Salario minimo legale: un obbligo a carico dei datori di lavoro o un vincolo alla libera contrattazione collettiva?

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Bollettino ADAPT 10 luglio 2023 n. 26
 
Più si entra nel merito e nei dettagli della proposta di legge n. 1275/2023, presentata lo scorso 4 luglio dai deputati Conte, Fratoianni, Richetti, Schlein e altri, finalizzata come è noto alla istituzione di un salario minimo legale, più si evidenzia plasticamente la complessità non solo politica ma anche e soprattutto tecnica della questione.
 
Non che il dato non fosse noto, almeno agli addetti ai lavori. L’impressione, tuttavia, è che i termini più propriamente tecnici e specialistici della questione non siano pienamente noti ai firmatari della proposta che, non a caso, stanno accompagnando la presentazione della misura con taluni distinguo – e anche con talune reticenze – che consentono, nella comunicazione pubblica, di sostenere tutto e il contrario di tutto anche al di là di quello che il testo della proposta legislativa dice e soprattutto può dire alla luce dei vincoli di natura costituzionale che, in una materia come questa sono stringenti e ampiamente sottolineati da pronunce della Corte Costituzionale. Altrettanto poco noto o del tutto sconosciuto è peraltro anche il vigente sistema retributivo fissato dai sistemi di contrattazione collettiva a livello di categoria o settore produttivo che non indica una retribuzione oraria quanto un trattamento salariale mensile da cui è poi possibile estrapolare, secondo le precisazioni di dettaglio contenute in ciascun diverso CCNL, anche il trattamento orario minimo e le altre voci integrative da aggiungere ad esso per determinare il compenso effettivo del lavoratore.
 
Il principale punto del contendere – che ci ha visti involontariamente protagonisti di ben due editoriali di segno opposto, che hanno fatto molto discutere, rispettivamente comparsi su Il Sole 24 Ore e su Il Fatto Quotidiano – è il seguente. La proposta di un salario minimo legale di 9 euro lordi si riferisce al trattamento orario complessivo minimo fissato nei contratti collettivi o al cosiddetto “minimo tabellare” contemplato sempre nei contratti collettivi? Di minimi tabellari, per esempio, parla espressamente, l’ex Presidente INPS Pasquale Tridico, che, a quanto pare, è ora sceso direttamente nella arena politica per concorrere alla stesura della proposta di legge. Ma non così la proposta di legge che, al di là di quello che racconta o vuole raccontare la relazione tecnica di accompagnamento, dispone espressamente che:

– Articolo 1: “(…) I datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, sono tenuti a corrispondere ai lavoratori di cui all’articolo 2094 del codice civile una retribuzione complessiva sufficiente e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato (…)”;

– Articolo 2, comma 1, parte prima: “Per «retribuzione complessiva sufficiente e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato» si intende il trattamento economico complessivo, comprensivo del trattamento economico minimo, degli scatti di anzianità, delle mensilità aggiuntive e delle indennità contrattuali fisse e continuative dovute in relazione all’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa, non inferiore (…) a quello previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) in vigore per il settore in cui il datore di lavoro opera e svolge effettivamente la sua attività, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale”;

– Articolo 2, comma 1, parte seconda: “Il trattamento economico minimo orario stabilito dal CCNL, non può comunque essere inferiore a 9 euro lordi”.
 
La proposta di legge non parla mai del “minimo tabellare” ma, testualmente e più precisamente, del trattamento economico minimo orario stabilito dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicabile. E, dopo aver precisato che il datore di lavoro è in ogni caso tenuto a corrispondere ai lavoratori una retribuzione complessiva sufficiente e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, pare al tempo stesso voler disporre, almeno secondo alcune interpretazioni della proposta, che i trattamenti economici minimi orari stabiliti dai contratti collettivi nazionali di lavoro debbano rispettare inderogabilmente il tetto dei 9 euro lordi.
 
