavano il diritto al rimborso dei costi di lavoro remoto (per un approfondimento su questa sentenza si rimanda al commento pubblicato su Bollettino ADAPT del 24 marzo 2025 dal titolo Spagna: nulla la clausola dell’accordo Endesa che vieta di recuperare le giornate di telelavoro revocate per esigenze aziendali).
In particolare, la Corte ha dichiarato invalida la previsione secondo cui il telelavoratore non avrebbe potuto «recuperare o sostituire» i giorni in cui fosse chiamato in sede, e ha censurato la clausola che escludeva la possibilità di richiedere la compensazione delle spese sostenute per il lavoro a distanza, ritenendo che tali costi «fossero compensati dai risparmi derivanti dal telelavoro». Il Supremo ha osservato che una simile previsione si pone in contrasto con l’art. 12 della Ley 10/2021, che riconosce espressamente il diritto alla compensazione dei costi connessi all’attività a distanza.
Secondo la Corte, l’accordo individuale non può mai derogare in peius alle garanzie minime fissate dalla legge o dal contratto collettivo. L’impresa, pertanto, non può neutralizzare il diritto alla compensazione con argomenti di tipo economico o di efficienza organizzativa. Quanto ai giorni di rientro in sede, la Corte ha ribadito che l’impresa è tenuta a comunicare eventuali cambiamenti «con il massimo anticipo possibile», pur riconoscendo che in un servizio di interesse pubblico, come la fornitura di energia elettrica, possono verificarsi situazioni eccezionali che rendano necessario un preavviso ridotto.
La sentenza STS 24 aprile 2025 (n. 365/2025, rec. 1219/2024) affronta, infine, un tema di natura processuale ma di grande rilievo pratico: la competenza territoriale nei casi di telelavoro (per un approfondimento, in chiave di comparazione con l’Italia, della tematica trattata in questa sentenza, si rimanda al commento pubblicato in Bollettino ADAPT del 30 giugno 2025 dal titolo Lavoro da remoto e giurisdizione: Italia e Spagna a confronto sulla competenza territoriale nei licenziamenti).
La controversia oggetto del ricorso riguardava la competenza territoriale a conoscere di un’azione di impugnazione di licenziamento presentata da un telelavoratore assunto da un’università con sede legale a Las Palmas de Gran Canaria. Nei contratti di lavoro risultava che il centro di lavoro era situato a Las Palmas de Gran Canaria, ma il lavoratore prestava effettivamente i propri servizi in telelavoro dal proprio domicilio a Madrid. Si discuteva, dunque, se la competenza territoriale spettasse al Tribunale del Lavoro del luogo in cui il lavoratore telelavorava (cioè il suo domicilio, a Madrid) o a quello indicato nei contratti di lavoro (Las Palmas de Gran Canaria).
Il Tribunal Supremo, confermando la sentenza del Tribunal Superior de Justicia de Madrid (15 dicembre 2023), ha riconosciuto che, quando il telelavoro si svolge stabilmente dal domicilio del lavoratore, il foro competente è quello del suo domicilio. Richiamando l’art. 10.1 della Ley Reguladora de la Jurisdicción Social (LRJS), la Corte ha così chiarito che il luogo di esecuzione della prestazione coincide, nel telelavoro, con il domicilio abituale del prestatore, salvo diversa pattuizione. Ne consegue che il datore di lavoro, accettando la prestazione da remoto, deve essere consapevole della possibilità di dover rispondere in giudizio nel foro di residenza del lavoratore.
In conclusione, a quattro anni dall’entrata in vigore della disciplina, la giurisprudenza del Tribunal Supremo contribuisce a delineare un modello di telelavoro più equilibrato, in cui la flessibilità organizzativa non possa mai tradursi in un arretramento delle tutele giuridiche e materiali del lavoratore a distanza. Le quattro citate decisioni del 2025 delineano, difatti, un quadro più chiaro ma anche più esigente per le imprese: sottolineare che la compensazione delle spese e la dotazione dei mezzi siano obblighi generali; che l’uso dei dispositivi personali sia ammesso solo in circostanze eccezionali; che gli accordi individuali non possano ridurre le tutele di legge; o che il domicilio del telelavoratore assuma piena rilevanza giuridica anche in sede giudiziale, vuol dire, di fatto, consolidare un modello di telelavoro fondato sul giusto equilibrio tra autonomia organizzativa e tutela dei diritti fondamentali del lavoratore connesso.
Ricercatrice ADAPT
Responsabile Area Ispanofona
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