Politically (in)correct – Lo sciopero nel pubblico impiego del 9 dicembre: controproducente e inutile

Bollettino ADAPT 30 novembre 2020, n. 44

 

Sta suscitando critiche e perplessità lo sciopero proclamato per il 9 dicembre nei settori del pubblico impiego. Non si tratta della solita astensione dal lavoro (ma parleremo anche di questo problema) promossa dai c.d. sindacati di base, il venerdì, con rivendicazioni fantasiose ed eccentriche. A scendere in campo, in questo caso, saranno le federazioni di categoria del sindacalismo confederale. I motivi dello sciopero (ci abbeveriamo direttamente alla fonte per evitare forzature) vengono ribaditi in una recente intervista di Nunzia Penelope su Il Diario del Lavoro alla segretaria generale della Funzione Pubblica della Cgil, Serena Sorrentino. “Le nostre richieste sono di tre tipi: in testa ci sono le assunzioni nella pubblica amministrazione, il secondo punto è la sicurezza e il terzo, solo il terzo, il contratto. Vogliamo capire se il governo ritiene che quello pubblico sia un settore strategico per il paese, e quindi sceglie di investirci, o se pensa che sia residuale, e quindi non cerca nemmeno di trovare una soluzione ai problemi che noi stiamo ponendo. Ma in questo caso sarebbe una scelta sbagliata, perché a questo è legato anche il futuro del paese”. In siffatta dichiarazione il sottoscritto trova conferma di una convinzione maturata in tanti anni di esperienza sindacale (prevalentemente nei settori industriali privati, anche se a quei tempi c’erano molte aziende a partecipazione statale).

 

Quando i sindacati metalmeccanici negoziano con la Federmeccanica, se non accoglie le loro rivendicazioni, non accusano la controparte di perseguire la rovina dell’industria. Si limitano a dire – come accade in queste ore – che l’offerta di un aumento di 65 euro rappresenta un passo avanti, ma tuttora insufficiente, nella lunga trattativa. Le federazioni del pubblico impiego tirano sempre in ballo le riforme. Se il governo propone un aumento retributivo considerato inadeguato, ciò significa, per esempio nella scuola, che si vuole smantellare la scuola pubblica a favore di quella privata. Sotto sotto questo retropensiero lo si avverte anche nell’intervista di Sorrentino: riconoscere maggiori aumenti salariali diventa d’acchito un investimento nel settore strategico della pubblica amministrazione. Che lo sciopero in questa fase sia inopportuno è un’opinione largamente diffusa persino all’interno dei sindacati. Lo ammette con franchezza la segretaria generale della FP-Cgil. Alla domanda su come stanno reagendo i lavoratori di fronte alla prospettiva di questa mobilitazione, Serena Sorrentino risponde: “Alcuni concordano, altri sono perplessi, non sul merito ma sul contesto: rispecchiano il sentimento del paese. Qualcuno dice ‘ma se ci attaccano cosi, forse non hanno capito le nostre ragioni’. Ecco, dobbiamo far capire le nostre ragioni’’. E noi ci sforziamo di capire, anche perché, in una democrazia, si deve usare tanta cautela in materia di diritto di sciopero, senza i toni sbrigativi di Tito Boeri e Roberto Perotti (“i sindacati hanno scelto di far odiare i dipendenti pubblici dagli italiani”) apparsi su La Repubblica.

 