Ora, anche a prescindere, per il momento, dal problema delle voci che, in base a questa proposta, concorrerebbero o meno a quantificare il trattamento economico di 9 euro lordi, se cioè il minimo tabellare o il minimo contrattuale, se così stanno le cose le questioni da affrontare e risolvere sono ben più numerose e complesse di quello che stanno orientando, allo stato, il dibattito pubblico e precisamente: la proposta di legge intende fissare, in capo ai datori di lavoro, l’obbligo di una tariffa minima legale o sta anche imponendo un obbligo ai contratti collettivi di lavoro chiamati a non derogare alla tariffa indicata nella proposta, quale essa sia?
 
Le intenzioni dei proponenti, seppure non chiarissime, sembrano orientate, almeno nella comunicazione pubblica, in questa seconda direzione e cioè nei termini di un obbligo non solo in capo ai datori di lavoro ma anche dei sistemi di contrattazione collettiva. E in effetti, come si legge testualmente, “il trattamento economico minimo orario stabilito dal CCNL, non può comunque essere inferiore a 9 euro lordi”.
 
Questa interpretazione, per quanto sostenibile ai sensi della lettera della proposta, è comunque perentoriamente preclusa dalla nostra Carta costituzionale che, fuori dai limiti di una legge sindacale di attuazione dell’articolo 39, vieta al legislatore di imporre alcun obbligo ai sindacati e conseguentemente ai sistemi di contrattazione collettiva. Insomma, quello che una legge sulla tariffa contrattuale minima può fare è sicuramente vincolare i datori di lavoro ma non le dinamiche del sistema di contrattazione collettiva che è libero di determinare le tariffe contrattuali nei classici termini di una compensazione “sociale” tra la domanda e l’offerta di lavoro.
 
Il testo della proposta si rinvolge insomma necessariamente ai datori di lavoro e lo fa espressamente nei termini (art. 1) di imporre l’applicazione in favore dei propri dipendenti di una “retribuzione complessiva sufficiente e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato”. Per poi precisare (art. 2) che “per «retribuzione complessiva sufficiente e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato» si intende il trattamento economico complessivo, comprensivo del trattamento economico minimo, degli scatti di anzianità, delle mensilità aggiuntive e delle indennità contrattuali fisse e continuative dovute in relazione all’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa, non inferiore (…) a quello previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL)(…)”. Gioco forza allora intendere, stante l’obbligo del datore di lavoro di applicare una «retribuzione complessiva sufficiente e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato», che il trattamento economico minimo orario stabilito dal CCNL, nella misura “non inferiore a 9 euro lordi”, debba essere “comprensivo del trattamento economico minimo, degli scatti di anzianità, delle mensilità aggiuntive e delle indennità contrattuali fisse e continuative dovute in relazione all’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa”.
 
Basterebbe del resto leggere un contratto collettivo per capire che letture alternative non sono possibili. Prendiamo, a titolo puramente esemplificativo, il CCNL industria metalmeccanica e installazione di impianti (codice univoco C011) sottoscritto da Federmeccanica (Confindustria), Assistal (Confindustria) (Parte datoriale) e Fim Cisl, Fiom Cgil, Uilm (Parte sindacale). L’art. 3 del titolo IV prevede espressamente che “la retribuzione dei lavoratori è determinata in misura fissa mensile. La retribuzione oraria dei lavoratori ai fini dei vari istituti contrattuali, si determina dividendo per 173 i minimi tabellari della classificazione unica, gli aumenti periodici di anzianità, gli aumenti di merito nonché gli altri compensi eventualmente fissati a mese. A tale importo si aggiungeranno gli eventuali elementi orari della retribuzione quali, ad esempio, incentivi, indennità varie, ecc..”.  Ma lo stesso vale per il CCNL terziario, distribuzione e servizi (codice univoco H011) sottoscritto da Confcommercio (Parte datoriale) e Filcams Cgil, Fisascat Cisl, Uiltucs (Parte sindacale). L’art. 209 stabilisce che “eccettuate le prestazioni occasionali o saltuarie, la retribuzione mensile, sia normale che di fatto, è in misura fissa e cioè non variabile in relazione alle festività, ai permessi retribuiti, alle giornate di riposo settimanale di legge cadenti nel periodo di paga e, fatte salve le condizioni di miglior favore, alla distribuzione dell’orario settimanale”. L’art. 211 del CCNL stabilisce poi che la quota oraria della retribuzione, sia normale che di fatto, si ottiene dividendo l’importo mensile per il divisore convenzionale 168 per il personale la cui durata normale di lavoro è di 40 ore settimanali. Lo stesso anche per il CCNL industria chimica-farmaceutica (codice univoco B011) sottoscritto da Federchimica (Confindustria), Farmindustria (Confindustria) (Parte datoriale) e Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec (Parte sindacale). L’art. 16 del capitolo IV prevede che la retribuzione normale è corrisposta a tutti i lavoratori in misura mensile. Lo stesso articolo 16 prevede che la retribuzione oraria si ottiene dividendo la retribuzione mensile per 175 e che per retribuzione mensile si intende, ex art. 14, quella composta da: minimo contrattuale; indennità di posizione organizzativa (I.P.O.); eventuale elemento retributivo individuale; superminimo (comprensivo degli scatti di anzianità congelati non assorbibili) e altre eccedenze sul minimo contrattuale.
 
