Sgravi contributivi e incentivazione del lavoro femminile: una risposta a interpello che fa molto discutere
Bollettino ADAPT 14 luglio 2025, n. 25
Con l’interpello n. 2/2025, il Ministero del Lavoro ha chiarito che lo sgravio contributivo previsto dalla Legge di Bilancio 2024 (art. 1, co. 180-182 della legge 30 dicembre 2023, n. 213) può essere riconosciuto anche alle lavoratrici madri che siano occupate con un contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato. Un esito forse formalmente plausibile ma sostanzialmente paradossale visto che si finisce per incentivare il lavoro delle lavoratrici madri (con tre o più figli) con una formula contrattuale particolarmente gravosa e precarizzante.
Tuttavia, non è solo l’interpretazione ministeriale della previsione normativa a destare perplessità ma anche il tenore della risposta a un interpello avanzato, come formalmente possibile ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo bn. 104/2004, da una associazione datoriale rappresentativa ma certamente non dotata del requisito della maggiore rappresentatività comparata.
È bene infatti ricordare che la legge subordina il godimento di qualsiasi beneficio normativo o contributivo al “rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale” (così l’art. 1, comma 1175 della legge n. 296/2006).
Se questi sono i presupposti imposti dalla legge per godere di qualsiasi sgravio contributivo, incluso quello previsto dalla Legge di Bilancio 2024, occorre chiedersi come possa accedere ad una tale misura l’impresa che applica i contratti collettivi sottoscritti da una sigla minore nel senso di non godere del requisito della maggiore rappresentatività comparata.
In estrema sintesi, la risposta a interpello in questione solleva un vero e proprio paradosso giacché il chiarimento applicativo di uno sgravio contributivo è richiesto da un’associazione datoriale i cui contratti collettivi, qualora applicati dal datore di lavoro, non consentono alle imprese di potervi accedere. In questi casi, infatti, l’INPS potrebbe contestare l’assenza delle condizioni richieste dalla legge per godere dello sgravio e procedere al recupero dei contributi non versati.
Sennonché, le perplessità non si arresterebbero qui. I contratti collettivi sottoscritti in questione, oltre a non consentire al datore di lavoro che li applica di accedere agli sgravi contributivi, non potrebbero nemmeno regolare le c.d. tipologie contrattuali flessibili, tra le quali rientra anche il lavoro intermittente. Giova ricordare, infatti, che anche l’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015 autorizza i soli contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a coltivare gli spazi di regolazione che il Testo Unico dei contratti di lavoro assegna alla contrattazione collettiva. Pertanto, il datore di lavoro che applica un CCNL sottoscritto da una sigla minore non solo non potrebbe godere degli sgravi ma non potrebbe nemmeno ricorrere alla disciplina contrattual-collettiva del lavoro a chiamata (la cui legittimità è senz’altro tutta da discutere).
Ricercatore Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
ADAPT Senior Fellow
Università di Modena e Reggio Emilia
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