Salari minimi adeguati: pubblicata la direttiva europea

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Bollettino ADAPT 2 novembre 2022, n. 37
 
È stata pubblicata in data 25 ottobre 2022 la Direttiva (UE) 2022/2041 del 19 ottobre 2022 sui salari minimi adeguati. L’iter di approvazione era giunto a conclusone lo scorso 4 ottobre. Iniziato nel gennaio del 2020 con un percorso di consultazioni che ha visto protagoniste le parti sociali a livello europeo (v. D. Porcheddu, La proposta di un salario minimo: le possibili iniziative comunitarie e le posizioni delle parti sociali europee, in Bollettino ADAPT, 21 settembre 2020, n. 34), proseguito con la presentazione da parte della Commissione Europea il 28 ottobre del 2020 di una proposta di direttiva (v. S. Spattini, La proposta europea di salario minimo legale: il punto di vista italiano e comparato, in Bollettino ADAPT, 21 settembre 2020, n. 34 – aggiornato il 10 novembre 2020) e successivamente con negoziazioni tra il Consiglio e il Parlamento europeo per raggiungere l’accordo su una posizione comune, infine si è concluso con l’adozione della posizione del Parlamento europeo del 14 settembre 2022 e la decisione del Consiglio del 4 ottobre 2022.
 
L’obiettivo della direttiva è di promuovere e creare condizioni favorevoli al fine di garantire ai lavoratori degli Stati Membri una retribuzione minima adeguata, che può essere assicurata mediante contratto collettivo oppure per legge. Con questo fine, sono stabilite procedure per l’adeguatezza dei salari minimi legali, per la promozione della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari e per migliorare l’effettività dell’applicazione dei salari minimi, indipendentemente dalla modalità della loro fissazione, legale o contrattuale.
 
Rispetto alla prima versione della direttiva proposta dalla Commissione europea, il testo definitivo parifica le due modalità per garantire l’adeguatezza dei salari minimi. Inoltre, evidenzia l’autonomia delle parti sociali, nonché il loro diritto a negoziare e concludere contratti collettivi, così come sottolinea che la direttiva non prevede obblighi di introduzione di un salario minimo legale o di dichiarare un contratto collettivo applicabile erga omnes.
 
A prescindere dalla modalità di determinazione delle retribuzioni minime adeguate, la direttiva promuove (art. 4) la contrattazione collettiva, in particolare a livello settoriale o intersettoriale, con riferimento alla determinazione dei salari, per estenderne il tasso di copertura, poiché si ritiene che sia «un fattore essenziale per conseguire una tutela garantita dai salari minimi» (v. considerando 16 della direttiva), avendo verificato che dove è presente una elevata copertura della contrattazione collettiva è tendenzialmente limitata la quota di lavoratori a basso salario, oltre a rilevarsi salari minimi elevati rispetto al salario medio. In particolare, gli Stati membri con un tasso di copertura della contrattazione collettiva inferiore all’80% devono prevedere condizioni favorevoli alla contrattazione collettiva, anche attraverso la definizione di un piano d’azione per promuovere la contrattazione collettiva e incrementare progressivamente il tasso di copertura. Tuttavia, non solo ogni iniziativa sul tema deve essere presa previa consultazione delle parti sociali o mediante un accordo con le stesse o tra le stesse, ma si specifica che la soglia dell’80% della copertura della contrattazione collettiva deve essere considerata solo come un indicatore per l’obbligo di elaborare un piano d’azione, senza che tale soglia debba essere poi obbligatoriamente raggiunta dagli Stati membri, dal momento in cui l’autonomia collettiva esclude la possibilità di obbligare le parti sociali a concludere contratti collettivi (considerando 25).
 
Il Capo II della direttiva è dedicato ai salari minimi legali e rivolto agli Stati membri che hanno adottato tale strumento. In particolare, si prevede la definizione di una procedura per fissare e aggiornare i salari minimi legali (con il coinvolgimento delle parti sociali, art. 7) per garantire nel tempo la loro adeguatezza e si individuano come valori di riferimento indicativi, quelli comunemente utilizzati a livello internazionale: il 60 % del salario lordo mediano e il 50% del salario lordo medio.
 