È evidente, negli esempi, sopra riportati, che il trattamento economico minimo orario stabilito dai contratti collettivi è un insieme di voci, che esclude i premi di produttività e indennità varie, ma che certo non si ferma al solo minimo tabellare di cui, come detto, la proposta di legge non parla. Insomma, rispetto al testo dalla proposta di legge in discussione, restano pienamente validi i conteggi orari che abbiamo prospettato in un precedente contributo e che confermano come la tariffa oraria prevista da questo disegno di legge sia già oggi ampiamente superata da tutti i principali contratti collettivi per tutte le principali figure contrattuali (vedi M. Tiraboschi, F. Lombardo, Conoscere per deliberare: quale impatto per lavoratori, sindacati e imprese di un salario minimo legale a 9 euro?, Bollettino ADAPT 3 luglio 2023 n. 25).
 
Che poi l’interpretazione volta ad assimilare il minimo orario contrattuale al minimo tabellare sia fuori da ogni razionalità – tanto rispetto ai parametri di cui parla la direttiva europea (60% del salario mediano lordo e 50% salario medio lordo nazionale) che portano a una tariffa di poco superiore ai 7 euro, quanto rispetto alla struttura dei livelli retributivi previsi dai nostri contratti collettivi – lo dimostra un altro banale calcolo. E cioè che l’imposizione ai contratti collettivi di un minimo tabellare di 9 euro lordi (che come detto è in contrasto col dettato costituzionale e dunque ipotesi giuridicamente non percorribile) finirebbe per avvantaggiare sicuramente le figure professionali collocate all’ultimo livello dei sistemi di classificazione e inquadramento dei nostri contratti collettivi con forte penalizzazione per i livelli immediatamente superiori (non solo il penultimo) che verrebbero superati con anche l’effetto pratico di disarticolare e rendere irrazionali gli attuali sistemi retributivi contrattuali e portare la tariffa minima legale non a 9 euro lordi ma a cifre superiori. E se così è davvero, nelle intenzioni dei proponenti, questi andrebbe comunicato in modo trasparente e onesto nella comunicazione pubblica ben sapendo peraltro che lato lavoratori, per capirci davvero qualcosa, quello che alla fine conta non è mai il lordo ma il trattamento salariale netto.
 
Facciamo qualche esemplificazione per chiarire il paradosso di questa interpretazione che, sul lato giuridico, è comunque preclusa dalla Carta costituzionale.
 
