Nuove tutele per i lavoratori affetti da malattie oncologiche, invalidanti e croniche: un timido passo in avanti
Bollettino ADAPT 14 luglio 2025, n. 25
Lo scorso 8 luglio 2025 il Senato ha approvato in via definitiva il disegno di legge «Disposizioni concernenti la conservazione del posto di lavoro e i permessi retribuiti per esami e cure mediche in favore dei lavoratori affetti da malattie oncologiche, invalidanti e croniche» (A.S. 1440).
Il provvedimento, già approvato dalla Camera dei deputati nel quadro di un’iniziativa bipartisan, è il risultato dell’unificazione di più disegni di legge (C. 202, C. 844, C. 1104, C. 1128, C. 1395) presentati nel corso della XIX legislatura. Obiettivo della legge – che sarà pubblicata in Gazzetta Ufficiale entro la fine del mese – è quello di rafforzare il diritto al lavoro delle persone affette da malattie oncologiche, invalidanti e croniche, attraverso l’introduzione di specifici strumenti di tutela: congedi aggiuntivi, permessi retribuiti per esami e terapie, e un accesso prioritario allo smart working.
La condizione lavorativa delle persone con malattia cronica è da anni al centro dell’attenzione degli studiosi e degli osservatori del mercato del lavoro (M. Tiraboschi (a cura di), Occupabilità, lavoro e tutele delle persone con malattia cronica, ADAPT Labour Studies, e-Book series, n. 36). Si stima che in Italia siano oltre cinque milioni le persone in età lavorativa affette da patologie di lunga durata, spesso irreversibili o comunque tali da richiedere cure continuative o cicliche. Malattie cardiovascolari, diabete, cancro, depressione, disturbi muscolo-scheletrici sono solo alcune delle condizioni che accompagnano un numero crescente di lavoratori, destinato ad aumentare, anche in ragione dell’invecchiamento demografico, strettamente correlato alla diffusione delle cronicità.
Le esigenze di questi lavoratori – sul piano sociale, sanitario, economico e occupazionale – sono rimaste a lungo prive di una disciplina adeguata. E ciò in un ordinamento giuslavoristico che, storicamente, ha gestito la malattia secondo uno schema tradizionale, centrato sull’evento morboso “acuto” e sulla disciplina della disabilità, regolata dalle norme sul collocamento mirato e dal sistema delle tutele antidiscriminatorie. Nel silenzio del legislatore, è stata la giurisprudenza, a partire da consolidati orientamenti della Corte di giustizia dell’Unione europea, a collocare progressivamente le malattie croniche nell’ambito di applicazione della disciplina antidiscriminatoria (E. Dagnino, Malattie croniche e disciplina antidiscriminatoria: gli orientamenti della magistratura sulla durata del periodo di comporto, in DRI, 2, 2023, pp. 445-452, consultabile in modalità open access, sul sito del Bollettino ADAPT).
È in questo contesto che il disegno di legge approvato in Senato interviene, introducendo alcune misure mirate. Nel dettaglio, il testo si compone di cinque articoli: il primo è dedicato alla conservazione del posto di lavoro mediante un nuovo congedo non retribuito; il secondo introduce dieci ore annue di permessi retribuiti per visite e cure mediche; il terzo istituisce premi di laurea in memoria di pazienti oncologici; il quarto dispone l’adeguamento tecnologico dell’INPS; il quinto reca la clausola di salvaguardia per le autonomie speciali.
Il nucleo centrale dell’intervento legislativo è chiaramente nelle prime due previsioni. In particolare, l’articolo 1 introduce un nuovo istituto di congedo non retribuito, della durata massima di ventiquattro mesi, fruibile in modo continuativo o frazionato, a beneficio dei lavoratori dipendenti pubblici e privati affetti da malattie oncologiche, invalidanti o croniche – anche rare – che comportino un’invalidità pari o superiore al 74%. Durante tale periodo il lavoratore conserva il posto, ma non ha diritto alla retribuzione né può svolgere attività lavorativa. Il congedo può essere attivato solo dopo l’esaurimento di tutti gli altri periodi di assenza giustificata spettanti a qualunque titolo e non incide sull’anzianità di servizio, salvo riscatto volontario ai fini previdenziali. Per i lavoratori autonomi continuativi è prevista, in analogia, la possibilità di sospendere l’attività fino a un massimo di 300 giorni all’anno. Al termine del congedo, ove la prestazione lo consenta, il lavoratore ha inoltre diritto di accedere con priorità al lavoro agile.
