Salario minimo: un ulteriore passo verso la Direttiva europea

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Bollettino ADAPT 13 dicembre 2021, n. 44
 
Lo scorso 6 dicembre il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato la sua posizione sulla proposta di direttiva relativa a salari minimi adeguati nell’Unione Europea, presentata dalla Commissione Europea il 28 ottobre del 2020 (v. S. Spattini, La proposta europea di salario minimo legale: il punto di vista italiano e comparato, Bollettino ADAPT 21 settembre 2020, n. 34 – aggiornato il 10 novembre 2020) in seguito al percorso di consultazioni, iniziato a gennaio del 2020, che ha visto protagoniste le parti sociali a livello europeo (v. D. Porcheddu, La proposta di un salario minimo: le possibili iniziative comunitarie e le posizioni delle parti sociali europee, Bollettino ADAPT 21 settembre 2020, n. 34).
 
Tale evento rappresenta un passo importante nell’iter formale di approvazione della normativa sovranazionale, anche se altri passaggi saranno necessari. Il Consiglio dell’Unione, composto in questa occasione dai Ministri del Lavoro dei diversi Stati Membri, ha infatti espresso il suo “orientamento generale” sulla proposta di direttiva e conferito al proprio Presidente il mandato di avviare i negoziati con il Parlamento Europeo. Soltanto i risultati positivi di tali negoziati potranno portare alla definizione di un testo comune, il quale entrerà in vigore dopo l’approvazione di entrambi gli organi.
 
Nonostante lo stadio preliminare del processo di approvazione della direttiva, risulta utile fornire una sintesi dei contenuti dell’orientamento generale del Consiglio dell’UE, verso i quali è rivolta particolare attenzione da parte di quegli Stati membri, come l’Italia, dove le retribuzione minime sono fissati dalla contrattazione collettiva e dove non esistono salari minimi legali (per un’analisi delle modalità di fissazione dei minimi salariali in Italia e in tre altri paesi europei vedi D. Porcheddu, Il dibattito sul salario minimo legale in prospettiva italiana ed europea, ADAPT Labour Studies e-Book series, n. 87).

Il Consiglio intende, inoltre, rendere chiara l’equiparazione tra le diverse modalità per garantire l’adeguatezza dei salari minimi, introducendo nell’articolo 1 la lettera a bis), che richiama la promozione della contrattazione collettiva al pari della promozione di livelli adeguati di salari minimi legali, già indicati alla lettera a) del medesimo articolo.
 
L’orientamento generale del Consiglio chiarisce poi come la direttiva in materia di salari minimi adeguati debba stabilire principalmente obblighi di natura procedurale per gli Stati membri, i quali differiscono a seconda del caso in cui i salari minimi siano determinati in via legislativa o per mezzo della contrattazione collettiva. Il Consiglio, peraltro, si preoccupa di sottolineare la distinzione tra le due fattispecie menzionate, specificando come anche i contratti collettivi applicabili erga omnes non siano da considerarsi assimilabili ai salari minimi legali, dato che il loro contenuto deriva dall’accordo delle parti sociali e non da un atto di diritto pubblico.
 
Tra i punti fondamentali del documento, il chiarimento riguardante il considerando 19 della proposta di direttiva, il quale sancisce come un alto tasso di copertura da parte della contrattazione collettiva rappresenti un mezzo fondamentale per garantire l’adeguatezza dei minimi salariali. A tal proposito, il Consiglio puntualizza come, qualora la contrattazione collettiva di uno Stato Membro sia applicabile a meno del 70% dei lavoratori, per tale Stato scatti l’obbligo di prevedere un “piano d’azione” per promuovere la contrattazione collettiva, con il potenziale coinvolgimento delle stesse parti sociali. Viene, comunque, chiarito che la soglia di copertura della contrattazione collettiva pari al 70 % non deve essere considerata un obiettivo da raggiungersi obbligatoriamente da parte dagli Stati Membri, dal momento in cui l’autonomia collettiva esclude la possibilità di obbligare le parti sociali a concludere contratti collettivi. Tale soglia è pertanto un indicatore che determina l’obbligo, come detto, di prevedere un quadro di procedure abilitanti e meccanismi che favoriscano le condizioni per lo sviluppo della contrattazione collettiva. Da un punto di osservazione nazionale, questa disposizione non riguarderebbe attualmente l’Italia: secondo un recente studio dell’European Trade Union Institute (ETUI) si stima, infatti, che il tasso di copertura della contrattazione collettiva in Italia sia stabilmente superiore alla soglia dell’80% (v. R. Pedersini, Italy: Institutionalisation and resilience in a changing economic and political environment, in T. Müller, K. Vandaele, J. Waddington (eds) Collective bargaining in Europe: towards an endgame, ETUI, 2019)
 
