Le retribuzioni degli italiani: cosa davvero sappiamo?

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Bollettino ADAPT 13 giugno 2023 n. 22
 
La questione salariale è al centro del dibattito pubblico da oltre un decennio. Poco, tuttavia, si sa delle retribuzioni reali degli italiani.
ISTAT offre dati relativi alla retribuzione lorda teorica che un lavoratore percepisce. Sono cioè esclusi i premi di produzione, gli importi dovuti per ferie e festività non godute, gli arretrati dovuti per legge o per contratto e le voci retributive collegate alla effettiva prestazione lavorativa. In altri casi il riferimento è alla retribuzione lorda effettiva, calcolata da INPS, come rapporto tra il monte retributivo dei lavoratori con almeno una giornata retribuita nell’anno e il loro numero. ISTAT ha così registrato, per il 2021, una retribuzione lorda teorica su un valore medio prossimo a 20.000 euro (ISTAT, Rapporto annuale 2022, p. 222). Sempre nello stesso anno INPS ha invece registrato mediamente una retribuzione lorda effettiva di 21.868 euro per i lavoratori dipendenti del settore privato, esclusi operai agricoli e domestici (INPS, Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato 2022, p. 1).
 
Si tratta di medie annuali (non di tariffe orarie o giornaliere) e, come è facile constatare, il livello di astrattezza è davvero molto alto. Consultando i dati riportati in alcuni documenti istituzionali (Inps, Banca d’Italia e Ministero del Lavoro) emerge in effetti un quadro ben più complesso e che riflette le tante contraddizioni del nostro mercato del lavoro.
 
Il primo dato da tenere in considerazione è, in effetti, quello delle giornate medie retribuite che, per i 16 milioni di lavoratori del settore privato (con esclusione di operai agricoli e domestici), sono 235 (v. INPS, Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato 2022, p. 1). Un dato che aiuta a spiegare molte cose, sui salari degli italiani, soprattutto quando si passa ai settori economici e produttivi. Per esempio, nei servizi di alloggio e di ristorazione le giornate medie di lavoro sono solo 143. Difficile poi qui capire quante giornate “in nero” vanno a integrare le giornate di lavoro effettive. 
 
Altro dato utile è quello della tipologia contrattuale utilizzata. Su circa 1 milione e 180mila dipendenti a bassa retribuzione annua, soltanto 412mila sono lavoratori standard (tempo indeterminato e full-time), mentre la restante parte sono lavoratori con tipologie di lavoro flessibili (v. ISTAT, Rapporto annuale 2022, p. 223). Nel 2021, per esempio, solamente il 48,2% dei lavoratori dipendenti registra una durata del periodo retribuito dal datore di lavoro (o da più datori di lavoro, a seguito di rapporti di lavoro senza soluzione di continuità) pari ad un anno intero (v. INPS, Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato, p. 8).
Nello specifico le retribuzioni teoriche annue inferiori si riscontrano tra i somministrati, la cui retribuzione media supera di poco i 9mila euro e tra gli intermittenti, la cui retribuzione media è inferiore ai 2mila euro (v. ISTAT, Rapporto annuale 2022, p. 217). Uno stagionale, per esempio, ha guadagnato nel 2021 in media 6.425 euro con 94 giornate di lavoro retribuite. Un lavoratore a tempo determinato ha invece guadagnato circa 9.634 euro su una media di 145 giornate lavorate. Questi numeri sono molti inferiori a quelli dei dipendenti con contratto a tempo indeterminato e pieno (compresi apprendisti) con una media di 26.285 euro con 269 giornate di lavoro prestate (v. INPS, v. Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato, p. 6). Ancora una volta questi dati andrebbero poi valutati tenendo conto delle stime su lavoro “in nero” e lavoro irregolare che, come sappiamo, in Italia sono molto alte rispetto a quanto avviene nel Nord Europa dove i salari sono mediamente più alti.
 
È la Banca d’Italia ad evidenziare come forme di lavoro atipico e part‑time contribuiscano in modo marcato alla dispersione dei redditi annui da lavoro dipendente, che è fortemente aumentata nel settore privato tra il 1990 e il 2021. In particolare, metà dell’incremento è riconducibile alla diminuzione del numero delle settimane lavorate a tempo pieno, mentre la restante parte è dovuta prevalentemente a retribuzioni settimanali in media più basse per gli occupati a tempo parziale o a termine (v. Banca d’Italia, Relazione annuale 2022, p. 5).
 
