Le rappresentanze sindacali dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 156/2025
| di Matteo Di Francesco
Bollettino ADAPT 1 dicembre 2025, n. 42
Con la sentenza n. 156 del 30.10.2025, la Corte costituzionale ha affrontato il tema dell’esigenza di oggettivare il criterio di ingresso alla tutela sindacale di secondo livello ed ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, l. n. 300/1970, riscrivendone la portata nel senso che le rappresentanze sindacali aziendali (RSA) possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori, in ogni unità produttiva, oltre che nell’ambito di associazioni che hanno partecipato alla negoziazione di contratti collettivi applicati (Corte cost., n. 231/2013), “anche” nell’ambito delle “associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.
La questione era stata sollevata dal Tribunale di Modena, in funzione di giudice del lavoro, nel corso di un procedimento ex art. 28 l. n. 300/1970, dunque per repressione della condotta antisindacale, instaurato da un’associazione dei lavoratori cui l’azienda negava il diritto di costituire la RSA in quanto non firmataria del CCNL applicato in azienda. Il sindacato, forte di un buon seguito tra i dipendenti e risultati elettorali significativi (rappresentando in azienda più del 20% dei lavoratori sindacalizzati e circa il 10% della forza lavoro complessiva), si era visto negare la possibilità di costituire una RSA solo perché non aveva firmato – né partecipato alla negoziazione – del contratto collettivo applicato.
Il Tribunale di Modena, investito del caso, ha sollevato così questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori, laddove esso non riconosca il diritto di costituire la RSA anche ai sindacati non firmatari del contratto collettivo. Il giudice rimettente ha ritenuto che questa esclusione producesse una disparità di trattamento tra sindacati e, di fatto, consentisse al datore di lavoro di “scegliere” gli interlocutori più graditi, comprimendo il principio di pluralismo sindacale tutelato dall’art. 39 Cost.
Nel dettaglio, il Tribunale di Modena evocava, in prima battuta – secondo una logica in contrasto con la giurisprudenza costituzionale – una pronuncia che facesse venire meno ogni requisito di selezione nell’accesso dei lavoratori alla possibilità di costituire, nell’ambito di un sindacato, una RSA, restando affidato all’opera della giurisprudenza il compito di individuare singole fattispecie di effettiva rappresentatività, idonee a legittimare l’iniziativa. In via subordinata, il Tribunale di Modena chiedeva di integrare i criteri selettivi previsti dall’art. 19, primo comma, evocando, in alternativa tra loro, i concetti della rappresentatività “maggioritaria” e della rappresentatività “significativa”.
Nel giudizio di Modena, le difese della parte datoriale si ispiravano alla logica del rapporto di forza tra azienda e sindacato, e al connesso principio del mutuo riconoscimento. Per tale impostazione, non vi sarebbe rappresentatività sindacale al di fuori degli indici negoziali, poiché un sindacato che non riesce a farsi ammettere al tavolo delle trattative, e quindi a farsi riconoscere dall’azienda come interlocutore, sarebbe, già solo per questo, un sindacato non rappresentativo, carente di adeguato consenso tra i lavoratori.
La Corte ha sottolineato che il criterio selettivo della negoziazione di contratti collettivi applicati, precedentemente messo a punto nella sentenza n. 231/2013 ad opera della stessa, se destinato ad operare da solo, contrasta con gli artt. 3 e 39 Cost. perché non realizza la funzione di selezione dei soggetti in ragione della loro effettiva rappresentatività. Infatti, “l’ammissione di un’associazione dei lavoratori alle trattative, e quindi alle prerogative del Titolo III dello statuto, è condizionata dalle scelte discrezionali della parte datoriale”. In sostanza, questo sistema permetteva al datore di lavoro di esercitare un vero e proprio potere di accreditamento: rifiutandosi di invitare un sindacato al tavolo negoziale, il datore poteva legalmente impedirgli di avere una rappresentanza aziendale (c.d. potere di veto), anche in presenza di un forte e reale consenso tra i lavoratori.
La Corte ha riconosciuto come questo meccanismo si trasformi in un “illegittimo accordo ad excludendum” e, pertanto, ha respinto l’idea che la partecipazione alle trattative possa costituire l’unico metro di rappresentatività, poiché, in assenza di regole oggettive, lascia troppo spazio alla discrezionalità datoriale. Gli indici negoziali – quello della firma del contratto, come quello della partecipazione alle trattative – mostrerebbero la loro inidoneità ogniqualvolta l’azienda selezioni tatticamente le associazioni sindacali, ammettendole alle trattative e alla firma, oppure dalle stesse escludendole, non sulla base del loro effettivo consenso presso i lavoratori, ma in ragione del differente grado di rivendicatività delle rispettive piattaforme.
A fronte della fattispecie esaminata a Modena, per la Consulta, il sindacato rappresentativo non sarebbe adeguatamente tutelato dal rischio di una esclusione dalle trattative di un contratto collettivo. Risulterebbe, infatti, inadeguata non solo la tutela di diritto comune conseguibile mediante il canone della buona fede oggettiva sancito dall’art. 1337 del codice civile, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto (che per la Corte “si limita a garantire, con apparato rimediale suo proprio, che non vi sia abuso della libertà contrattuale con possibile violazione della libertà contrattuale”) ma anche la tutela offerta dallo stesso strumento della repressione della condotta antisindacale. Ciò in quanto, anche a fronte di quanto previsto dall’art. 28 l. n. 300/1970, il datore non avrebbe l’obbligo di trattare con tutte le organizzazioni sindacali, potendosi configurare una “condotta antisindacale” solo quando il datore di lavoro faccia “un uso distorto della libertà negoziale, oggettivamente discriminatorio, produttivo di un apprezzabile lesione della libertà sindacale dell’organizzazione esclusa” (ex multis, Cass. 10 giugno 2013, n. 14511, e Cass. 9 gennaio 2008, n. 212).
