Bollettino ADAPT 3 febbraio 2025, n. 5
Il riconoscimento dell’importanza della salute mentale dei lavoratori è al centro della recente sentenza n. 1185/2024 del Tribunal Superior de Justicia de Madrid (TSJM), il quale, pronunciandosi contro l’Instituto Nacional de la Seguridad Social (INSS) e la Tesorería General de la Seguridad Social (TGSS), ha dimostrato come, nei casi di incapacità al lavoro, alle patologie psichiche vada assegnata pari rilevanza rispetto a quelle fisiche.
Il caso riguarda Gracia (nome fittizio), un’impiegata amministrativa che, dopo una serie di problemi di salute sia fisica che mentale, tra febbraio e maggio del 2022 aveva visto riconoscersi un 44% di disabilità e un disturbo dell’adattamento con stato d’animo depressivo. Ciononostante, la sua richiesta di incapacità permanente e assoluta veniva respinta dall’Instituto Nacional de la Seguridad Social, in base all’argomentazione secondo cui le sue condizioni non fossero tali da compromettere in misura sufficiente la sua capacità lavorativa. Decisione che la donna ha ritenuto di impugnare innanzi al tribunale.
Con sentenza del 22 marzo 2024 il Juzgado de lo Social nº 28 de Madrid ha accolto la richiesta di Gracia, riconoscendo la gravità delle sue limitazioni fisiche e mentali, idonee a configurare la condizione di incapacità permanente ed assoluta. Avverso tale sentenza, tuttavia, l’Instituto Nacional de la Seguridad Social ha presentato ricorso innanzi al Tribunal Superior de Justicia de Madrid, osservando come, di fatto, non fosse stata dimostrata la grave difficoltà di mobilità o la severità del suo disturbo ansioso-depressivo. Argomentazioni che, a parere dell’Istituto titolare della sicurezza sociale, la renderebbero ancora idonea al lavoro.
Il Tribunal Superior de Justicia de Madrid, con sentenza 1185/2024, ha però respinto tale ricorso, sottolineando la necessità di valutare in modo equo tutte le patologie e l’impatto che le stesse possano avere sulla capacità lavorativa delle persone coinvolte. Nel caso di specie, la decisione è stata adottata, come emerge dalle motivazioni, non solo in considerazione delle condizioni fisiche e, nello specifico, delle gravi lesioni alla schiena che impedivano alla ricorrente la mobilità e l’assunzione di determinate posture, ma pari rilevanza è stata attribuita anche al quadro ansioso-depressivo di cui la stessa soffriva.
La sentenza in esame, dunque, dimostra che, sebbene non vi sia dubbio che le patologie fisiche siano più semplici da riconoscere e valutare in quanto “oggettivabili”, sempre più, nei procedimenti giudiziari, si assegna rilevanza alla salute mentale, e non più soltanto nei casi di disturbi depressivi maggiori a fronte dei quali, trattandosi di patologia principale, l’incapacità permanente era già solitamente riconosciuta.
E se la salute mentale è un fattore decisivo per il benessere di qualunque individuo, ancor di più lo è nel caso delle persone lavoratrici, sottoposte a responsabilità, stress e pressioni di varia indole. Difatti, il lavoratore consapevole delle limitazioni di cui soffre, ove queste siano invalidanti e incapacitanti, non sarà in grado di svolgere con la giusta concentrazione i compiti assegnati o le mansioni richieste dall’esercizio della propria professione.
Occorre prendere atto, in buona sostanza, di come la salute mentale sia ormai divenuta una componente rilevante nella società, sempre più colpita da questo tipo di patologie. Realtà, questa, che sta avendo ripercussioni di non poco conto anche sul mondo del lavoro e, di conseguenza, nell’ambito dei processi giudiziari.
È evidente, quindi, la portata di una simile decisione in termini di significato ed importanza, poiché mostra come la giurisprudenza stia assegnando un peso sempre maggiore alla salute mentale nei casi di incapacità al lavoro, riconoscendo come le limitazioni psicologiche possano essere invalidanti tanto quanto quelle fisiche.
Lavinia Serrani
Ricercatrice ADAPT
Responsabile Area Ispanofona