Lavoro da remoto e giurisdizione: Italia e Spagna a confronto sulla competenza territoriale nei licenziamenti

Interventi ADAPT

| di Lavinia Serrani

Bollettino ADAPT 30 giugno 2025, n. 25

In un’epoca in cui il lavoro da remoto è sempre più diffuso, la questione della competenza territoriale nei contenziosi di lavoro sta assumendo rilievo crescente, sollevando interrogativi importanti per lavoratori e aziende. Due recenti sentenze, una italiana e una spagnola, offrono uno spunto significativo per comprendere come i diversi ordinamenti affrontino il problema.

Con la sentenza del 24 aprile 2025 (rec. n. 1219/2024), la Corte Suprema spagnola ha stabilito che, nel caso di licenziamento di un lavoratore in telelavoro, la competenza territoriale può essere radicata presso il Tribunale del domicilio del lavoratore, anche se questo non corrisponde a quanto indicato nel contratto di lavoro.

Nel caso di specie, il dipendente, formalmente assunto da un’impresa con sede nelle Isole Canarie, lavorava stabilmente da Madrid, dove si trovava il suo domicilio. Sulla base di questa circostanza, in sede processuale, il datore di lavoro ha contestato la competenza territoriale del Tribunale del lavoro di Madrid, ritenendo vincolante l’indirizzo indicato nel contratto come sede aziendale. La disposición adicional tercera della Ley 10/2021, de 9 de julio, de Trabajo a Distancia – stabilisce, infatti, che «Nel lavoro a distanza, si considererà come domicilio di riferimento, ai fini dell’individuazione dell’Autorità del Lavoro competente […], quello indicato come tale nel contratto di lavoro e, in mancanza, il domicilio dell’impresa o del centro o luogo fisico di lavoro».

La Corte Suprema, tuttavia, ha respinto tale argomentazione, precisando che la Ley de Trabajo a Distancia non disciplina la competenza giudiziaria, che resta materia propria della Ley Reguladora de la Jurisdicción Social, che ha natura processuale e prevalente. La menzione “Autorità del Lavoro” di cui alla citata disposizione della legge sul lavoro a distanza farebbe riferimento, difatti, secondo il giudizio della Corte, unicamente all’organo amministrativo competente in materia di vigilanza, e non anche alla autorità judicial nei termini di giurisdizione del giudice del lavoro.

Basandosi, dunque, sull’articolo 10 della Ley Reguladora de la Jurisdicción Social, che attribuisce al lavoratore la facoltà di scegliere tra il foro del luogo di prestazione dell’attività o quello del domicilio del datore di lavoro, la Corte ha ritenuto che, nel contesto del telelavoro, il luogo della prestazione coincida, di fatto, con l’abitazione, sempre che essa rappresenti il centro effettivo e stabile dell’attività. Tale interpretazione, fondata sulla natura sostanziale del criterio di prestazione lavorativa piuttosto che su meri formalismi contrattuali, rende pienamente idoneo il domicilio del lavoratore, inteso come sede materiale e continuativa dell’attività lavorativa, a radicare la competenza territoriale.

A conclusioni pressoché opposte giunge, con riferimento al caso italiano, il Tribunale di Vicenza il quale, con la sentenza n. 315 del 5 giugno 2025, ha dichiarato l’incompetenza territoriale nel ricorso presentato da un lavoratore licenziato che sosteneva di operare in smart working dalla propria abitazione a Vicenza, quando la società aveva sede e centro operativo a Venezia.

Il tribunale ha richiamato l’art. 413 c.p.c., che fissa la competenza territoriale in base a tre criteri alternativi: il luogo di origine del rapporto, la sede o dipendenza aziendale a cui è addetto il lavoratore, o il luogo di effettiva prestazione al momento della cessazione del rapporto.

Il giudice, tuttavia, ha rilevato come il domicilio, nel caso di specie, non potesse essere automaticamente equiparato a una dipendenza aziendale, neppure alla luce dell’interpretazione estensiva consolidata dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui detto concetto sia da considerarsi in senso amplio, per consentire «di rendere più funzionale e celere il processo, radicandolo nei luoghi normalmente più vicini alla residenza del dipendente, nei quali sono più agevolmente reperibili gli elementi probatori necessari al giudizio (Cass. n. 506/2019; Cass. n. 6458/2018)».

Nella fattispecie in esame, però, il lavoratore – un commerciale esterno – trascorreva la maggior parte del tempo in trasferte presso i clienti. L’attività svolta a casa risultava quindi residuale e priva di quei requisiti organizzativi che avrebbero potuto configurarla come sede decentrata dell’impresa. La Cassazione ha infatti precisato che, nonostante l’interpretazione estensiva del concetto di dipendenza aziendale, «occorre pur sempre la sussistenza di un collegamento oggettivo o soggettivo del luogo ove il lavoratore presta la sua opera con la organizzazione aziendale».

In considerazione, dunque, del fatto che il lavoro presso il domicilio era occasionale e non organizzato come sede stabile, e che non risultavano collegamenti oggettivi o soggettivi tali da qualificare l’abitazione come articolazione funzionale dell’impresa, la decisione del giudice è stata quella di spostare la causa al Tribunale di Venezia, sede più aderente ai criteri normativi.

I due casi mettono in evidenza due approcci normativi differenti: mentre in Spagna la giurisprudenza riconosce una connessione diretta tra domicilio del telelavoratore e luogo di prestazione del lavoro, favorendo la tutela del lavoratore e la vicinanza probatoria, in Italia, pur esistendo aperture interpretative in giurisprudenza, l’orientamento resta più rigoroso, essendo necessario un collegamento oggettivo o soggettivo tra l’abitazione e l’organizzazione aziendale per attribuirle rilevanza giuridica ai fini della competenza.

Le discrepanze tra gli ordinamenti nazionali dimostrano come l’adattamento del diritto del lavoro alla realtà del telelavoro sia ancora in fase evolutiva e frammentaria. Eppure, se si considera che il domicilio del lavoratore digitale non è più soltanto il luogo della sua residenza, ma potenzialmente il centro nevralgico della sua attività professionale, sempre più evidente appare l’urgenza di una riflessione anche a livello europeo circa la nozione di “luogo di lavoro” ai fini giurisdizionali. In un mercato del lavoro sempre più digitale e transfrontaliero, risulta, dunque, essenziale l’obiettivo di armonizzare i criteri giuridici relativi alla giurisdizione nei casi di lavoro a distanza, in modo tale da garantire una maggiore certezza del diritto tanto per i lavoratori quanto per i datori di lavoro.

Lavinia Serrani

Ricercatrice ADAPT

Responsabile Area Ispanofona

X@LaviniaSerrani