A conferma dell’importanza del tasso di copertura della contrattazione nella tutela dei minimi salariali, non è da sottovalutare, inoltre, come esso sia stato incluso tra le informazioni che, ai sensi della Direttiva, gli Stati membri devono trasmettere periodicamente alla Commissione Europea, la quale ha il compito di analizzarli. Esso, dunque, si aggiunge agli altri dati oggetto di monitoraggio e comunicazione: in caso di salari minimi garantiti dai contratti collettivi si tratta dei minimi tabellari per le qualifiche più basse della percentuale dei lavoratori coperti da tali contratti, nonché del rapporto tra il livello dei salari versati ai lavoratori non coperti e quello dei lavoratori coperti dai contratti collettivi; in caso di salari minimi legali, i dati riguardano il loro livello e la percentuale di lavoratori coperta da tali salari minimi legali, oltre a una descrizione delle variazioni e trattenute applicabili.
 
Per quanto concerne invece gli Stati in cui i minimi salariali sono fissati in via legislativa (21 su 27 paesi dell’Unione Europea), il Consiglio ritiene che debba essere introdotto un quadro procedurale per fissarli e aggiornarli secondo una serie di criteri chiari e stabili, come ad esempio, meccanismi di indicizzazione automatica.
 
In ultimo, l’orientamento generale del Consiglio dell’Unione contiene altresì una serie di misure per migliorare l’effettività del diritto al salario minimo per i lavoratori: tra esse rientrano controlli e ispezioni adeguati, informazioni facilmente accessibili sulla tutela garantita dal salario minimo, nonché il diritto di ricorso dei lavoratori verso i datori di lavoro inadempienti, i quali potranno altresì essere oggetto di sanzioni.
 
Il tema della definizione a livello europeo di un quadro normativo per la garanzia di un salario minimo è altamente sensibile per gli Stati membri, innanzitutto per quelli (come l’Italia) che non hanno un salario minimo fissato per legge. A questo si aggiunge il fatto che i contesti nazionali sono molto diversificati e disomogenei con riferimento alle caratteristiche dei mercati del lavoro, ai livelli salariali, ai livelli dei salari minimi legali e al tasso di copertura della contrattazione collettiva. L’intenso lavoro di discussione tra gli Stati ha dovuto tenere in considerazione le diverse sensibilità e preoccupazioni. Il confronto ha portato all’individuazione di soluzioni di compromesso, consentendo di approvare una posizione comune. Osservando i diversi interventi del Consiglio sul testo della Direttiva, in particolare la sottolineatura che l’obiettivo dell’adeguatezza dei salari minimi è perseguito con mezzi diversi, e l’introduzione nell’articolo 1 della promozione della contrattazione collettiva in materia di determinazione dei salari, pare potersi affermare, in estrema sintesi, che le modifiche proposte dal Consiglio vanno nella direzione di evidenziare maggiormente, rispetto alla proposta di direttiva della Commissione, il ruolo della contrattazione collettiva nel garantire salari minimi adeguati.
 
Diletta Porcheddu

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@DPorcheddu

 
Silvia Spattini

Direttore ADAPT

@SilviaSpattini

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