Politically (in)correct – Green pass. Governo, facci sognare!

Bollettino ADAPT 20 settembre 2021, n. 32

 

Tanto tuonò che piovve.  Dopo settimane di  dibattiti infuocati sugli schermi televisivi, polemiche, proteste, manifestazioni  contro il  green pass (è uno strumento innovativo ad assicurare il massimo possibile di riaperture in regime di sicurezza oppure un’azione mirata a violentare le libertà individuali dei cittadini col pretesto di una crisi sanitaria scatenata a bella posta per motivi di profitto ed obiettivi  di potere?) il governo  ha tirato diritto ed ha implementato  in senso estensivo il decreto di luglio per quanto riguarda i requisiti necessari ad accedere in luoghi di socialità, includendo dal 15 ottobre in poi tutto il mondo del lavoro, pubblico e privato. Tutto ciò senza cadere nella trappola dell’obbligatorietà sancita per legge riguardante tutti i cittadini, che, inventata dai sindacati per motivi incomprensibili, era stata assunta dai settori moderati dei no vax, che, dotati di un minimo di esperienza tattica, si erano resi conto che l’imbarcarsi in un’operazione siffatta avrebbe comportato una navigazione ancora più travagliata di quella del decreto Zan.

 

Ci sono tuttavia nel testo del decreto sull’estensione del green pass, alcune disposizioni corrette che imboccano la strada giusta, ma che ad un certo punto rimangono sospese per aria senza che si intravveda l’esito sul piano giuridico formale. Il loro ambito di applicazione inizia il 15 ottobre e termina il 31 dicembre insieme con la delibera sullo stato di emergenza.  Esaminiamo ciò che stabiliscono le norme. Al personale delle pubbliche amministrazioni (l’elenco è preciso e comprende anche quello delle autorità oltre ai collaboratori esterni) <<è fatto obbligo di possedere e di esibire, su richiesta, la certificazione verde COVID-19>>. Ovviamente sono previste le esenzioni nel caso, provato, di motivi di salute e quant’altro. Come deve regolarsi il datore di lavoro (in questo caso pubblico) con i dipendenti “renitenti” senza alcun motivo ritenuto valido? Probabilmente sarebbe il caso di sottoporli a quella perizia psichiatrica che il tribunale di Milano aveva predisposto per Silvio Berlusconi, ma non corriamo troppo. Che cosa succede allora? “Il personale (pubblico, ndr), nel caso in cui comunichi di non essere in possesso della certificazione verde COVID-19 o qualora risulti privo della predetta certificazione al momento dell’accesso al luogo di lavoro, è considerato assente ingiustificato e, a decorrere dal quinto giorno di assenza, il rapporto di lavoro è sospeso fino alla presentazione della predetta certificazione e, comunque non oltre il 31 dicembre 2021, e, in ogni caso, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Nei casi di assenza ingiustificata e di sospensione (…)  non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato. La sospensione di cui primo periodo è disposta dal datore di lavoro o dal soggetto da lui delegato”.

 

La ratio della norma è chiara: l’obiettivo è quello di indurre il lavoratore “renitente” a cambiare idea entro il limite per ora fissato al 31 dicembre. Il meccanismo è lo stesso previsto per il personale scolastico: a decorrere dal quinto giorno di assenza (non viene indicato se consecutiva o meno) il lavoratore entra in un regime di sospensione senza emolumenti. Nel settore privato la norma è differente: <<a chiunque svolge una attività lavorativa nel settore privato è fatto obbligo, ai fini dell’accesso nei luoghi in cui la predetta attività è svolta, di possedere e di esibire su richiesta la certificazione verde COVID-19>>. E prosegue ancora: “I lavoratori (…), nel caso in cui comunichino di non essere in possesso della certificazione verde COVID-19 o qualora risultino privi della predetta certificazione al momento dell’accesso al luogo di lavoro, sono sospesi dalla prestazione lavorativa, al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro, e, in ogni caso, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. Per il periodo di sospensione non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato”.

 

Sembrerebbe, così, che nel caso del lavoro privato non sia prevista l’equiparazione all’assenza ingiustificata della mancata presentazione della certificazione; la sospensione senza assegni verrebbe disposta subito. Questa differenza non si spiega, a meno che il governo, nell’espungere il caso dei cinque giorni di assenza ingiustificata continuativa, si sia ricordato che di solito questa mancanza è sanzionata nella contrattazione collettiva con il licenziamento per giustificato motivo. Con il rischio di sanzionare la medesima mancanza in maniera diversa: il licenziamento per chi si rende uccel di bosco per motivi suoi e la sospensione, in continuità del rapporto di lavoro per chi non vuole vaccinarsi.  Mentre nei settori pubblici e della scuola è contenuto anche un aspetto di carattere disciplinare, sia pure, per ora, senza sanzioni.  Una regola particolare vale per le imprese che occupano fin a 15 dipendenti. << Per le imprese con meno di quindici dipendenti, dopo il quinto giorno di mancata presentazione della predetta certificazione, il datore di lavoro può sospendere il lavoratore per la durata corrispondente a quella del contratto di lavoro stipulato per la sostituzione, comunque per un periodo non superiore a dieci giorni, e non oltre il predetto termine del 31 dicembre 2021>>.  Anche in questo caso si evita di qualificare la mancata esibizione del green pass sul piano disciplinare, ma dopo il quinto giorno il datore sarebbe autorizzato (da quanto si comprende con un contratto a termine non superiore a dieci giorni) alla sostituzione del dipendente. Tutto ciò premesso – preso atto con rammaricato stupore dell’insistenza dei sindacati sull’uso del tampone -, non vogliamo mettere il carro davanti ai buoi. Il governo ha compiuto un’azione importante, responsabile e coraggiosa. Ma il decreto deve essere convertito. Cominciamo però a porci una domanda. Per quanto tempo potrà durare una situazione così sia per i datori che per i lavoratori “renitenti” al vaccino? Soprattutto tenendo conto che il Covid-19 e le sue varianti ci faranno  ancora compagnia per parecchio tempo. Non ci sarà qualcuno che pensa ad una cig no vax?

 

Giuliano Cazzola

Membro del Comitato scientifico ADAPT

 

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