L’articolo 2, invece, introduce un nuovo diritto a dieci ore annue permessi retribuiti per i lavoratori affetti da gravi patologie, «in aggiunta alle tutele previste dalla normativa vigente e dai contratti collettivi nazionali di lavoro». I permessi sono utilizzabili per «visite, esami strumentali, analisi chimico-cliniche e microbiologiche nonché cure mediche frequenti». Lo stesso diritto è riconosciuto anche ai lavoratori con figli minorenni affetti dalle medesime condizioni. Per tali ore aggiuntive, si applica la disciplina prevista per i casi di gravi patologie richiedenti terapie salvavita, con riconoscimento di una indennità economica e della copertura figurativa ai fini previdenziali. Nel settore privato, l’indennità è anticipata dal datore di lavoro e recuperata per conguaglio; nel pubblico, sono previste misure specifiche per la sostituzione del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario, con apposita copertura finanziaria. Le disposizioni si applicano dal 1° gennaio 2026.
Tra gli aspetti positivi dell’intervento di legge, va certamente segnalato l’introduzione del congedo previsto dall’articolo 1: una misura innovativa nel panorama italiano, che riconosce esplicitamente la specificità delle malattie croniche e la necessità di un tempo più lungo per gestirle. Positiva è anche l’estensione, per una volta, ai lavoratori autonomi, spesso esclusi da questi provvedimenti. Inoltre, le dieci ore annue di permessi retribuiti aggiuntivi previste dall’articolo 2, pur limitate, rappresentano un segnale concreto nella direzione del riconoscimento delle esigenze terapeutiche continuative.
Tuttavia, non mancano profili critici. Innanzitutto, la soglia di invalidità fissata al 74% per accedere alle tutele appare elevata e restrittiva, rischiando di escludere una parte significativa dei lavoratori con cronicità non gravissime ma comunque invalidanti. Inoltre, il fatto che il congedo sia privo di retribuzione ne limita fortemente l’effettiva accessibilità, soprattutto per i lavoratori a basso reddito.
Problematico, inoltre, pare il divieto assoluto di svolgere attività lavorativa durante il congedo, che contrasta con una giurisprudenza ormai consolidata (Cass. n. 21667/2017) secondo cui l’esercizio di un’attività lavorativa non è di per sé incompatibile con la malattia, se non compromette la salute del lavoratore. Non a caso, in Commissione lavoro al Senato era stato presentato un emendamento per vietare solo le attività “incompatibili con lo stato di salute”: emendamento poi ritirato per evitare un nuovo passaggio alla Camera.
Parimenti, non è chiaro il raccordo con la contrattazione collettiva. Se da un lato si afferma che sono fatte salve le previsioni più favorevoli, dall’altro si stabilisce che il congedo decorre solo «dall’esaurimento di tutti gli strumenti di assenza a qualunque titolo». Ne deriva un’ambiguità di significato dalla quale si fatica a trarre il contenuto prescrittivo della disposizone: se il congedo legale interviene solo dopo che il lavoratore si sia avvalso di aspettative e altri istituti eventualmente previsti dai contratti collettivi, non è chiaro a quali disposizioni collettive di miglior favore faccia riferimento il legislatore.
In definitiva, si tratta di un intervento parziale, non certo di una riforma organica dello statuto giuridico dei lavoratori con malattia cronica. Una disciplina ancora ancorata a una logica binaria, che vede il lavoratore o pienamente idoneo (e dunque presente) oppure completamente inidoneo (e dunque assente), senza considerare l’ampia zona intermedia in cui la persona potrebbe continuare a lavorare, con mansioni adattate, orari flessibili, sedi differenti, carichi alleggeriti.
Emblematica, in questo senso, è la previsione della priorità nell’accesso al lavoro agile solo dopo aver esaurito ogni altra forma di sospensione (comporto, aspettativa contrattuale, congedo di legge). Si tratta di una tempistica paradossale, se si considera che questi periodi – sommati tra loro, a seconda dell’anzianità di servizio – possono determinare un’assenza continuativa dal lavoro di quattro o cinque anni. In tale situazione, il legame con l’organizzazione aziendale risulta inevitabilmente affievolito: un controsenso, se si pensa che il lavoro agile è ormai frequentemente inteso dalla giurisprudenza come accomodamento ragionevole, finalizzato proprio a favorire la permanenza e il ritorno al lavoro di lavoratori con disabilità o patologie croniche, secondo la disciplina euro-unitaria.
È evidente che non si tratta di subordinare la tutela del lavoratore malato a esigenze produttive o di efficienza organizzativa, ma piuttosto di considerare in modo razionale e calibrato tutte le misure che possano garantire una continuità occupazionale effettiva. Per le persone affette da malattia cronica, il lavoro non rappresenta soltanto una fonte di reddito, ma costituisce anche un presidio essenziale di dignità e partecipazione sociale, oltre a svolgere, come attestato da numerosi studi della letteratura medico-scientifica, un ruolo positivo nei percorsi di recupero e stabilizzazione della condizione di salute.
Assegnista di ricerca Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
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