Rider e lavoro intermittente: alcuni chiarimenti dal Ministero del lavoro
| di Federica Capponi
Bollettino ADAPT 28 aprile 2025, n. 16
Lo scorso 18 aprile, il Ministero del lavoro ha pubblicato la circolare n. 9, avente ad oggetto la «Classificazione e tutele del lavoro dei ciclo-fattorini delle piattaforme digitali». La circolare ricostruisce le ipotesi qualificatorie, a normativa vigente, del rapporto di lavoro dei c.d. rider e si sofferma, in chiusura, sui connessi profili previdenziali, prevenzionistici e assicurativi nonché sulla disciplina della gestione algoritmica prevista dal regolamento UE 2016/679 e dalla direttiva 2019/1152. Di particolare interesse appaiono le considerazioni ministeriali sul lavoro intermittente.
Il Dicastero non esclude ipotesi in cui il rapporto di lavoro instaurato con la piattaforma digitale sia genuinamente autonomo: è così, ad esempio, quando è rispettato quanto previsto dal capo V-bis del d. lgs. n. 81/2015 (recante «Tutela del lavoro tramite piattaforme digitali») e il rapporto di lavoro non è caratterizzato da eterodirezione o da indici secondari della subordinazione. Allo stesso tempo, nella circolare si evidenzia come, nei casi in cui è ravvisabile il vincolo della subordinazione, «tra le tipologie contrattuali di lavoro subordinato presenti all’interno del nostro tessuto ordinamentale, la dinamica lavorativa in analisi appare inverare maggiormente i tratti caratterizzanti il lavoro intermittente». Infatti, come ricorda il documento in analisi, ai sensi dell’art. 13, co. 1, del d. lgs. n. 81/2015, si può parlare di lavoro intermittente anche quando il rapporto di lavoro ha il carattere della discontinuità. Pertanto, «laddove richiamata dalla contrattazione collettiva e nell’ambito dei profili di legge», detta tipologia contrattuale potrà essere utilizzata dalle parti che ne ravvisino l’esigenza per disciplinare il rapporto di lavoro intercorrente tra le stesse anche con riferimento al trattamento economico, normativo (inclusa la disciplina in materia di orario di lavoro) e previdenziale. Questi ultimi profili, a norma dell’art. 17 del citato decreto legislativo, andranno riparametrati in ragione della prestazione lavorativa effettivamente svolta. Qualora si adotti la tipologia contrattuale in parola, inoltre, occorrerà accertare l’esistenza o meno di un obbligo di risposta alla chiamata, ciò anche in considerazione delle ricadute di tale obbligo su aspetti come l’indennità di disponibilità, tutele previdenziali, malattia e genitorialità. Quanto al calcolo della indennità di disponibilità, la circolare fornisce alcune precisazioni. In particolare, secondo il Ministero, il periodo che rileva ai fini dell’indennità consiste in «quei lassi temporali in cui il rider, secondo le modalità organizzative definite dalla piattaforma, si pone effettivamente a disposizione esclusiva del committente in attesa di ricezione/accettazione dell’incarico di consegna, con un vincolo di fatto effettivo e strettamente funzionale al rendimento della prestazione». Pertanto, il tempo effettivamente impiegato per rendere la prestazione lavorativa deve essere considerato come «periodo di svolgimento della prestazione lavorativa da retribuire»; mentre «il periodo durante il quale al lavoratore sia richiesto il collegamento con la piattaforma e fino al momento della sua disconnessione, è riconosciuta l’indennità di disponibilità, laddove prevista dal contratto e nella misura dallo stesso stabilita»; nel documento in commento si precisa che tale assunto è finalizzato ad escludere che il rider possa non percepire alcun trattamento economico nel periodo intercorrente tra una consegna e l’altra. Infine, il Ministero ricorda che, laddove utilizzata la tipologia contrattuale in parola, occorrerà adempiere anche a quanto previsto dall’art. 15 in materia di forma scritta del contratto (comma 1) e comunicazione della durata della prestazione lavorativa all’Ispettorato del lavoro territorialmente competente (comma 3).
