La proposta di un salario minimo: le possibili iniziative comunitarie e le posizioni delle parti sociali europee

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Bollettino ADAPT 21 settembre 2020, n. 34

 

Il 16 settembre 2020, nel suo primo discorso sullo Stato dell’Unione, la Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen ha affermato che l’istituzione di cui è a capo farà una “proposta per sostenere gli Stati Membri a istituire un quadro normativo per i salari minimi”, sottolineando altresì come “il dumping salariale distrugga la dignità del lavoro, penalizzi gli imprenditori e distorca la concorrenza del mercato interno”.

 

Non è certo la prima volta che la recentemente insediatasi Commissione Europea a guida Von der Leyen afferma la sua volontà di introdurre una normativa sui salari minimi a livello europeo: allegato alla sua prima comunicazione, risalente al 14 gennaio 2020 e intitolata “Un’Europa sociale forte per le transizioni giuste, si può infatti trovare il documento che dà l’avvio alla procedura ex articolo 154 TFUE per quanto riguarda l’introduzione di un quadro comune europeo sui salari minimi.

Tale documento (d’ora in poi “il primo Consultation Document”) è stato indirizzato alle principali parti sociali a livello europeo (ETUC e Businesseurope) al fine di sondare la loro posizione in merito a un possibile orientamento dell’azione dell’Unione sul tema.

 

Nella prima parte del Consultation Document è individuato il “perché i salari minimi sono importanti”: la Commissione infatti riconosce che il fenomeno della in-work poverty è in crescita nell’UE, in particolare tra i lavoratori parte di rapporti di lavoro “atipici”, e individua nella fissazione di minimi salariali adeguati uno strumento per il contrasto dello stesso.

Inoltre, viene aggiunto che una tale operazione avrebbe l’effetto di sostenere la crescita complessiva dei salari, circostanza che peraltro, si sostiene potrebbe incentivare le imprese alla produttività e a investire sul capitale umano, nonché supportare la domanda interna.

 

Nell’introduzione del documento la Commissione individua tuttavia immediatamente i limiti che essa stessa avrebbe nel perseguimento di tale obiettivo: essi si concretizzano nell’articolo 153(5) del TFUE, il quale esclude la competenza dell’Unione Europea in materia di retribuzione, nonché nelle determinazioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale ha infatti in passato esplicitamente classificato l’introduzione di un salario minimo comunitario come “un’ingerenza diretta del diritto comunitario nella determinazione delle retribuzioni in seno alla Comunità”, e per questo incompatibile con i Trattati.

 

In ultimo, la Commissione Europea sottolinea che la normativa di cui propone l’introduzione non avrebbe come scopo quello di imporre ai paesi il mutamento del proprio metodo di fissazione dei minimi retributivi e, in particolare, non imporrebbe l’introduzione di una legislazione in merito ai minimi salariali negli Stati Membri in cui tale materia è regolata unicamente tramite la contrattazione collettiva (ossia, attualmente, Italia, Austria, Danimarca, Svezia, Finlandia e Cipro).

 

Le risposte a tale proposta della Commissione non si sono fatte attendere: già al termine del febbraio 2020 la Confederazione Europea dei Sindacati e Businesseurope hanno fatto pervenire le loro opinioni sul tema, così completando la prima fase di consultazioni.

Il documento di risposta della Confederazione Europea dei Sindacati mette in evidenza quanto il ruolo della contrattazione collettiva sia fondamentale per il raggiungimento di un livello salariale minimo adeguato, non risparmiando critiche alle politiche di austerità portate avanti dalle istituzioni europee durante la crisi dello scorso decennio, le quali hanno secondo la CES contribuito a indebolire significativamente l’autonomia collettiva dei paesi più in difficoltà: la Confederazione di conseguenza spinge la Commissione a introdurre nella propria proposta iniziative in favore della protezione della contrattazione collettiva e del diritto di associazione sindacale dei lavoratori.

 

In ultimo, la Confederazione Europea dei Sindacati propone l’emissione di una direttiva sui salari minimi, avente come base giuridica gli articoli 151 e 153 del TFUE (relativi alla politica sociale dell’UE), la quale tuttavia si applichi unicamente ai salari minimi previsti dalla legge e al ruolo delle autorità pubbliche nel fissarli e farli rispettare, e non ai salari fissati attraverso i contratti collettivi.

Contraria invece all’introduzione di uno strumento di hard law come una direttiva è invece Businesseurope, la quale sottolinea come un simile intervento da parte dell’Unione Europea sarebbe incompatibile con il già citato articolo 153(5) del TFUE, e inoltre contraddirebbe l’affermazione della Commissione Europea di volere rispettare l’autonomia delle parti sociali in materia di retribuzione.

