Qualche domanda sul personale – ADAPT incontra Mario Morgese, Director of Industrial Relations & HR RMS Italy di Coesia
| di Arianna Zanoni
Bollettino ADAPT 5 maggio 2025, n. 17
L’innovazione tecnologica, i cambiamenti demografici e sociali, insieme all’impatto del declino della popolazione attiva, pongono sfide sempre più complesse ai sistemi di relazioni industriali, chiamati a garantire la sostenibilità economica e sociale dei settori produttivi e delle singole realtà aziendali. In questo contesto, la contrattazione collettiva può rivelarsi uno strumento strategico, capace di accompagnare e orientare i cambiamenti, offrendo soluzioni concrete per una gestione del personale orientata al benessere dei dipendenti e alla produttività aziendale.
Nell’ambito della rubrica Qualche domanda sul “Personale” abbiamo intervistato Mario Morgese, Director of Industrial Relations & HR RMS Italy di Coesia, che ha raccontato di come l’azienda abbia sviluppato un sistema di relazioni sindacali maturo e inclusivo, capace di anticipare le trasformazioni del lavoro e costruire, attraverso il dialogo e la fiducia, un ambiente di lavoro capace di promuovere lo sviluppo aziendale e il benessere del personale.
A proposito di Coesia
Coesia è un gruppo industriale con sede a Bologna, composto da diverse aziende specializzate in soluzioni innovative per il packaging e l’automazione. A guidare il gruppo è Isabella Seràgnoli, azionista unica e Presidente, che con la sua visione imprenditoriale ha contribuito a trasformare Coesia in una realtà riconosciuta a livello globale.
L’attività di Coesia si sviluppa in numerosi settori, tra cui beni di consumo, healthcare e farmaceutico, tabacco, aerospaziale, automotive e ceramica. In ognuno di questi ambiti, l’azienda si distingue per la capacità di offrire soluzioni altamente personalizzate, frutto di una continua ricerca tecnologica e di una forte vocazione all’innovazione.
La missione del gruppo va oltre il semplice sviluppo economico: Coesia punta a generare valore anche sul piano sociale e ambientale, promuovendo una crescita sostenibile e responsabile. Questo approccio si riflette nell’organizzazione internazionale del gruppo, che oggi è presente in 34 Paesi con 88 stabilimenti produttivi e 20 entità legali, e conta oltre 8.000 collaboratori nel mondo.
Grazie alla sinergia tra le sue aziende e alla costante attenzione al futuro, Coesia si conferma un punto di riferimento nel panorama delle tecnologie industriali d’avanguardia.
Ci parli del vostro modello di relazioni industriali. Nella vostra realtà ad esempio si applica un contratto aziendale? In caso affermativo, quali sono gli elementi più rilevanti?
Coesia è un gruppo formato da 20 legal entity distribuite nel mondo. I contratti integrativi in Italia sono molto variegati e si adattano alle diverse tradizioni sindacali e normative locali. Mi soffermerò quindi sulla nostra sede centrale di Bologna, G.D, che conta circa 1.800 dipendenti e 100 anni di storia. Qui la tradizione sindacale è molto forte, tanto da aver creato un sistema di relazioni sindacali tra i più evoluti e capace di accompagnare lo sviluppo ed il successo dell’azienda nel tempo. Oggi abbiamo ben cinque sigle al nostro interno. Questo pluralismo sindacale è positivo e porta in dote anche aspetti negoziali molto articolati.
Gli strumenti che individuiamo all’interno dei contratti integrativi permettono una contrattazione aziendale che riesce a stabilire standard elevati per i diritti dei lavoratori, spesso anticipando tendenze nazionali. Basti pensare che, quando sono arrivato in G.D, ho trovato accordi degli anni ’80 e ’90 che già legavano le mansioni all’interno dell’azienda a declaratorie che facevano riferimento a autonomia, polivalenza e responsabilità, anticipando quelli che poi sono stati i cambiamenti del CCNL del 2021.
A questo si aggiunge un ampio sistema di permessi che consente ai dipendenti di beneficiare di assistenza per familiari, diritti di studio e integrazioni ai congedi parentali. Offriamo anche Smart Working e flessibilità oraria fino a tre ore al giorno, utile al supporto alla genitorialità e ad una migliore gestione del tempo libero, strumenti questi, che sono stati introdotti quasi dieci anni fa.
Nel 2023 invece sono stati istituiti tre premi basati sulla partecipazione per redistribuire a tutta la popolazione aziendale più coinvolta nel processo di trasformazione, i vantaggi derivanti da attività di ottimizzazione, con lo scopo di garantire al cliente i più alti standard di servizio in termini di assistenza, oltre che di qualità e tempistica di realizzazione.
