Politically (in)correct – Marco Biagi vent’anni dopo

Bollettino ADAPT 14 marzo 2022, n. 10

 

Vent’anni sono tanti nella vita delle persone e nella realtà politica, economica e sociale di un Paese. L’ultima volta che mia moglie ed io trascorremmo una intera serata con Marco e la sua famiglia, nel buen retiro di Pianoro, era il Ferragosto del 2001. Il figlio più grande, Francesco, era un ragazzino che io, scherzando, chiamavo “il giornalista” perché nel liceo che frequentava (lo stesso in cui il padre e la madre erano stati compagni di classe e si erano giurati amore per tutta la vita) aveva fondato e curava la pubblicazione di un foglio pomposamente definito “giornale”. Ora è padre di due figlie. Il più piccolo Lorenzo era un bambino. C’è una foto che ci ritrae impegnati a giocare su di un mini-calciobalilla. Ora ha più di trent’anni e va in giro per l’Italia a ricordare la figura di Marco, perché la sua memoria non venga travolta dall’oblio.

 

Gli allievi di Biagi, guidati da Michele Tiraboschi, hanno dato vita ad una importante istituzione culturale (Adapt): un centro di studio, di formazione, di promozione di giovani talenti. La moglie Marina è l’animatrice della Fondazione intestata a Marco, a Modena, la città in cui insegnava nella Facoltà di Economia. Che cosa si può aggiungere di più dopo ciò che, in tanti, abbiamo detto e scritto anno dopo anno dal 19 marzo 2002 ad oggi? Il tempo è passato per tutti. Come gli amici, anche gli avversari degli ultimi mesi della vita di Marco sono invecchiati, usciti di scena, alcuni anche deceduti. Nel campo del diritto del lavoro si sono presentati problemi che quando fu redatto il Libro bianco e formulata la legge Biagi non erano ancora all’orizzonte, almeno con la forza con la quale si sono manifestati negli ultimi anni. Pensiamo a quella che è chiamata la quarta rivoluzione industriale, con l’ingresso massiccio di nuove tecnologie, che cambieranno l’organizzazione del lavoro e i contenuti delle professioni. Uno scenario nei confronti del quale il sindacato ancora balbetta, limitandosi ad evocazioni che richiamano l’apertura biblica del “settimo sigillo” e considerando le innovazioni non come una opportunità ma come una minaccia.

 

Marco non era un profeta, ma possedeva la chiave usando la quale i protagonisti del mondo del lavoro e delle relazioni industriali sarebbero stati in grado di aprire nuove porte, di sciogliere nodi sconosciuti. Il suo era una sorta di algoritmo culturale, un approccio di metodo: a) il benchmarking: nella convinzione che ci fossero più cose tra il cielo e la terra che in tutte le ideologie e che si potesse sempre imparare dagli altri; b) l’apertura mentale che dovrebbe indurre a comprendere e ad assecondare i processi e non a demonizzarli. Nella consapevolezza che il compito del giurista è quello di portare una regola appropriata su quanto emerge dalle dinamiche del mercato del lavoro e non pretendere che sia la realtà ad adattarsi a regole pensate per situazioni appartenenti a processi produttivi di altre stagioni.

 

La grande intuizione di Biagi fu quella che lo rese straniero in patria, all’interno dell’Accademia e del dibattito politico, persino nell’ambito di quella sinistra politica e sociale in cui era cresciuto. In sostanza, l’aver compreso che il lavoro non poteva essere ricondotto ad un medesimo modello e che quei rapporti che si stavano sviluppando al di fuori dello standard accettato non costituivano una violazione di un ordine naturale superiore; non erano da bandire dall’ordinamento giuridico (attenzione: è quanto ha chiesto Maurizio Landini a conclusione della Assemblea organizzativa della Cgil, poche settimane or sono), bensì  rapporti da regolare con la norma del diritto e da tutelare  con il riconoscimento dei diritti. Sono ancora valide le considerazioni che, in proposito, erano contenute nel Libro Bianco: Il lavoro atipico non sempre è sinonimo di precarietà. È sufficiente osservare alcune prime evidenze empiriche. Nell’impiego a tempo ridotto, cresciuto dal 6,3 all’8,4% dell’occupazione complessiva tra 1995 e 2000, la componente volontaria prevale largamente, specie tra le donne e nel Centro-Nord. Il dato meno favorevole del Mezzogiorno evidenzia come la più diffusa precarietà dell’occupazione nell’area, che interessa anche il part time, sia da correlare al contesto economico generale meno favorevole e non tanto a specifici problemi di tutela e regolamentazione di questo particolare rapporto di lavoro. Gli sviluppi di questi ultimi anni testimoniano, dunque, che il marcato sviluppo delle tipologie atipiche di lavoro – proseguiva – non rappresenta un evento transitorio né appare destinato ad esaurirsi poiché copre solamente un segmento del mercato del lavoro.

 

Anche per il lavoro a termine, pur denotandosi una probabilità di occupazione nei successivi dodici mesi significativamente inferiore rispetto a quella degli occupati a tempo indeterminato, il trend nel tempo è positivo, con una riduzione delle differenze esistenti. È peraltro possibile che, ove alla maggiore flessibilità in entrata non dovesse corrispondere un complessivo riequilibrio della regolamentazione del mercato del lavoro, con il passaggio da una tutela centrata sul rapporto di lavoro in essere ad un regime di tutele garantite soprattutto nel mercato, i pericoli di segmentazione nel mercato del lavoro finirebbero con l’aggravarsi. Per questo motivo – concludeva il testo – il Governo sollecita tutte le parti sociali a segnalare le tendenze percepite in questo senso e a valutare l’impatto delle asimmetrie tra flessibilità in entrata e rigidità in uscita. Tali asimmetrie possono nascondere anche una pericolosa frattura sociale tra generazioni, ove è chiaro che i segmenti più giovani trovano accesso al mercato del lavoro con contratti flessibili mentre la popolazione meno giovane e dinamica rimane caratterizzata da contratti tradizionali da lavoro dipendente’’.

 

A leggere questo brano, a me vien fatto di pensare ai 500 giorni di blocco dei licenziamenti durante la pandemia. I sindacati che lo hanno preteso non si sono accorti di aver impedito, forse, qualche centinaio di migliaia di licenziamenti, ma di aver perduto un milione di posti di lavoro in gran parte per mancate assunzioni proprio perché “i segmenti più giovani trovano accesso al mercato del lavoro con contratti flessibili”.

 

In questi ultimi anni mi sono convinto che il mio amico Marco non sia caduto davanti a casa in via Valdonica ad opera dell’ultima raffica del “brigatismo rosso”. È stato la prima vittima della stagione dell’odio che ha rischiato di prendere il sopravvento. A pensarci bene è stato anche vittima di quella persecuzione tecnologica che ha soppianto i ciclostilati della BR e, in seguito, è dilagata nel web e nei social. Certo l’odio è un animale feroce sempre alla ricerca di nuove vittime. In questi vent’anni ha trovato modo di concentrarsi su altri obiettivi: la riforma delle pensioni a firma di Elsa Fornero, il jobs act del governo Renzi.  Poi è stata la volta del green pass e via andare delirando. In questo percorso di ordinaria follia non hanno mancato all’appuntamento – ancorché più anziani e canuti – i soliti noti.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

Politically (in)correct – Marco Biagi vent’anni dopo