Realismo, prudenza e grandi assenti: il capitolo pensioni del ddl bilancio


 
Bollettino ADAPT 13 novembre 2023, n. 39
 
Risale ormai a più di una settimana fa la pubblicazione sul sito del Senato del Disegno di legge 926 del 30 ottobre 2023 (ddl bilancio). Un tempo sufficiente per analizzare con attenzione, tra i 109 articoli di cui si compone la proposta, le previsioni che riguardano uno dei capitoli da sempre più delicati di ogni manovra finanziaria, ossia quello riguardante le pensioni.
 
La scorsa legge di bilancio, su questo argomento, come abbiamo avuto modo di argomentare sempre in questa sede, pareva porsi in totale linea di continuità con gli ultimi provvedimenti del governo Draghi, da poco dimissionario. Il poco tempo a disposizione nel passaggio di consegne tra vecchio e nuovo governo, lasciava quindi presagire un rinvio all’anno successivo di quelle misure strutturali inseguite da più parti (in primis dai partiti insediati al governo, se si guarda alle varie proposte elettorali) per superare il regime di regole introdotto con la riforma del 2011.
 
A quasi un anno di distanza, le indicazioni che arrivano dalla bozza della prossima legge di bilancio mostrano invece come la partita per una vera riforma del sistema pensionistico sia, ancora una volta, quantomeno rinviata. Un risultato che già si poteva ampiamente presagire, nel mese di aprile, con la lettura del Documento di Economia e Finanza (DEF), in cui non solo spiccava l’assenza di specifici impegni programmatici sulla materia pensionistica, ma veniva altresì prestata particolare attenzione, nei vari passaggi, alla crescita della spesa pensionistica negli ultimi anni, quasi a voler anticipare come, con le dinamiche demografiche e i vincoli di bilancio attuali, non vi fossero le basi per una riforma delle pensioni. Eppure, nonostante questo primo segnale concreto, nei mesi successivi non sono mancati i tavoli di confronto tra governo e parti sociali, accompagnati da obiettivi alquanto ambiziosi e incentrati su un ampio insieme di temi, dalle tutele per i lavoratori più giovani alla previdenza integrativa. Temi che, se si leggono le disposizioni della bozza di legge di bilancio da discutere ora in Parlamento, risultano assenti o fortemente ridimensionati.
 
Flessibilità in uscita
 
Tra le varie previsioni in materia pensionistica inserite nel disegno di legge, spicca innanzitutto la conferma di tre specifiche forme sperimentali di flessibilità in uscita, ossia Ape Sociale, Opzione Donna e Quota 103, che in questi anni abbiamo già imparato a conoscere, e che sono volte a garantire il pensionamento anticipato a lavoratrici e lavoratori in possesso di specifici requisiti. In tutti e tre i casi, tuttavia, il rinnovo delle misure è stato accompagnato da un inasprimento dei requisiti fino a questo momento ritenuti necessari per accedere alle stesse.
 
Per quanto riguarda l’APE Sociale, ossia la modalità anticipata di pensionamento che prevede l’erogazione di un’indennità da parte dell’INPS a specifiche tipologie di lavoratori con particolari esigenze di tutela (disoccupati, invalidi civili, caregivers, addetti ra mansioni gravose) fino al raggiungimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia, viene incrementato il requisito anagrafico richiesto, che passa da 63 a 63 anni e 5 mesi e viene inoltre prevista l’incumulabilità totale di tale misura con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione del lavoro occasionale entro un massimo di 5.000 euro annui.
 
Con la medesima logica, viene aumentato di un anno (da 60 a 61 anni) il requisito anagrafico richiesto alle lavoratrici per accedere alla forma anticipata sperimentale c.d. Opzione Donna, mantenendo per il resto i meccanismi penalizzanti già in vigore, quali il ricalcolo del trattamento e le finestre di uscita, nonché le riduzioni fino a 2 anni del requisito anagrafico richiesto alle lavoratrici con figli. In caso di mancate modifiche in sede parlamentare, risulterà quindi sempre più limitata la portata di questa misura, già fortemente ridimensionata dalla manovra 2023, che ha riservato Opzione Donna solo a specifiche categorie di lavoratrici (lavoratrici con una riduzione della capacità lavorativa pari o uguale al 74%; lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese in crisi; caregivers).
 
Infine, anche quest’anno il governo ha valutato di rinnovare una forma di anticipo pensionistico basata sulla combinazione di specifici requisiti anagrafici e contributivi (la c.d. quota), a prescindere dalla condizione soggettiva delle lavoratrici e dei lavoratori interessati. In questo ambito, dopo la prima sperimentazione triennale di Quota 100 (62 anni di età anagrafica e 38 anni di anzianità contributiva), introdotta nel 2019 dal governo Conte 1, e le successive misure annuali di quota 102 (per il 2022) e quota 103 (per il 2023), con requisiti maggiormente restrittivi, dalle prime ipotesi circolate nelle scorse settimane pareva inevitabile un ulteriore inasprimento delle regole per il 2024, con il raggiungimento di quota 104. Nella bozza del ddl bilancio risulta invece confermata, anche per il 2024, quota 103, con 62 anni di età anagrafica e 41 di anzianità contributiva, seppur con il contestuale inserimento di vincoli e penalizzazioni di una certa rilevanza.  In questi termini, da una parte è stato confermato lo specifico incentivo economico che premia coloro che, nonostante la maturazione dei requisiti richiesti per Quota 103, decidano comunque di posticipare il pensionamento al raggiungimento dell’età anagrafica richiesta per la pensione di vecchiaia (67 anni).  Dall’altra parte, come forma di penalizzazione, è stato stabilito il ricalcolo dell’intero trattamento pensionistico con il sistema contributivo, anche per coloro che ricadano nel sistema misto, nonché un tetto massimo del trattamento fino al compimento dei 67 anni. Allo stesso tempo, è stato inasprito l’attuale regime delle finestre di uscita, che ritardano l’accesso al trattamento una volta raggiunti i requisiti richiesti.
 