Gli effetti della partecipazione sulla contrattazione di G.D sono visibili anche nell’innovazione introdotta nel mondo dei tecnici trasfertisti, per migliorare i loro livelli di work life balance e garantire un impegno in trasferta sostenibile e a misura delle loro esigenze personali. Infatti dal 2024 al personale trasfertista è stata data facoltà di poter accedere a pacchetti di trasferte da 30, 60 e 90 giorni l’anno minimo garantito. In altre parole il nostro personale trasfertista, a fronte della sua disponibilità a garantire presidio di medio lungo periodo in trasferta, può definire entro la fine dell’anno il numero di trasferte minimo da mettere a disposizione per l’anno successivo, definendo anche dei periodi di indisponibilità per la cura dei propri interessi personali e familiari e nei quali l’azienda si impegna a non inviarlo in trasferta. Ma a beneficiare di questo sistema non sono solo i lavoratori ma anche l’Azienda ed i clienti, perché l’azienda sta beneficiando di una migliorata pianificazione delle trasferte oltre che di una consistente riduzione del turnover nei cantieri di lavoro, con il risultato di offrire al cliente, durante le attività di installazione, una riduzione del lead time e all’azienda un sistema più efficace ed efficiente.
Come nasce questa idea?
L’idea è nata dal confronto con i sindacati e cercando di capire ed interpretare il significato del disagio legato alla trasferta. Allo stesso modo è stato importante interpretare le esigenze dell’azienda che aveva bisogno di competenze stabili nei cantieri per determinati periodi di tempo. Abbiamo provato a cambiare paradigma e permettere al lavoratore di scegliere invece di invitare le persone ad andare in trasferta in determinati periodi. Insieme al sindacato l’idea è stata elaborata fino a diventare qualcosa di strutturato, che ad oggi sta funzionando molto bene. Adesso questo sistema va gestito e calibrato insieme al sindacato che resta molto sensibile al tema, ma quando un accordo nasce da uno schema di partecipazione, tutti hanno interesse a tutelarlo e a migliorarlo, continuando a perseguire l’interesse comune.
Ritiene quindi che i modelli partecipativi, di cui si discute molto, possano effettivamente essere di supporto all’innovazione organizzativa? Quale dovrebbe essere il ruolo del sindacato in questo contesto?
I modelli partecipativi di cui parliamo oggi sono nati negli anni ’50 in Germania per favorire la cosiddetta cogestione, ossia la partecipazione dei lavoratori ai risultati e ai profitti. Parlare di questo modello oggi non è quindi innovativo, ma resta comunque uno strumento importante attraverso cui promuovere il coinvolgimento attivo alla partecipazione dei processi decisionali. Il coinvolgimento genera impegno e fiducia, che sono, a loro volta, il naturale carburante attraverso il quale alimentare e per stimolare la creatività. A mio avviso questo assunto è alla base di qualsiasi attività umana centrata sulla collaborazione, per questo motivo i modelli di partecipazione nelle relazioni industriali sono strumenti che promuovono l’innovazione.
Se la cultura delle relazioni industriali è basata su solide relazioni di fiducia e sulla capacità di leggere le dinamiche industriali con una visione comune, la negoziazione evolve in modelli integrativi che portano a soluzioni creative. Lo strumento di partecipazione permette infatti di disporre di un’altra via attraverso cui sviluppare innovazione ed è alla base degli elementi per generare valore in attività negoziali tra azienda e sindacato. Questo consente di trovare soluzioni vantaggiose per tutte le parti coinvolte, generando valore e creando dialogo costruttivo, anziché competizione.
Infine, quando gli accordi sono basati sulla partecipazione, risultano più forti nel lungo periodo. Permettono di evitare discussioni sull’esigibilità, poiché tutte le parti coinvolte si impegnano a tutelare l’accordo.
Lo strumento del welfare aziendale viene spesso visto come una mera erogazione monetaria, nonostante possa essere un valido strumento di accompagnamento delle trasformazioni in corso nelle imprese. Come lo intende lei?
In effetti il rischio di considerare il welfare aziendale come mirato al breve e soprattutto legato ad erogazioni economiche è alto, anche perché è un effetto indirettamente o direttamente indotto dai continui cambiamenti delle legislazioni in materia che il più delle volte rendono difficili per l’azienda le programmazioni di strumenti di welfare strutturali e di lungo periodo.
Coesia, anche su questo tema, può considerarsi precursore nell’utilizzo di strumenti di welfare volti ad accompagnare lo sviluppo dell’azienda in armonia con le mutate esigenze del mondo del lavoro, anticipando le tendenze delle nuove generazioni, sempre più sensibili all’ampliamento del livello dei servizi legati al welfare per la gestione della loro vita lavorativa e non.
Pensiamo alla messa a disposizione dei nostri collaboratori da oltre 10 anni del servizio del nido e scuola per l’infanzia, per non parlare del centro wellness nel quale è possibile avvalersi di corsi oltre che di istruttori e strumenti di nuova generazione.
Fino ad arrivare al ricco ed articolato piano di assistenza sanitaria per i nostri collaboratori e i loro familiari, basati non solo sul rimborso delle spese mediche legato alle prestazioni sanitarie, ma altresì sul piano di prevenzione ad ampio spettro, customizzato sul gender e sull’età dei nostri collaboratori e dei loro partner.