Il Ministero del lavoro, dunque, “apre” al lavoro intermittente nel caso dei “ciclo-fattorini” e, conseguentemente, alla eventuale contrattazione collettiva che dovesse disciplinare dette ipotesi (peraltro già presente, si pensi all’accordo integrativo aziendale di Takeaway.com Express Italy del gruppo Just Eat). Le novità introdotte dal d.lgs. n. 104/2022 (c.d. decreto trasparenza), inoltre, tramite l’eliminazione del preavviso minimo di un giorno dovuto al lavoratore, parrebbero agevolare il ricorso al lavoro intermittente da parte delle piattaforme digitali che forniscono servizi on-demand. Infatti, dato il modello organizzativo delle piattaforme che offrono servizi richiesti sul momento (come nel caso del food delivery), sarebbe risultato difficile al datore di lavoro garantire con un giorno di anticipo l’effettività della prestazione lavorativa (e dunque della retribuzione) per come definita nella circolare del Ministero del lavoro. Al riguardo si osserva, tuttavia, come la previgente disposizione sul preavviso permettesse al lavoratore intermittente di conciliare eventuali ulteriori impegni lavorativi assunti al fine di avere maggiore stabilità economica.
La questione della compatibilità del lavoro dei rider con il contratto di lavoro intermittente non è del tutto nuova nel dibattito accademico e non. Proprio il lavoro intermittente è stato infatti richiamato dalla giurisprudenza e dalla dottrina quale argomentazione a favore della possibilità di qualificare nei termini della subordinazione anche quel rapporto di lavoro in cui il rider rimane libero di accettare o rifiutare l’incarico proposto (per altri, invece, requisito tipico del rapporto di lavoro autonomo). Tuttavia, il lavoro c.d. a chiamata ha suscitato anche perplessità rispetto alla sua applicabilità proprio nel settore del food delivery. In particolare, se è vero che detta tipologia contrattuale consente al rider di accedere alle tutele tipiche del lavoro subordinato, si è altresì osservato come una simile scelta negoziale paia proporsi un intento elusivo. In particolare, secondo tale visione, si contravverrebbe a quanto previsto dall’art. 13 del d. lgs. n. 81/2015 in merito alla discontinuità o intermittenza intesa dal legislatore come possibilità di utilizzare la prestazione lavorativa in «periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno», poiché, nel caso in analisi, si ricollegherebbe l’applicabilità della disciplina a una discontinuità addirittura giornaliera. Tramite la frammentazione eccessiva della prestazione lavorativa, dunque, parrebbe perseguito l’obiettivo di un risparmio sul trattamento economico dovuto al lavoratore o comunque della eliminazione del rischio dell’inutilità della prestazione lavorativa acquisita (il c.d. rischio di impresa, tipico del datore di lavoro nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato), trasferendo, così, parte del rischio economico al lavoratore, che, tuttavia, non partecipa agli utili dell’impresa né rimane svincolato dalla eterodirezione (A.A. Scelsi, L’altra contrattazione di secondo livello dei rider: il modello Runner Pizza e il perdurante equivoco fra discontinuità oraria e intermittenza, DRI, 2, 2022, pp. 566-574).
Si osserva tuttavia che, se questi appaiono essere, secondo un primo orientamento, i rischi derivanti dall’adozione della interpretazione ministeriale, le parti sociali ben potrebbero disciplinare il regime del lavoro intermittente prevedendo condizioni maggiormente favorevoli al lavoratore. Dunque, la contrattazione collettiva appare essere lo strumento con il quale dare corretta attuazione alla disciplina legislativa e così evitare utilizzi distorti della stessa. In ultimo si rammenta come un ulteriore strumento che consentirebbe di prevenire il contenzioso in materia sia il ricorso alla certificazione del contratto ex art. 75 d.lgs. n. 276/2003. In particolare, in un contesto come quello del lavoro tramite piattaforma digitale, caratterizzato da modelli organizzativi peculiari, in cui, come ricorda lo stesso Ministero, il potere datoriale può celarsi dietro i meccanismi di funzionamento di un algoritmo, le commissioni di certificazione, in ragione della loro terzietà e competenza in materia, possono fornire un utile contributo nell’individuare la corretta qualificazione del contratto, anche indagando le concrete modalità di esecuzione del rapporto di lavoro, tramite, ad esempio, l’audizione delle parti, e apportando eventuali migliorie e correzioni al regolamento contrattuale. Presso le commissioni di certificazione, che possono svolgere attività di consulenza e assistenza ex art. 81 d.lgs. 276/2003, è, infatti, possibile cristallizzare la volontà negoziale delle parti e trovare, nel quadro della legislazione vigente, il punto di equilibrio tra gli opposti interessi.
Assegnista di ricerca Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia – ADAPT Senior Fellow
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