Politically (in)correct – Il “Rashomon” delle pensioni

Bollettino ADAPT 2 novembre 2021, n. 38
 
“Rashomon” è un film giapponese del 1950 del grande regista Akira Kurasawa che l’anno dopo fu premiato con il Leone d’oro al Festival di Venezia. Vero e proprio capolavoro – l’interprete principale è l’attore Tashiro Mifune – ha avuto molti remake anche recenti al cinema e in Tv. Il film racconta la storia di tre persone (un boscaiolo, un monaco e un vagabondo) che assistono a un fatto di sangue, del quale, davanti a un giudice, forniscono testimonianze differenti sia pure tutte verosimili. Nei giorni scorsi siamo stati spettatori di un “Rashomon delle pensioni” che ha agitato lo scenario politico durante la predisposizione e la presentazione da parte del governo del ddl di bilancio 2022. C’era da trovare una soluzione per il post-quota 100, la misura che ha rappresentato una intera stagione del dibattito elettorale, politico, mediatico, della quale era già previsto la scadenza alla fine dell’anno che ormai volge al termine.
 
Trattandosi di un provvedimento temporaneo e sperimentale (il tempo era ormai terminato e la sperimentazione aveva avuto un esito assai scadente) quota 100 non aveva alcuna possibilità di una proroga, ma era pur sempre una “bandiera” della Lega che attualmente è una importante forza della maggioranza di unità nazionale. Matteo Salvini aveva fatto – in difesa di quota 100 (una forma di pensionamento anticipato in presenza di due requisiti distinti e concorrenti: 62 anni di età e 38 di versamenti contributivi) – delle affermazioni minacciose al limite dell’insurrezione popolare (barricate, Tir che bloccano le autostrade et similia). Poi anche in quest’occasione il leader del Carroccio si è avvalso della tattica che ha usato da quando è in maggioranza anche in altre circostanze: quella di trasformare le mezze sconfitte in mezze vittorie, attribuendosi il merito delle mediazioni come se il governo, nel prendere certe decisioni, avesse accolto le richieste della Lega. Il giochino questa volta poteva addirittura riuscire meglio, proprio perché Mario Draghi aveva affermato senza giri di parole la sua contrarietà a quota 100 e l’esigenza di tornare al più presto (salvo aggiustare un po’ lo “scalone” da 62 a 67 anni a parità di 38 anni di contributi) alla “normalità” ovvero alla disciplina prevista dalla riforma Fornero nel 2011. Pertanto essendo l’offensiva avversaria così determinata e potente Salvini si è sentito abilitato a presentarsi come il protagonista di un’indomita ed efficace difesa.
 
Riassumiamo in breve gli esiti del confronto per come sono stati recepiti nel disegno di legge di bilancio. Dal 1° gennaio 2022 (fino al 31 dicembre) “I requisiti di età anagrafica e di anzianità contributiva – recita la norma – sono determinati in 64 anni di età anagrafica e 38 anni di anzianità contributiva per i soggetti che maturano i requisiti nell’anno 2022. Il diritto conseguito entro il 31 dicembre 2022 può essere esercitato anche successivamente”. Questo è una sorta di 38° Parallelo su cui si è stipulato l’armistizio. E i testimoni (per ora solo due) del nostro piccolo Rashomon (per fortuna incruento) sono in grado di fornire versioni diverse, ma entrambe verosimili. Draghi può dire a Bruxelles di aver evitato una proroga di quota 100 alla scadenza e nello stesso tempo di aver innalzato di due anni il requisito anagrafico. Del resto, rebus sic stantibus, il passo successivo senza modifiche sarebbe quello che conduce alla fine dello scalone visto che, ad avviso di Draghi, la riforma delle pensioni è già stata fatta e tale rimane. Nessuno però ha osservato nel bailamme del dibattito che se si socchiude il portone principale (quota 100) resta spalancata la porta che dà sul retro (il pensionamento anticipato ordinario a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne fino a tutto il 2026). Non ci vuole molta fantasia per immaginare, anche sulla base dell’esperienza degli ultimi due anni, che diverrà proprio quest’ultima indicata la via d’uscita più battuta. Perché saranno tanti – come è già avvenuto – i lavoratori che potranno avvalersi dei requisiti previsti ben prima di aver raggiunto i 64 anni di età (già lo facevano quando il co-requisito di quota 100 era di 62 anni). “In generale, – ha certificato la Corte dei Conti nel RCFP 2021 – l’anzianità contributiva con cui i lavoratori si sono presentati al pensionamento (avvalendosi di quota 100, ndr) è elevata, oltre il 65 per cento degli interessati vanta 40-41 anni di servizio; mentre “l’adesione di “quotacentisti puri” (con 62 anni e 38 anni di contributi) è limitata nel 9 per cento del totale; contenuta nel 16 per cento la quota di soggetti con anzianità contributiva minima di 38 anni”. Ai fini dell’uscita, quindi, è più importante che sia rimasto fermo il requisito contributivo piuttosto che l’incremento dell’età anagrafica, perché chi ha cominciato a lavorare presto è in grado di avvalersi del pensionamento anticipato ordinario bloccato fino al 2026; mentre coloro che sono entrati più tardi nel mercato del lavoro incontrano più difficoltà a maturare elevate anzianità di servizio.
 
Dal canto suo, Matteo Salvini, il secondo testimone, può vantarsi, dal suo punto di vista, di aver impedito, almeno per un anno, che, scaduta quota 100, si andasse in pensione già dal 1° gennaio prossimo a 67 anni (per quanti non potessero far valere i requisiti per il trattamento anticipato ordinario a prescindere dall’età). Poi non sfugge a coloro che affrontano i problemi con realismo che, trascorso 2022, il passo per arrivare alla fine dello scalone potrebbe risultare più lungo della gamba (comunque tre anni invece di cinque). E uno dei piedi potrebbe oscillare nel vuoto.
 
In sostanza, l’accordo intervenuto nella maggioranza ha davanti a sé una durata che, al massimo, giungerà alla fine della legislatura (un evento che potrebbe determinarsi persino dopo l’elezione del presidente della Repubblica). Poi è previsto un robusto ampliamento del pacchetto Ape sociale (anticipo del pensionamento, nei casi previsti, con 63 anni di età e 36 o 30 di versamenti), una via d’uscita fino ad ora trascurata ma che – con le nuove regole – potrebbe divenire conveniente soprattutto nei casi di effettivo bisogno. Come è capitato con opzione donna (rinnovata con un anno in più) che, inserita nella riforma Maroni nel 2004, rimase ignorata per quasi un decennio, fino a quando non divenne vantaggiosa – per un numero limitato di utenti che potevano far valere i requisiti previsti – rispetto al notevole incremento apportato all’età di vecchiaia delle lavoratrici, in un percorso di parificazione con quella dei lavoratori. A questo Rashomon pensionistico non prende parte un altro testimone dell’evento: Maurizio Landini, ormai primus inter pares dei vertici confederali. La sua versione non ha nulla da spartire con i fatti. Al giudice il leader della Cgil racconta che in quel momento stava sognando di un sistema pensionistico di sua invenzione, dove si moltiplicavano i pani e i pesci e tutti andavano in quiescenza a loro discrezione.
 
Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT
 

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