Rientra nelle iniziative di welfare anche l’ampia flessibilità oraria che arriva fino a 3 ore al giorno non solo per le aree impiegatizie ma anche per le aree più vicine ai processi di trasformazione del prodotto.
Particolare attenzione viene posta anche ai progetti di sostenibilità ambientale che hanno visto l’introduzione di sistemi di incentivazione della mobilità sostenibile, basati sulla messa a disposizione degli abbonamenti annuali per la fruizione dei mezzi pubblici (Tper), oltre che sulla premialità per chi predilige l’utilizzo di modalità di gestione green del viaggio casa-lavoro, ovvero bici, percorsi a piedi o mezzi pubblici.
Il fatto che Coesia sia precursore di questo evoluto sistema di welfare è la prova che tale politica non rientra in una strategia di attraction per le nuove generazioni ma è nel proprio DNA, mettere a disposizione dei collaboratori e del territorio, una serie di servizi volti alla tutela del benessere dell’intero nucleo familiare, come volano per la creazione di un ambiente di lavoro il più possibile inclusivo e nel quale trovare la propria massima forma di espressione come persone, professionisti e collettività.
La formazione dei dipendenti è una forte leva di attraction e retention. Come Coesia risponde ai fabbisogni formativi dei propri dipendenti?
La formazione per noi è un investimento fondamentale sulle persone, che sono il nostro asset principale. Non la vediamo come uno strumento per attrarre talenti, ma come una necessità per garantire la sopravvivenza e il successo a lungo termine dell’azienda.
Abbiamo un centro di competenza che sviluppa piani di formazione trasversali per tutte le nostre società, e una piattaforma di e-learning che consente ai dipendenti di costruire il proprio piano formativo. Ci concentriamo molto anche sulla gestione delle soft skills, essenziali per il successo professionale.
La GenZ sta mostrando un approccio nuovo rispetto al lavoro. È una tendenza che riscontrate anche in Coesia? Quali strumenti possono essere implementati per favorire l’incontro tra i bisogni aziendali e quelli dei giovani?
Con 25 anni di esperienza lavorativa, vedo sicuramente delle differenze nelle sensibilità delle nuove generazioni. I giovani sono molto più attenti all’equilibrio tra vita privata e lavorativa, alla sostenibilità e alla creazione di un ambiente di lavoro inclusivo. Cercano anche un “senso di scopo” e vogliono creare esperienze di comunità all’interno delle aziende. Vedo anche esigenza di avere percorsi di carriera più chiari e definiti e anche più rapidi, questo dovuto anche all’accelerazione della nostra vita, non solo lavorativa. La difficoltà di tutte le aziende è riuscire a garantire la convivenza in azienda di queste sensibilità sapendo bilanciare strumenti che le intercettino con una stella polare: cerchiamo di valorizzare il più possibile l’esperienza in azienda perché vediamo che lo strumento della contaminazione tra le diverse generazioni e sensibilità è la prima ricetta da mettere in campo per far sì che nessuno si senta lasciato indietro. Più si è in grado di coglierle più si è in grado dimettere in campo politiche di risorse umane virtuose.
Per rispondere a queste esigenze, abbiamo creato il programma “Young Professional” per identificare e sviluppare talenti, dando la possibilità di mobilità nazionale e internazionale. Abbiamo anche inserito l’apprendistato professionalizzante nel nostro contratto integrativo, per favorire la formazione e lo sviluppo delle nuove generazioni.
È noto che esiste un mismatch tra curricula e competenze professionali. Quali modalità potrebbero essere sperimentate per favorire la collaborazione tra sistemi formativi e imprese nel colmare questo gap? Tirocini curriculari, extracurriculari e apprendistato sono a suo avviso una soluzione utile?
Collaboriamo con le università italiane su progetti di ricerca congiunta e borse di studio, che sono molto utili per sviluppare soluzioni pratiche. Questo tipo di collaborazione tra università e aziende aiuta a colmare il gap tra teoria e pratica.
In questo senso anche i tirocini curriculari sono fondamentali perché permettono ai giovani di apprendere le dinamiche relazionali e gerarchiche che caratterizzano l’esperienza lavorativa. Aiutano gli studenti a comprendere come funziona il mondo del lavoro e come ci si inserisce all’interno di un’organizzazione.
Per quanto riguarda il tirocinio extracurriculare, lo reputo complementare all’apprendistato, poiché permette alle aziende di valutare i candidati prima di offrirgli un contratto a tempo indeterminato. Quando l’apprendistato è utilizzato come contratto a tempo indeterminato con un percorso formativo e di tutoraggio strutturato, il tirocinio diventa un momento cruciale per la valutazione reciproca, facilitando il percorso di crescita professionale per entrambe le parti.
PhD Candidate ADAPT – Università di Siena
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