 

Businesseurope sottolinea invece il ruolo che il Semestre Europeo potrebbe avere per quanto riguarda il tema dei salari: utilizzando come base il principio 6 del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali del 2017, il quale menziona la necessità di garantire retribuzioni minime adeguate, sarebbe infatti possibile per le istituzioni europee coinvolte nel Semestre incoraggiare gli Stati Membri ad adottare riforme in questa direzione.

 

Il 3 giugno 2020 la Commissione Europea ha avviato la seconda fase di consultazioni ex articolo 154 TFUE emettendo un secondo Consultation Document nel quale aggiunge ulteriori indicazioni per quello che dovrà essere il contenuto dell’azione EU in tema di salari minimi.

In primo luogo, viene sottolineata la necessità che tutti i lavoratori beneficino di un minimo salariale di livello adeguato.

 

Nel primo Consultation Document era stata avanzata la proposta di identificare tale livello di adeguatezza con il 60% della mediana dei salari di ogni singolo Stato Membro (soglia che identifica il rischio di povertà, accolta dalle principali organizzazioni internazionali) la quale era stata accolta favorevolmente dalla CES ma criticata da Businesseurope: nel secondo documento tale soglia non è più nominata.

 

Per quanto riguarda invece la copertura dei minimi salariali, la Commissione Europea sostiene che l’applicazione degli stessi dovrebbe essere estesa a tutti i lavoratori, limitando o eliminando le eccezioni e le riduzioni previste dalle molte legislazioni nazionali (come ad esempio la legislazione francese) per quanto riguarda specifiche categorie di lavoratori, per esempio i lavoratori giovani: se esse non fossero eliminabili, esse dovrebbero essere non-discriminatorie, giustificate, proporzionate e limitate nel tempo.

 

La Commissione Europea auspica altresì che nel caso degli Stati Membri in cui le retribuzioni sono fissate unicamente attraverso la contrattazione collettiva, anche i lavoratori non coperti dalla stessa possano beneficiare dei livelli retributivi minimi stabiliti dai contratti collettivi, e propone in seguito un rafforzamento degli strumenti di vigilanza degli Stati Membri in tema di minimi salariali, compresi gli ispettorati del lavoro.

 

In chiusura del documento, la Commissione individua la base giuridica per la futura normativa sui salari minimi, ossia l’articolo 153(1)(b) del TFUE, e i possibili strumenti legali attraverso i quali concretizzarla, ossia una direttiva, la quale potrebbe anche essere implementata direttamente dalle parti sociali ex articolo 153(3) TFUE, oppure una Raccomandazione del Consiglio, uno strumento non vincolante che potrebbe essere accompagnato da un quadro di riferimento da integrare nel Semestre Europeo.

 

In conclusione, è necessario riportare quanto previsto dai documenti di risposta delle parti sociali al secondo Consultation Document della Commissione, risalenti a inizio settembre, dai quali non potrebbero emergere posizioni più discordanti.

 

Nella seconda fase della consultazione infatti la CES si schiera convintamente a favore di una direttiva quadro, accompagnata da una Raccomandazione del Consiglio che metta in atto misure complementari ad essa: inoltre, accoglie favorevolmente le proposte della Commissione in merito alla vigilanza sul rispetto dei minimi salariali previsti e alla massima limitazione delle eccezioni dalla copertura degli stessi. Businesseurope, al contrario, ritiene che una Raccomandazione del Consiglio sia “il massimo raggiungibile” dall’Unione Europea in materia di salari minimi, data l’incompetenza dell’Unione Europea sulla materia della retribuzione: inoltre, ricorda come, secondo la convenzione OIL numero 131, competa alle autorità nazionali individuare le categorie di lavoratori coperte dal salario minimo.

 

La proposta di introduzione di un quadro di riferimento europeo in tema di retribuzione, materia fino ad oggi gelosamente custodita dagli Stati Membri, è sicuramente emblematica del forte spirito di cambiamento che anima la Commissione Europea a guida Von der Leyen, e rappresenta efficacemente il suo ambizioso progetto per la trasformazione dell’Unione: sarà interessante scoprire se il risultato finale si dimostrerà proporzionato alla forza di tale spirito o sarà ridimensionato dalle lunghe e difficoltose negoziazioni che lo precederanno.

 

Diletta Porcheddu

ADAPT Junior Fellow

@DPorcheddu

 

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