Le ore di guardia sono qualificabili come orario di lavoro? La Cassazione fa chiarezza

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Bollettino ADAPT 8 gennaio 2024, n. 1
 
La Corte di Cassazione, con la sentenza del 22 novembre 2023, n. 32418, si è pronunciata in merito alla qualificazione dei periodi di guardia svolti nel luogo indicato dal datore di lavoro affermando che il periodo di reperibilità e le ore di guardia non costituiscono una categoria intermedia che si differenzia da una parte rispetto all’orario di lavoro, dall’altra rispetto al tempo di riposo. Infatti, ricalcando la disciplina comunitaria di riferimento, la Suprema Corte non ammette un tertium genus rispetto alla distinzione tra orario di lavoro e periodo di riposo.
 
Il caso sottoposto all’attenzione della Corte interessava le vicende di alcuni dipendenti statunitensi di stanza in Italia esercenti le funzioni di vigili del fuoco addetti ai servizi antincendio. I dipendenti coprivano turni di 24 ore che comprendevano anche l’orario intercorrente tra le ore 22 e le ore 6 durante il quale erano tenuti a riposare in stanze da letto all’interno della base militare, per poter intervenire in caso di eventuale incendio, venendo in tali infrequenti casi remunerati per prestazione aggiuntiva. A fronte dei periodi di guardia svolti veniva corrisposta ai dipendenti un’indennità di pernottamento.
 
I dipendenti, ritenendo i periodi di guardia configurabili quali periodi di lavoro straordinario, eccepivano in primo e in secondo grado la nullità degli artt. 18 e 54 delle Condizioni di impiego contenute nella Normativa per il Personale Civile non Statunitense delle Forze Armate USA, recanti rispettivamente disposizioni in merito all’orario di lavoro e alle maggiorazioni retributive per gli addetti a servizi antincendio assegnati a turni di 24 ore. Conseguentemente, chiedevano la condanna del datore di lavoro alla modifica della turnazione di lavoro e alla corresponsione delle maggiorazioni previste per il lavoro straordinario per le 8 ore di prestazione notturna svolte per ogni turno di lavoro, con detrazione dell’indennità di pernottamento percepita.
 
I ricorrenti, soccombenti in primo e in secondo grado, adivano dunque la Suprema Corte, sostenendo l’erroneità e contraddittorietà della motivazione fornita dalla Corte d’Appello relativamente all’interpretazione della nozione di orario di lavoro prevista dalla legge (art. 1 del d.lgs. n. 66/2003), dalla quale portata aveva escluso il periodo di reperibilità trascorso presso il datore di lavoro.
 
Difatti, la Corte di seconde cure aveva qualificato il pernottamento dei soggetti presso il luogo di lavoro quale periodo di riposo intermedio e non quale orario di lavoro.
 
A fronte delle argomentazioni della Corte d’Appello i ricorrenti richiedevano l’adeguamento del giudice nazionale all’orientamento della Corte di Giustizia in merito alla nozione di “orario di lavoro”. La definizione eurounitaria trae origine dalle disposizioni della direttiva 2003/88/CE, che opera una dicotomia tra tempo di lavoro e tempo di riposo e non prevede alcun tertium genus rispetto alle due fattispecie. In tal senso, i periodi di reperibilità svolti nei luoghi indicati dal datore di lavoro e consistenti nel rendersi immediatamente disponibili alla prestazione in caso di necessità vengono qualificati quali orario di lavoro. All’interno dell’obbligo di reperibilità la giurisprudenza costante della Corte di Giustizia ricomprende le ipotesi dei periodi di guardia svolti all’interno della caserma indipendentemente dalle prestazioni eventualmente effettuate.
 
La Corte di Cassazione nel decidere il caso sub iudice rigetta il ricorso nonostante la ricostruzione della normativa eurounitaria e dell’orientamento della giurisprudenza UE in materia operata dai ricorrenti sia da ritenersi corretta.
 
La soluzione prospettata dal giudice di legittimità deriva dalla considerazione per cui il periodo notturno di guardia svolto all’interno del luogo di lavoro è sicuramente qualificabile come orario di lavoro in ottemperanza al diritto comunitario e alla disciplina nazionale di riferimento, tuttavia tale conclusione non determina necessariamente la corresponsione della retribuzione da lavoro straordinario.
 
La direttiva eurounitaria nulla prevede per quanto riguarda le modalità di retribuzione dei lavoratori con obbligo di reperibilità rimettendone la determinazione al diritto dei singoli Stati Membri.
 
Nel caso de quo viene dunque in rilievo la contrattazione collettiva in materia rappresentata dagli artt. 18 e 54 della Normativa per il Personale Civile non Statunitense delle Forze Armate U.S.A. in Italia che prevede la differenziazione nell’ambito del periodo di guardia tra i periodi in cui sono state effettuate delle prestazioni di lavoro e quelli durante cui non è stato prestato alcun lavoro effettivo.
 
Nell’ipotesi prospettata dai ricorrenti non viene di regola svolto alcun lavoro effettivo e per tale ragione, a detta della Corte la corresponsione di un’indennità di pernottamento è sufficiente a soddisfare l’obbligo retributivo in capo al datore di lavoro, per le ore di guardia prestate dai dipendenti, non ostando a ciò né la disciplina comunitaria né quella nazionale di recepimento.
 
Tabata Maini   

ADAPT Junior Fellow

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