Anche il differenziale retributivo per genere risulta significativamente correlato alla maggiore presenza di lavoro part-time tra le lavoratrici. Il salario effettivo degli uomini nel 2021 è stato pari al 25.224 euro contro una retribuzione annua di 17.316 euro per le donne. Questo si spiega in ragione del fatto che il numero di lavoratrici che nel 2021 hanno avuto almeno un rapporto di lavoro part-time è pari a 3.413.268, contro 1.998.347 dei lavoratori (v. INPS, Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato 2022, p. 3).
Analogamente si può dire per la differenza retributiva per età che è strettamente connessa alla presenza di lavoro stagionale o a termine soprattutto nelle classi di età più giovani. Infatti, rispetto alla media complessiva di giornate retribuite nel 2021 pari a 235, si riscontrano valori molto bassi tra i lavoratori sotto i 20 anni (solo 73 giornate) e nella classe 20-24 anni (165 giornate). Mentre i livelli di giornate effettivamente lavorate si registrano nella classe 50-54 anni (260 giornate) e nella classe 55-59 anni (259 giornate).
 
Marcate differenze si riscontrano poi con riferimento all’area geografica analizzata (v. INPS, Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato 2022, p. 6). Le retribuzioni annue effettive più elevate si riscontrano a nord-ovest (25.930 euro a fronte di 249 giornate lavorate) e a nord-est (23.151 euro in rapporto a 244 giornate lavorate). Poco sotto la media totale il centro (21.041 euro a fronte di 232 giornate lavorate). Le retribuzioni annue effettive più basse si registrano invece al sud (15.842 euro in relazione a 211 giornate lavorate) e nelle isole (15.564 euro a fronte di 211 giornate lavorate).
 
Le disparità più evidenti si riscontrano infine osservando i diversi settori economici e produttivi a conferma che un intervento sui salari non può essere generalizzato ma deve tenere conto delle dinamiche di settore che, in Italia, sono come noto governate dai contratti collettivi nazionali di categoria. L’occupazione standard e la retribuzione teorica media più elevata si rileva nell’industria in senso stretto (27.805 euro), nei servizi di informazione e comunicazione (25.646 euro) e nei servizi professionali (23.001 euro). Nei servizi di alloggio e ristorazione (7.618 euro), in quelli di supporto alle imprese (9.395 euro) e in quelli di intrattenimento (9.611 euro), che occupano insieme oltre un quarto dei lavoratori dipendenti, la retribuzione teorica annuale è considerevolmente più bassa (v. ISTAT, Rapporto annuale 2022, p. 226).
 
Anche con riferimento alla retribuzione effettiva si riscontrano differenze settoriali notevoli: si va dalla retribuzione media annua di 50.297 euro nel settore credito-finanziario a quella pari a 7.997 euro dei servizi di alloggio-ristorazione (INPS, Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato, p. 7).
 
Infine, come in parte già anticipato, non si deve trascurare l’incidenza del lavoro irregolare sui salari. L’impiego di lavoro irregolare nel 2020 è valso 62,4 miliardi di euro (v. ISTAT, L’economia non osservata nei conti nazionali, anni 2017-2020). Dal piano nazionale per la lotta al lavoro sommerso emerge un tasso di irregolarità medio del 12%. Il settore domestico ha un tasso del 52,3% (senza questo settore la media scenderebbe di circa 3 punti). Sopra la media anche agricoltura (24,4%), attività artistiche e divertimento (23,1%), alloggio e ristorazione (15,3%) e costruzioni (14,8%) (v. Ministero del Lavoro, Piano nazionale per la lotta al lavoro sommerso, p. 12).
Escludendo i settori dell’agricoltura e domestico (che non sono presenti in alcuni documenti per le peculiarità di settore) i tre settori con un tasso di irregolarità superiore alla media (attività artistiche e divertimento, alloggio e ristorazione e costruzioni) registrano anche una retribuzione effettiva annua sotto la media e un numero di giornate lavorate inferiore alla media.
 