Nonostante alcuni dubbi sorti in dottrina sull’effettiva portata della tutela antidiscriminatoria, in uno con la dimensione aperta della fattispecie della condotta antisindacale (v. M. Marazza, Rappresentanza sindacale in azienda dopo Corte cost. n. 156/2025 più rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro, nuovi strumenti per governare il dumping contrattuale, in Giustizia Civile, 3 novembre 2025), resta il principio che per la Corte, nell’esercizio della libertà dell’impresa di trattare con chi vuole, si aprirebbe, in ogni caso, un palese vuoto di tutela del sindacato effettivamente rappresentativo.
Per rimediare a tale vuoto, la Consulta adotta in via interinale un criterio già consolidato in altri ambiti: quello delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. È una formula nota al legislatore, utilizzata, tra l’altro, nel decreto legislativo n. 81 del 2015 e nel più recente decreto sui contratti pubblici del 2023. In concreto, ciò significa che potranno costituire RSA anche quei sindacati che, pur non firmatari o non invitati alle trattative aziendali, risultino riconosciuti come comparativamente più rappresentativi rispetto ad altri, secondo parametri già applicati a livello nazionale (i.e. iscritti, deleghe, risultati elettorali). Non si tratterebbe, precisa la Corte, di un modo per ripristinare la vecchia formula della “maggiore rappresentatività confederale” abrogata nel 1995, in quanto la formula attuale non va a privilegiare l’appartenenza ad una confederazione storica, ma la forza effettiva e misurabile del sindacato, valutata in termini comparativi.
Sul punto, la Corte fa riferimento alle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, quindi escludendo la rilevanza di una rappresentatività misurata in azienda o sul territorio, e senza specificare se la comparazione debba coinvolgere tutte le organizzazioni sindacali, a prescindere dall’ambito cui si rivolge la loro attività rappresentativa, o solo quelle che operano nel settore di riferimento del datore di lavoro i cui dipendenti intendono costituire la RSA. Riteniamo sia corretto delimitare il riferimento della Corte ai soli sindacati comparativamente più rappresentativi nell’ambito del settore ove opera il datore di lavoro presso il quale si intende costituire la RSA. Lasciare che la comparazione possa essere estesa a tutte le organizzazioni sindacali, a prescindere dal loro effettivo ambito di rappresentanza, finirebbe per svuotare la funzione selettiva che l’art. 19 St. lav. svolge valorizzando proprio l’“effettività dell’azione sindacale” (Corte cost., n. 244/1996).
Ovviamente, se si guarda proprio alla fattispecie che ha portato il Giudice di Modena a sollevare la questione di legittimità costituzionale, non è detto che il sindacato rappresentativo in una determinata azienda, o in un determinato territorio, sia anche comparativamente più rappresentativo sul piano nazionale. Dalla sentenza, infatti, e come detto, emerge che il sindacato era molto rappresentativo nella singola azienda ma questo elemento non dice nulla sulla circostanza che lo stesso fosse anche un sindacato comparativamente più rappresentativo sul piano nazionale nel settore di riferimento del datore di lavoro. Questo è, pertanto, un accertamento che dovrà necessariamente completare il Tribunale ponendosi un problema di comparazione di rappresentatività tra quel sindacato e le organizzazioni sindacali firmatarie del CCNL “leader” per quella tipologia di attività produttiva.
Evidenziato che trattasi di una soluzione interinale, la Corte ha espresso l’auspicio che il legislatore intervenga con una revisione normativa, i.e. una riscrittura della norma “capace di valorizzare l’effettiva rappresentatività in azienda quale criterio di accesso alla tutela promozionale delle organizzazioni dei lavoratori”. Ebbene, come da altri già evidenziato (C. Marinelli, RSA e rappresentatività, la Consulta apre un nuovo capitolo per il pluralismo sindacale, in Norme & Tributi Plus Diritto, 3 novembre 2025), se il legislatore saprà raccogliere l’indicazione della Corte potrà finalmente sviluppare una disciplina unitaria, capace di certificare la forza reale delle organizzazioni sindacali. Se, invece, continuerà a confermarsi una logica conservativa, più verosimile sarà assistere a nuovi interventi della giurisprudenza per colmare le lacune.
Per il momento, in attesa di quell’intervento normativo, non resta che prendere atto degli effetti potenzialmente ampi ed invasivi della pronuncia della Corte. A parere di chi scrive, la pronuncia indebolisce l’efficacia selettiva dell’art. 19 St. lav., spostando (se non sbilanciando) il punto di equilibrio tra libertà sindacale e libertà economica a favore della prima. Il criterio adottato espone la norma al rischio di una certa relatività giudiziale, con la conseguente possibilità di un incremento del contenzioso. Parimenti, è fisiologico come questo nuovo modello di selezione dei sindacati legittimati ad accedere alla legislazione di sostegno possa cambiare in parte gli equilibri nel sistema di relazioni sindacali. Nelle aziende dove operano sindacati autonomi o di base, più radicati nei reparti che nei tavoli confederali, la possibilità di costituire RSA potrà tradursi in un rafforzamento concreto della relativa presenza sindacale e nella possibilità di partecipare alle contrattazioni di secondo livello.
Avvocato
Professore a contratto Università degli Studi di Napoli Parthenope e Libera Università di Bolzano
ADAPT Professional Fellow
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