Novità nel lavoro sportivo: la F.I.G.C. apre le porte del professionismo alla Serie A femminile

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Bollettino ADAPT 23 maggio 2022, n. 20
 
Il 27 aprile 2022 è stata una data storica per il calcio femminile in Italia. La Federazione Italiana Giuoco Calcio (di seguito, “FIGC” o “Federazione”) ha infatti deliberato, come da Comunicato Ufficiale n. 226/A, il riconoscimento del professionismo anche per le donne, sia pure limitatamente alla massima serie nazionale (i.e. Serie A Femminile), a poco più di un anno dall’approvazione del d. lgs. 28 febbraio 2021 n. 36 (di seguito, per comodità espositiva, “Riforma dello sport” o “d. lgs. 36/2021”).
 
In ambito internazionale, inoltre, il 22 aprile 2022, pochi giorni prima dell’intervento della FIGC, la Fédération Internationale de Football Association (FIFA) aveva pubblicato le linee guida per ottenere la c.d. “licenza”, per la prima volta dedicate integralmente al calcio femminile. Il Presidente Gianni Infantino, nell’introduzione allo stesso documento, dichiara che lo scopo è quello di “riforma delle competizioni, incremento del valore commerciale, modernizzazione e potenziamento del professionismo”.
 
Questo cambiamento epocale si inserisce in un contesto di marcata espansione del movimento del calcio femminile in tutta Europa: a titolo esemplificativo, si ricordi il record di 91.648 spettatori accorsi al Camp Nou di Barcellona lo scorso 22 aprile per assistere alla sfida tra la formazione locale e il Wolfsburg, valevole per la semifinale di andata della Women’s Champions League.
 
Se, da un lato, è empiricamente verificabile che in Italia si è ancora lontani dal raggiungere numeri di tale portata, dall’altro è innegabile che il riconoscimento del professionismo per la Serie A femminile sarà un elemento fondamentale per garantire competitività ed attrattività all’intero movimento. Ai più attenti non può essere infatti sfuggito un dato significativo: ai Mondiali tenutisi in Francia nel 2019, tra le otto compagini giunte ai quarti di finale della competizione, l’Italia era l’unico Paese a non avere in seno al proprio movimento il settore professionistico.
 
Si rende tuttavia necessario un breve excursus storico sulla normativa italiana in materia di professionismo nel mondo dello sport al fine di comprendere al meglio la tortuosità del percorso compiuto per arrivare alla riforma.
 
L’art. 2 l. 23 marzo 1981, n. 91, sancisce che «Ai fini dell’applicazione della presente legge, sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi e i preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite da CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica». Solamente quattro federazioni attualmente prevedono il settore professionistico limitatamente ad alcune categorie e, fino al recente intervento della FIGC, allo sport maschile: calcio (Serie A, Serie B e Serie C), basket, ciclismo e golf. Motociclismo e boxe, invece, hanno recentemente fatto un passo indietro, con ogni probabilità spinti da ragioni di convenienza economica.
 
In tale contesto si è inserita la recente Riforma dello sport, dimostrandosi particolarmente sensibile ai profili inerenti la parità di genere, tanto da dedicare alla delicata tematica de qua l’art. 40: viene imposto alle Regioni, Province autonome e Coni di favorire l’inserimento delle donne nei ruoli di gestione e responsabilità. Si consideri, inoltre, per quanto riguarda gli aspetti strettamente lavoristici, che sia l’art. 25, c. 1, sia l’art. 38 del d. lgs.36/2021 ribadiscono che la nozione di lavoratore sportivo prescinde dal sesso e che, qualora una federazione decidesse di qualificare una disciplina come professionistica, questa opererebbe sia in ambito maschile che femminile.
 
Tuttavia, la strada verso l’apertura delle porte del professionismo agli sport femminili era stata già aperta dal legislatore nazionale con la l. 27 dicembre 2019, n. 160 (c. d. legge di bilancio 2020). L’art. 1, c. 181, prevedeva infatti, con il duplice scopo di promozione ed estensione delle tutele, la possibilità per tutte le società che avessero stipulato con le atlete contratti di lavoro sportivo di chiedere, per il triennio successivo, l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali e assistenziali entro il limite di 8.000€ annui.
 
La Riforma dello sport interviene anche da un punto di vista strettamente economico, prevedendo l’istituzione di un “Fondo per il professionismo femminile” con una dotazione iniziale di 2,9 milioni di euro per il 2020, 3,9 milioni di euro per il 2021 e 3,9 milioni di euro per il 2022, cui le federazioni possono accedere deliberando il passaggio al professionismo dei propri campionati femminili entro il 31 dicembre 2022. Tali risorse possono essere utilizzate solo in un elenco tassativo di casi, riportati all’art. 39, c. 3, d. lgs. 36/2021, che sono connotati dalla necessità sia di superare l’emergenza pandemica sia di promuovere l’intero movimento.
 