Settore Tasso lavoro irregolare (2020) Retribuzioni medie annue (2021) Giornate retribuite nell’anno (2021)
Attività artistiche e divertimento 23,3% 12.993 142
Alloggio e ristorazione 15,3% 7.997 143
Costruzioni 14,8% 19.231 222
Media totale 12,0% 21.868 235

Fonti: Ministero del Lavoro (lavoro irregolare), INPS (retribuzioni e giornate retribuite).
 
Considerato il quadro appena delineato, nel dibattitto pubblico occorrerebbe utilizzare i dati sulle retribuzioni medie con maggior cautela o perlomeno andrebbero accompagnati dalle necessarie “istruzioni d’uso”.
 
Questo vale, in particolare, quando si parla dei minimi salariali proprio perché marcate sono le differenze di settore, ma anche quelle per numero di ore medie lavorate nel settore, per tipologie contrattuali utilizzate e per la presenza diffusa o meno di lavoro “in nero”.
 
Il punto allora, rispetto al dibattito pubblico italiano, è quello di capire se una materia così complessa possa essere affidata al legislatore, quantomeno con riferimento al nodo dei minimi salariali, o se la materia possa e debba essere ancora affidata a una contrattazione collettiva che è certamente chiamata a legare il tema dei salari a quello della produttività.
Una recente nota del Centro Studi Confindustria evidenzia come tra il 2000 e il 2020 nel manifatturiero italiano i salari reali siano cresciuti del 24,3%, in linea con la variazione cumulata della produttività del lavoro, pari al 22,6% (v. Confindustria, Salari e produttività del lavoro nel manifatturiero italiano, p. 1). La crescita dei salari reali in tale periodo è stata pressoché in linea con quella registrata in Francia (+25,3%) e superiore a quella della Germania (+18,1%) e della Spagna (14,4%). In questi paesi, però, la produttività del lavoro è cresciuta molto più che in Italia.
Da questo punto di vista sappiamo ben poco di come la contrattazione collettiva abbia nel tempo affrontato il nodo della retribuzione variabile e di produttività.
 
Eppure il Ministero del Lavoro dispone in linea teorica di dati preziosi, che però non indaga e che non consente di analizzare da parte dei centro universitari di ricerca, posto che ai sensi dell’articolo 14 d.lgs. n. 151/2015, relativi al deposito telematico dei contratti aziendali e territoriali, dal 15 luglio 2016, sappiamo che sono stati depositati (alla data del 15 Maggio 2023) ben 82.232 contratti di produttività (Ministero del Lavoro, Report deposito contratti, 15 maggio 2023, p. 5).
 
In ogni caso, analizzando i dati sui minimi contrattuali in particolare, che sono fortemente differenziati per settore (vedi la tabella che segue, elaborata dall’Ordine commercialisti Milano), una domanda sorge spontanea e cioè quale possa essere l’impatto su un Paese come il nostro di un salario minimo fissato per legge tra i 7 / 9 euro, come si sta discutendo in questi ultimi anni. Posto che i trattamenti minimi contrattuali (vedi la colonna arancione della tabella) sono superiori ai 9 euro, cosa farebbe una media impresa italiana una volta approvata la “legge salvifica” sul salario minimo?
 
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Resta in ogni caso il fatto che, a incidere pesantemente sulle retribuzioni degli italiani è il costo del lavoro che, come segnala proprio oggi ISTAT nel suo report sul primo trimestre del 2023, ha raggiunto i valori tra i più alti in serie storica: su base congiunturale, la crescita è infatti pari all’1,8% ed è il risultato dell’aumento sia delle retribuzioni (+1,2%) sia, in misura maggiore, degli oneri sociali (+3%). Anche la crescita tendenziale, che pare ancora più intesa (+3,9%), è dovuta a quella della componente retributiva (+3,4%) ma, ancora di più, a quella degli oneri sociali (+5,4%).
 
Francesco Lombardo
Assegnista di ricerca presso l’Università di Modena e Reggio Emilia

ADAPT, Università degli Studi di Siena
@franc_lombardo
 
Michele Tiraboschi

Università di Modena e Reggio Emilia

Coordinatore scientifico ADAPT

@MicheTiraboschi

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