Nel turismo un commissioniere livello VII, ipotizzando un minimo tabellare orario obbligatorio per legge pari a 9 euro lordi, percepirebbe un trattamento complessivo orario di 10,91 euro, che andrebbe a superare di gran lunga quello di un cameriere ai piani di albergo livello VI che attualmente ha un trattamento economico complessivo pari a 9,77 euro. Nella vigilanza una guardia giurata livello 6 (primi 18 mesi di impiego) ipotizzando un minimo tabellare orario obbligatorio per legge pari a 9 euro lordi avrebbe diritto a un trattamento complessivo orario di 10,76 euro, superando finanche il trattamento complessivo orario di una guardia giurata fissa (impiegata da almeno 36 mesi) livello 4 (due livelli sopra) pari a 9,25 euro con i minimi tabellari attuali. Nel tessile abbigliamento ipotizzando un minimo tabellare orario obbligatorio per legge pari a 9 euro lordi, per un etichettatore livello 1 si arriverebbe a un trattamento complessivo orario di 10,73 euro che supererebbe quello attuale dell’orditore livello 2 pari a 10,39 euro. Nel settore pulizia multiservizi, per manovale livello 1 ipotizzando un minimo tabellare orario obbligatorio per legge pari a 9 euro lordi, si arriverebbe a un trattamento complessivo orario di 10,84 euro che supererebbe addirittura considerevolmente quello dell’addetto potatura livello III (due livelli sopra) pari a 9,43 euro stando ai minimi tabellari attuali. Nel settore pubblici esercizi ipotizzando un minimo tabellare orario obbligatorio per legge pari a 9 euro lordi, un addetto pulizie sala livello VII percepirebbe un trattamento complessivo orario di 10,91 euro superiore al trattamento complessivo orario del commis di cucina livello VI super (due livelli sopra) fissato a 9,92 euro sulla base dei minimi tabellari attuali.
 
In termini ancora più espliciti: con l’introduzione di un minimo tabellare orario obbligatorio per legge pari a 9 euro lordi (giuridicamente impraticabile) non si interverrebbe soltanto sui salari dei lavoratori inquadrati nei livelli più bassi ma si finirebbe per creare, più o meno consapevolmente, uno squilibrio che investirebbe, di riflesso, tutti gli altri livelli dei sistemi retributivi contrattuali vigenti.
 
Tra l’altro, occorre considerare che il trattamento economico complessivo della proposta non include tutti gli altri trattamenti che le imprese che applicano un contratto collettivo devono riconoscere ai lavoratori, garantendo ulteriori tutele (sanità integrativa, previdenza complementare, eventuali maggiorazioni, welfare, formazione ecc.).
 
A titolo puramente esemplificativo, volendo prendere in considerazione la definizione di T.E.C. di alcuni CCNL analizzati, essa risulta più ampia da quella fornita dalla proposta. Il CCNL industria tessile-abbigliamento (codice univoco D014) sottoscritto da Smi (Confindustria) (Parte datoriale) e Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec (Parte sindacale) all’art. 44 stabilisce che il T.E.C. è costituito da: il trattamento economico minimo (composto dall’elemento, dagli aumenti periodici di anzianità, dall’indennità sostitutiva di mensa e dall’indennità di funzione per i quadri); l’elemento di garanzia retributiva; la previdenza complementare e l’assicurazione per premorienza e invalidità permanente; l’assistenza sanitaria integrativa, le maggiorazioni per lavoro straordinario, notturno e festive; tutte le indennità, maggiorazioni e trattamenti economici, ulteriori o integrativi rispetto a quelli di legge. Il CCNL industria alimentare (codice univoco E012) sottoscritto da Federalimentare (Confindustria), Aidepi, Aiipa (ora confluite in Unione Italiana Food) (Confindustria), Ancit (Confindustria), Anicav (Confindustria), Assalzoo (Confindustria), Assica (Confindustria), Assitol (Confindustria), Assobibe (Confindustria), Assobirra (Confindustria), Assocarni (Confindustria), Assolatte (Confindustria), Federvini (Confindustria), Italmopa (Confindustria), Mineracqua (Confindustria), Unionzucchero (Confindustria) (Parte datoriale) e Fai Cisl;, Flai Cgil e Uila (Parte sindacale) all’art. 51 nel trattamento economico complessivo include: a) trattamento economico minimo (costituito da minimi tabellari, ex indennità di contingenza ed EDR); b) Incremento Aggiuntivo Retribuzione (IAR); c) 13ma e 14ma mensilità; d) aumenti periodici di anzianità; e) fondo sanitario integrativo FASA; f) cassa maternità/paternità; g) cassa rischio vita; h) Alifond; i) maggiorazioni retributive; j) indennità e trattamenti economici previsti dal CCNL; k) ex premio di produzione già congelato in cifra fissa; l) trattamento economico per mancata contrattazione di secondo.
 