La FIGC ha tuttavia avuto il merito di muovere i primi passi per il riconoscimento del professionismo nel calcio femminile ben prima della promulgazione delle normative di cui supra. Già a partire dalla stagione sportiva 2016/2017, infatti, la Federazione aveva inserito alcuni obblighi che le società professionistiche di Serie A, Serie B e Serie C maschile, con alcune differenze tra le varie categorie, devono rispettare al fine di ottenere la c.d. Licenza Nazionale. Prendendo in esame i criteri sportivi e organizzativi (Titolo III) imposti ai sodalizi della massima serie per la prossima stagione 2022/2023, si prevede che queste, entro il 17 giugno 2022, mediante dichiarazione sottoscritta dal legale rappresentante pro tempore, si dovranno impegnare a tesserare entro il 1 febbraio 2023 almeno quaranta calciatrici di età compresa tra i 5 e i 12 anni e a partecipare al Campionato Under 15 e Under 17 con una squadra di calcio femminile del proprio settore giovanile. In alternativa, la società richiedente la Licenza Nazionale potrà acquisire entro il 30 novembre 2022 il titolo sportivo o partecipazioni di controllo di una società di calcio femminile della stessa regione in regola con i criteri, ovvero stipulare con la stessa un accordo di collaborazione valido per l’intera stagione sportiva, con l’accollo degli oneri di gestione. La normativa, al fine di garantirne l’effettività, prevede inoltre un impianto sanzionatorio: se non viene rispettato il termine del 17 giugno 2022 è prevista l’ammenda di importo non inferiore a € 20.000,00; nel caso in cui invece la società non si allineasse ai requisiti nei termini previsti, potrebbe essere comminata un’ammenda di importo non inferiore a €40.000,00 per ciascun inadempimento.
 
Nel consiglio federale tenutosi a giugno 2020 si era inoltre deliberato all’unanimità l’avviamento di un progetto graduale per il riconoscimento del professionismo nel calcio femminile a partire dalla stagione sportiva 2022/2023. Il Presidente della FIGC Gabriele Gravina, nel commentare i vari interventi posti in essere dalla Federazione e le novità del d. lgs. 36/2021, si era dimostrato ben conscio delle difficoltà che il percorso di riconoscimento del professionismo per il calcio femminile avrebbe inevitabilmente imposto, soprattutto dal punto di vista strutturale e organizzativo, criticando la Riforma dello sport perché rea di non considerare le tempistiche di adattamento di un settore normativamente fermo a più di quarant’anni fa.
 
Tali premesse permettono di comprendere come il C.U. n. 226/A non sia un fulmine a ciel sereno nel panorama sportivo in generale e calcistico in particolare, bensì il risultato di un lungo e ragionato percorso che ha portato al riconoscimento intrafederale del settore professionistico per la Serie A femminile a partire dalla stagione sportiva 2022/2023.
 
La Federazione ha operato modificando direttamente le Norme Organizzative Interne della FIGC (NOIF). La nuova formulazione dell’art. 28 NOIF, che troverà applicazione dal 1 luglio 2022, prevede che «Sono qualificati professionisti i calciatori e le calciatrici che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità, tesserati per società associate nelle Leghe e/o per società partecipanti al Campionato di Serie A femminile», facendo dunque rientrare nella categoria dei “non professionisti” di cui all’art. 29 NOIF le atlete militanti in tutte le residue categorie. Anche il rapporto da “professionista” delle calciatrici della Serie A femminile si costituirà mediante assunzione diretta e non potrà avere durata superiore alle cinque stagioni sportive – tre in caso di atleta minorenne – nel rispetto delle previsioni delle norme e degli accordi collettivi.
 
L’estensione del professionismo alla massima serie femminile comporterà, come ovvia conseguenza, l’applicazione tra le altre delle norme già applicate alla Serie A, Serie B e Serie C maschili in materia, a titolo meramente esemplificativo, dei c.d. “giovani di serie”, di controllo della gestione economica, di cessione del contratto a titolo definitivo e a titolo temporaneo e di risoluzione del rapporto contrattuale.
 
Alla luce di quanto sopra esposto, è possibile dare una valutazione a caldo della tanto reclamata da più parti introduzione del professionismo – seppur in maniera ristretta – nel mondo del calcio femminile: se da un lato si era sine dubio reso improcrastinabile un intervento che andasse a ripianare le differenze di trattamento tra il calcio di vertice al maschile e quello al femminile, dall’altro l’intero sistema si troverà ad affrontare un cambiamento epocale che imporrà maggiori costi sia dal punto di vista meramente economico che organizzativo e che metterà a dura prova soprattutto le realtà meno strutturate e con budget sensibilmente inferiori. Sarà dunque fondamentale, sia in fase di avvio che in medias res, vigilare sui cambiamenti strutturali e organizzativi che interesseranno non solo la Serie A femminile ma tutto il movimento, soprattutto dal punto di vista dell’auto-sostenibilità economica.
 
È inoltre opinione dello scrivente che la contrattazione collettiva avrà un ruolo decisivo, come già accaduto nell’ambito del calcio professionistico maschile post promulgazione della l. 91/1981, al fine di evitare che la parità si raggiunga anche sul piano sostanziale e non si fermi solamente a quello formale. In tal senso, non si potrà che prescindere dal riconoscimento di tutele per la maternità a favore delle calciatrici professioniste, uno degli argomenti più delicati che rappresentanti delle atlete, delle società e della lega di riferimento dovranno necessariamente regolamentare.
 
Il corpus normativo e le parti coinvolte sono pronti per la sfida che li attende: l’immediato futuro ci dirà se il mondo del calcio, come già accaduto in passato, fungerà da esempio virtuoso in Italia per raggiungere progressivamente, anche in seno alle altre federazioni, il tanto auspicato riconoscimento del professionismo al femminile.
 
Cristian Tulissi

Dottore magistrale in Giurisprudenza, Università di Trieste

Novità nel lavoro sportivo: la F.I.G.C. apre le porte del professionismo alla Serie A femminile