Quali conseguenze per un licenziamento effettuato sulla base di un patto di prova nullo?

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Bollettino ADAPT 13 novembre 2023, n. 39
 
Con la sentenza n. 20239 del 14 luglio 2023, la Corte di Cassazione ha chiarito quale sia, nel contesto normativo del d.lgs. n. 23/2015 (c.d. Jobs Act), la tutela applicabile a un dipendente che subisce un licenziamento fondato su un patto di prova nullo.
 
In particolare, essendo pacifico che la nullità del patto di prova determina “la conversione dell’assunzione in definitiva sin dall’inizio ed il venir meno del regime di libera recedibilità”, si è posta la questione di quali siano le conseguenze sanzionatorie per il licenziamento che si configura di conseguenza ad nutum, poiché manifestamente sprovvisto sia di giusta causa che di giustificato motivo.
 
Ebbene, la Suprema Corte ha escluso che si possa prevedere la reintegrazione in servizio del lavoratore illegittimamente licenziato – a differenza di quanto accadeva nel precedente contesto normativo della legge Fornero – in quanto “risulta decisiva la considerazione del carattere solo residuale che nell’impianto normativo del legislatore del cd. Jobs Act assume la tutela reintegratoria”.
 
In particolare, ciò si evince chiaramente dalla lettura dell’art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015, che prevede la regola generale della tutela indennitaria “salvo quanto disposto dal comma 2, il quale prevede la tutela reintegratoria per la sola eccezione delle ipotesi di licenziamento disciplinare in cui sia dimostrata l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore.  Pertanto, non rientrando la fattispecie neppure tra le ipotesi tipiche di licenziamento nullo o discriminatorio, la reintegrazione in servizio non può essere applicata nel caso del recesso ad nutum in esame.
 
Si tratta di un’interpretazione letterale e, a mio avviso, corretta, della disciplina normativa prevista dal Jobs Act.
 
Altra questione, invece, è valutare se il disallineamento di tutele tra licenziamento disciplinare e licenziamento per giustificato motivo oggettivo abbia una giustificazione razionale e non porti, al contrario, conseguenze inaccettabili nella prassi.
 
Al riguardo, si rileva che recentemente il Tribunale di Ravenna, con Ordinanza del 27 settembre 2023, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale per una serie di motivi, tra cui la violazione del principio di uguaglianza (che impone che vengano trattate allo stesso modo situazioni identiche), concludendo per la richiesta della “declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto legislativo n. 23 del 2015 nella parte in cui non prevede l’applicabilità del 2° comma [n.d.r. ovvero della tutela reintegratoria in caso di insussistenza del fatto materiale] anche in relazione al licenziamento determinato da “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa” (art. 3, L. n. 604/1966)”.
 
In conclusione, è evidente che l’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 3 comporterebbe una revisione anche del principio espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza qui brevemente analizzata.
 
Come si dice in questi casi, stay tuned!

 
Federico Ubertis

ADAPT Professional Fellow

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