La definizione di un quadro normativo europeo per la tutela di un salario minimo è un tema piuttosto sensibile per gli Stati membri, innanzitutto per quelli (come l’Italia) che non hanno un salario minimo fissato per legge (v. D. Porcheddu, S. Spattini, Salario minimo: un ulteriore passo verso la Direttiva europea, in Bollettino ADAPT, 13 dicembre 2021, n. 44). Tanto è vero che la direttiva non è stata approvata all’unanimità, ma con il voto contrario di Danimarca e Svezia (oltre all’astensione dell’Ungheria), due dei sei paesi dell’Unione europea che appunto non hanno un salario minimo legale.
 
Tuttavia, diversamente da quello che ci si potrebbe attendere, l’impatto della direttiva sembra poter essere maggiore sugli Stati membri che adottano salari minimi legali. Infatti, almeno per il 2020, i dati dimostrano (Figura 1) che solo in tre Paesi il livello del salario minimo legale è adeguato secondo i criteri suggeriti dalla direttiva con riferimento alla percentuale rispetto al salario mediano (o sono molto prossimi secondo il criterio della percentuale rispetto al salario medio). Per la maggior parte dei paesi, il livello del salario minimo non risulta adeguato secondo i menzionati parametri (si veda anche, Eurofound, Minimum wages in 2020: Annual review, Minimum wages in the EU series, Publications Office of the European Union, Luxembourg, 2020). Benché questi siano soltanto indicativi nell’orientare la valutazione dell’adeguatezza dei salari minimi legali, è comunque evidente che tendenzialmente gli importi dei salari minimi legali dovrebbero essere aumentati.
 
Figura 1 – Salario minimo come percentuale del salario mediano e medio

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Fonte: M. Luebker, T. Schulten, WSI MINIMUM WAGE REPORT 2022. Towards a new Minimum Wage Policy in Germany and Europe, WSI Report No. 71e, March 2022, 11.
 
A ben vedere, poi, i paesi in cui è presente un salario minimo legale, tranne pochissime eccezioni (Belgio e Francia), hanno una copertura della contrattazione collettiva inferiore all’80% dei lavoratori (Figura 2), pertanto questi sono interessati anche dalla parte di direttiva che intende promuovere lo sviluppo della contrattazione collettiva attraverso la definizione di un apposito piano d’azione.
 
Figura 2 – Tasso di copertura della contrattazione collettiva

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Fonte: ILOSTAT. Ultimo aggiornamento 03/05/2022.

Austria, Belgio, Italia, Olanda, Germania, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Svezia, Ungheria (2019); Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Portogallo, Spagna, (2018); Romania (2017); Bulgaria, Croazia, Slovenia (2016); Polonia (2015); Cipro, Irlanda, Lussemburgo (2014); Malta (2012).
 
Al contrario, i paesi privi di un salario minimo legale (Austria, Danimarca, Finlandia, Italia, Svezia, tranne Cipro) presentano tassi di copertura della contrattazione collettiva superiori all’80%. Pertanto, questi Stati membri non sono interessati dalle disposizioni relative ai salari minimi legati, a meno che non intendano adottarlo, così come non lo sono da quelle dirette alla promozione della contrattazione collettiva, poiché hanno tassi di copertura superiori all’80%. Tuttavia, anche tali Stati membri devono organizzare strumenti efficaci di raccolta dei dati per monitorare l’effettivo accesso dei lavoratori ai salari minimi definiti dai contratti collettivi (art. 10).
 
Riassumendo e guardando più direttamente all’impatto che la direttiva europea potrà avere sul contesto italiano, si ribadisce che la sua approvazione e il suo recepimento non comporteranno l’obbligo dell’adozione di un salario minimo legale, né l’obbligo a dichiarare un contratto collettivo applicabile erga omens. Con riferimento alla promozione della contrattazione collettiva, la direttiva non impatta, poiché i dati disponibili attestano livelli di copertura ben oltre l’80%, individuato come parametro limite sotto il quale si richiede ai Paesi membri di attivare piani d’azione per l’incentivazione della contrattazione collettiva per un ampliamento della copertura.
 
Rimane il generico obiettivo della direttiva a promuovere salari minimi adeguati e al miglioramento dell’accesso effettivo dei lavoratori al diritto al salario minimo, anche se viene specificato che la direttiva non interviene sul livello delle retribuzioni stabiliti dalla contrattazione collettiva, poiché questo rientra nell’autonomia collettiva. In ogni caso, a prescindere dalle disposizioni della direttiva effettivamente applicabili al caso italiano, permane il problema di alcuni settori in cui i contratti collettivi fissano minimi tabellari oggettivamente troppo bassi.
 
Silvia Spattini 
Direttrice ADAPT
@SilviaSpattini

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