Ulteriori novità
 
Se il capitolo della flessibilità in uscita, come ogni anno, risulta quello maggiormente discusso, non vanno tuttavia trascurate alcune ulteriori misure di particolare importanza sul tema pensioni previste dal ddl bilancio.
 
Tra le disposizioni di maggior rilievo, si segnala in particolare il doppio intervento relativo alla pensione di vecchiaia e alla pensione anticipata di cui all’art. 24 del d.l. n. 201/2011. Da una parte, infatti, viene abbassato il previgente limite-soglia di adeguatezza del trattamento necessario per accedere alla pensione di vecchiaia (da 1,5 volte al valore dell’assegno sociale). Dall’altra parte, invece, viene reso più difficile l’accesso alla pensione anticipata (raggiungibile con 64 anni di età e 20 di anzianità contributiva) prevista per i soggetti privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 la cui pensione è calcolata esclusivamente col sistema contributivo (i c.d. contributivi puri). In questo secondo caso, viene innalzato l’importo-soglia minimo mensile per accedere alla pensione e sono allo stesso tempo introdotti un tetto massimo all’assegno e una finestra mobile, che posticipa di 3 mesi la fruizione del trattamento.
 
In aggiunta a queste prime misure, andrà ad incidere direttamente sul sistema di regole attualmente in vigore, in caso di conferma, anche una specifica disposizione, “nascosta” tra le righe dell’art. 88 (dedicato alle “misure in materia di revisione della spesa”), che anticipa al 2025, rispetto al precedente termine del 2027, l’adeguamento alla speranza di vita dei requisiti richiesti per la pensione anticipata nel regime ordinario (ad oggi corrispondenti a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne).
 
Novità importanti riguardano poi il riscatto dei contributi, con il ripristino dell’istituto della c.d. pace contributiva, già sperimentato nel triennio 2019-2021 e che prevede, per i contributivi puri, la possibilità di riscatto agevolato dei vuoti contributivi nella misura massima di cinque anni.
 
Infine, si segnalano la riduzione degli assegni pensionistici più elevati (ossia quelli superiori a 10 volte il trattamento minimo INPS), per effetto della rideterminazione della percentuale di rivalutazione di tali trattamenti, che nel 2024 passerà dal 32 al 22%, nonché delle prestazioni maturate prima del 31 dicembre 1995 per gli assicurati presso le casse previdenziali CPDEL, CPS, CPI e CPUG, precedentemente anticipate dal Tesoro e poi passate all’INPS, in seguito all’incorporazione dell’INPDAP per il personale del pubblico impiego.
 
Prime considerazioni
 
Non risulta semplice esprimere un primo giudizio sulle previsioni pensionistiche del ddl bilancio, a fronte di una serie così ampia di misure e nell’attesa di vedere se, in sede parlamentare, emergeranno modifiche di rilievo. Da una prima lettura complessiva del testo risultano tuttavia già evidenti, sul piano generale, due punti fermi che caratterizzano le scelte del governo.
 
Da una parte, sul piano della flessibilità in uscita, anche per quest’anno l’impianto della riforma del 2011, costantemente al centro del dibattito politico, non è stato alla fine scardinato. Prosegue, piuttosto, la previsione di specifiche vie di fuga rivolte a platee sempre più circostanziate di lavoratrici e lavoratori, che possono uscire in via anticipata rispetto ai requisiti ordinari, accettando in cambio una penalizzazione del proprio trattamento pensionistico. Vie di fuga che, sul piano pratico, risultano ormai sempre più depotenziate (come nel caso di Opzione Donna, che nell’attuale versione può definirsi silenziosamente abrogata) oppure scoraggiate con meccanismi ad hoc, introdotti dalle stesse norme che le confermano. Particolarmente simbolica, in quest’ottica, risulta la disciplina di Quota 103, da un lato rinnovata all’anno successivo, dall’altro lato accompagnata, nella sua nuova versione, da penalizzazioni economiche e incentivi alla prosecuzione della carriera lavorativa. Si tratta di segnali di responsabilità da parte del governo, se si considerano i trend demografici attuali e la scarsità di risorse disponibili, che invitano a strategie prudenti per salvaguardare la sostenibilità del nostro sistema di welfare, anche per le generazioni future. Ci si chiede tuttavia perché, e con quali logiche, le poche risorse a disposizione continuino ad essere concentrate su misure-tampone in merito alle quali manca un accurato monitoraggio, che sarebbe utile anche a valutarne l’efficacia.
 
Dall’altra parte, restano ancora una volta in tribuna argomenti cruciali per i pensionati futuri, quali le forme pensionistiche di garanzia per i lavoratori più giovani e la previdenza complementare. Ancora una volta – e nonostante gli ambiziosi tavoli tecnici aperti anche per quest’anno, come ormai da “tradizione”, tra governo e sindacati – la partita principale si gioca esclusivamente sulle pensioni di oggi, lasciando in disparte le tematiche-chiave per le pensioni di domani.
 
Michele Dalla Sega
Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro
ADAPT, Università degli Studi di Siena
@Michele_ds95

Realismo, prudenza e grandi assenti: il capitolo pensioni del ddl bilancio