Negli ultimi anni è cresciuto nel Paese un metro di misura inaccettabile dettato da un sentimento diffuso di invidia sociale contrabbandato come lotta ai privilegi, in nome del quale si nega persino il diritto di far valere e tutelare, nelle sedi previste, i propri diritti (chiediamo scusa del bisticcio di parole) a chi versa in condizioni migliori di altri. Certo, in questi mesi, i dipendenti pubblici hanno lavorato in condizioni di smart working “fai da te”, hanno riscosso la regolare retribuzione senza preoccuparsi della perdita del posto di lavoro. Ma tutto ciò è stato la conseguenza delle politiche di lockdown adottate dal governo, le quali hanno creato differenti trattamenti anche nei comparti della PA e degli stessi pubblici dipendenti perché ad alcuni settori – come la sanità, le forze dell’ordine e quant’altro – sono stati richiesti enormi sacrifici. Che senso ha avuto, però, la serrata degli Uffici giudiziari, con gravissime ripercussioni sul versante della tutela dei diritti? O la chiusura altalenante delle scuole (non raccontiamoci delle balle: la DAD è stata attuata solo laddove la dirigenza e il personale si sono organizzati volontariamente spesso con la contrarietà dei sindacati). Nell’industria e nei settori privati i sindacati e i datori di lavoro hanno concordato dei protocolli sulla sicurezza che hanno consentito di riprendere l’attività benché il rischio zero non esista (si registrano più di 66mila infortuni sul lavoro, da Covid). Così è accaduto anche nei settori pubblici che non sono stati chiusi d’autorità; ma non si comprendono i motivi per cui non si sia proceduto così, ovunque nella PA.

 

A conclusione di questi ragionamenti rimane opinione di chi scrive che lo sciopero del 9 dicembre sia un grave errore, proprio perché non s’intravvede un’adeguata motivazione sindacale che possa giustificare e controbilanciare l’impatto negativo di carattere politico.  È sufficiente continuare a leggere l’intervista della segretaria Sorrentino: “il governo ha tradotto l’aumento percentuale previsto in modo non corretto. Ha fatto una media del pollo: l’aumento del 4,07%, pari a 107 euro medi mensili dichiarati dal governo, è frutto della media sulle retribuzioni di dirigenza e di comparto. Ma quella appunto è la media: che comprende lo stipendio del magistrato e del poliziotto, dello statale e dell’infermiere, del dirigente e dell’educatore. Il risultato è che in questo modo il peso dell’aumento contrattuale dei dirigenti ha una forbice molto ampia rispetto a quello che realmente finisce nelle buste paga dei dipendenti”. D’accordo: ma in quale negoziato si parte con un importo non banale messo sul tavolo dalla controparte? I 400 milioni sono pochi (precisiamo: la copertura per medici e infermieri è in un’altra posta di bilancio)? Ma una sindacalista in carriera dovrebbe sapere che qualunque ammontare di risorse stanziato per dei rinnovi contrattuali diventa automaticamente un risultato acquisito da cui non si torna più indietro. Poi, in una situazione come l’attuale, una certa moderazione salariale potrebbe fare da scambio con le maggiori sicurezze di cui si avvalgono i settori del pubblico impiego. Ma il commento più azzeccato l’ha fatto Gaetano Sateriale, ex sindacalista Cgil di lungo corso e fine intellettuale, quando ha scritto con riferimento allo sciopero del 9 dicembre sempre su Il Diario del Lavoro: “C’è un vecchio modo di dire nel sindacato. Quand’è che gli scioperi non riescono bene? Sono due le possibili risposte. Quando i lavoratori pensano che sia uno sciopero controproducente per i loro obbiettivi, oppure quando i lavoratori pensano che quel che chiede il sindacato arriverà anche senza lo sciopero”. Nel nostro caso, se l’alternativa più probabile è la seconda, l’astensione generale del lavoro del pubblico impiego, proprio perché inutile (ai fini dell’accoglimento delle rivendicazioni), diventa una sorta di accanimento terapeutico su di un Paese sfibrato.

 

A proposito di (ir)responsabilità è il caso di segnalare che il 25 novembre scorso si è svolto uno sciopero nazionale, proclamato dall’USI e dalle USB, nei settori scuola, trasporti e sanità. Meritano un accenno le motivazioni: “la prosecuzione delle iniziative di difesa collettiva, migliori condizioni di lavoro, salariali, la dignità sui posti di lavoro, la salute e la sanità, istruzione/formazione, trasporti pubblici e non sottoposti alle regole del mercato degli appalti, alle esternalizzazioni con gestioni penalizzanti, privatistiche”. Come si può vedere si sciopera anche sollevando il polverone dei processi alle eventuali intenzioni.

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

 

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