In un ragionamento ad ampio raggio non si può poi trascurare l’incidenza del costo del lavoro, ricordando che sulle cifre indicate (al lordo dei contributi a carico lavoratori) il datore di lavoro dovrà pagare la quota di contributi previdenziali a suo carico (in genere pari a 23,81%). Inoltre, rammentiamo anche che altri istituti contrattuali (come, ad esempio, maggiorazione per lavoro straordinario, maggiorazione per lavoro festivo, maggiorazione per lavoro notturno, indennità malattia per periodo carenza) si calcolano a partire dal salario orario o giornaliero sulla base dei divisori forniti dai contratti collettivi e quindi aumenteranno in proporzione ai nuovi minimi.
 
Sicuramente di interesse le osservazioni di chi fa notare come le retribuzioni contrattuali si discostano dai dati ISTAT sui salari orari effettivamente pagati. Ai fini del nostro ragionamento e delle domande chiave che la proposta di legge pone sono tuttavia comparabili solo tariffa oraria contrattuale e tariffa oraria di legge in quanto “previsione normativa”, cambiando solo la fonte, cioè chi fissa lo standard minimo (il contratto collettivo o la legge).
 
Se mai è proprio questo scostamento tra le tariffe minime contrattuali e i salari orari effettivamente pagati che mostra come il problema sia altrove, non nelle tariffe in sé (sul tema vedi i contributi raccolti in E. Massagli, D. Porcheddu, S. Spattini, Una legge sul salario minimo per l’Italia? Riflessioni e analisi dopo la direttiva europea, Materiali di discussione, 5/2022 e anche F. Lombardo, M. Tiraboschi, Le retribuzioni degli italiani: cosa davvero sappiamo?in Bollettino ADAPT 13 giugno 2023 n. 22). Ma qui è compito dell’economista indagare non del giurista. È altresì chiaro che l’economista, per indagare in modo mirato, deve dialogare con chi le tariffe collettive e le buste paga le conosce, come i consulenti del lavoro, che per fare le buste paga usano i parametri stabiliti dai CCNL non i dati offerti dalle statistiche ISTAT.
 
Uscendo dalla sterile polarizzazione di un confronto che resta ancora molto astratto e fumoso, la domanda che ci siamo fatti è semplicemente la seguente: una tariffa oraria di legge cambia le cose, per quanto riguarda i salari degli italiani, rispetto alle attuali tariffe minime dei contratti collettivi? La risposta, dati alla mano, è che cambia poco o nulla.
 
Forse la politica o, meglio, i politici dovrebbero constatare che problemi complessi come quello dei salari (bassi) e della produttività (bassa) non hanno soluzioni semplici e che forse per trovare gli strumenti più adeguati per fronteggiare un tema così delicato e centrale per il buon funzionamento della nostra economia e della nostra società nel suo complesso bisognerebbe non solo ascoltare esperti, professionisti, ispettori del lavoro ma anche e soprattutto valorizzare e responsabilizzare, come del resto è scritto nel DNA della nostra Carta costituzionale, quel patrimonio di valori, conoscenze, esperienze e relazioni che sono gli attori della rappresentanza di imprese e lavoratori.
 
E ritorniamo così al dubbio già posto nei giorni scorsi: quale spazio vogliamo dare, al fine di un giusto contemperamento tra razionalità economica e istanze sociali, ai corpi intermedi e, soprattutto, a chi spetta dettare oggi l’agenda politica sui complessi temi del lavoro? (M. Tiraboschi, Giusta retribuzione: chi detta l’agenda politica del lavoro?, in Bollettino ADAPT 3 luglio 2023 n. 25).
 
Francesco Lombardo
Assegnista di ricerca presso l’Università di Modena e Reggio Emilia

ADAPT, Università degli Studi di Siena
@franc_lombardo
 
Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

Coordinatore scientifico ADAPT

@MicheTiraboschi

Salario minimo legale: un obbligo a carico dei datori di lavoro o un vincolo alla libera contrattazione collettiva?