Lavoro autonomo e diritti costituzionali inviolabili: la pronuncia n. 112/2021 della Corte Costituzionale

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Bollettino ADAPT 7 giugno 2021, n. 22

 

Lo scorso 28 maggio è stata depositata la sentenza n. 112/2021 con cui la Consulta ha affermato l’incostituzionalità di una legge regionale della regione Lombardia, concernente l’esclusione dei lavoratori autonomi dai canoni di locazione più bassi per l’edilizia residenziale pubblica riservati alle famiglie meno abbienti.

 

Il caso, incidentalmente sollevato dal TAR Lombardia, ha riguardato la presunta incostituzionalità della legge regionale della regione Lombardia del 4 dicembre 2009, n. 27 laddove, con riferimento alla determinazione dei canoni di locazione non veniva consentita “la collocazione nell’area della protezione a soggetti che percepiscono redditi da lavoro autonomo”. Nello specifico la legge regionale riserva l’area della “protezione”, riferita ai nuclei familiari con ISEE-ERP (edilizia residenziale pubblica) fino a 9.000,00 euro, ai soli assegnatari con reddito imponibile derivante esclusivamente o prevalentemente da pensione o da lavoro dipendente od assimilato escludendo così il lavoratore autonomo che avesse i requisiti solo sulla base della provenienza del reddito.

 

Il giudice amministrativo ha così sollevato la questione alla Corte per dubbi di legittimità costituzionale per violazione dell’art 3 Cost. sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento fra posizioni sostanzialmente uguali. Secondo il TAR Lombardo infatti le norme sottoporrebbero a una disciplina differenziata “situazioni di precarietà economico-reddituale analoghe o addirittura identiche”, facendo irragionevolmente discendere la disparità di trattamento dalla mera diversità della fonte del reddito addivenendo così ad una scelta manifestamente illogica che non trova ragione giustificatrice nel distinto regime di controllo fiscale, cui sarebbero sottoposte le varie tipologie di reddito.

 

La Regione Lombardia, costituitasi in giudizio, ha eccepito l’inammissibilità e l’infondatezza della questione sollevata dal giudice amministrativo sulla base del fatto che il diverso trattamento dei lavoratori autonomi, avrebbe delle fondate ragioni storiche in quanto negli anni 60, con legge 14 febbraio 1963, n. 60 (Liquidazione del patrimonio edilizio della Gestione I.N.A.- Casa e istituzione di un programma decennale di costruzione di alloggi per lavoratori), è stato istituito un fondo destinato alla costruzione di alloggi per l’edilizia residenziale pubblica, alimentato, sino ai primi anni Novanta del secolo scorso, mediante prelievi effettuati sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti. Pertanto la norma regionale sarebbe motivata dalla necessità di non operare una parificazione, sotto il profilo della determinazione dei canoni, tra posizioni che sono differenti e fermo restando che sarebbe comunque riservato un medesimo trattamento relativamente all’accesso all’edilizia residenziale pubblica. Ad ulteriore supporto la Regione ha richiamato alcuni provvedimenti o previsioni regionali che introdurrebbero regimi differenziati per categorie di lavoratori nella disciplina degli alloggi pubblici e chiedendo pertanto il rigetto della questione sollevata. 

 

La Corte ha ammesso la non ragionevolezza dell’esclusione dai canoni di locazione più bassi per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica ai nuclei familiari il cui reddito provenga da lavoro autonomo e ha pertanto dichiarato incostituzionale la norma della regione Lombardia che riserva i canoni di locazione più bassi agli assegnatari di alloggi il cui reddito provenga da pensione, da lavoro dipendente o assimilato. La Corte ha altresì escluso che la disparità di trattamento si possa giustificare poiché la finalità della disciplina è quella di garantire il diritto inviolabile all’abitazione a persone che versano in condizioni di particolare fragilità economica.

 

In particolare non è stata ravvisata una ragionevole giustificazione della diversa disciplina nel differente meccanismo impositivo cui sono sottoposti i redditi in questione poiché “il trattamento eterogeneo, sotto il profilo della determinazione dei canoni di locazione, andrebbe a differenziare il godimento di un diritto inviolabile, in ragione della diversa fonte di reddito del nucleo familiare e, più precisamente – in relazione alla questione posta dal rimettente –, in ragione della sua provenienza da distinte tipologie di lavoro, quando invece il lavoro è tutelato «in tutte le sue forme» (art. 35, primo comma, Cost.)“.

 

Il giudizio, ha affermato la Corte, trova il suo principio ispiratore nella promozione dell’effettività della tutela del diritto all’abitazione che un’annosa giurisprudenza ha incluso nel catalogo dei diritti inviolabili ascrivibile ai requisiti “essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione”. In particolare la Corte ha respinto le diverse motivazioni della difesa regionale: da un lato infatti i contributi in oggetto erano integrati da una quota versata dallo Stato e dunque non con risorse esclusivamente versate dai lavoratori dipendenti; in secondo luogo i giudici hanno sconfessato che la ragionevolezza della norma regionale potesse essere associata alla diversa contribuzione data all’edilizia residenziale pubblica poiché si trovano a godere della più favorevole disciplina soggetti pensionati, che ricomprendono al loro interno sia coloro che hanno svolto attività di lavoro autonomo che lavoratori dipendenti.

 

La Consulta ha così affermato che la tutela di un diritto inviolabile all’abitazione e il rispetto del lavoro in tutte le sue forme impongono che il principio di eguaglianza si dispieghi pienamente, applicando le stesse modalità di calcolo del canone di locazione in favore di assegnatari che versino in situazioni di grave fragilità economica, indipendentemente dalla provenienza del reddito da attività autonome, di pensione o dipendente. In assenza di cause giustificative ideone ragionevoli la Corte ha ritenuto che la normativa regionale comporti una grave disparità di trattamento fra i nuclei familiari che dipendono da redditi da pensione, da lavoro dipendente o assimilato, e quelli sostenuti da redditi da lavoro autonomo violando così l’art. 3 primo comma della Cost.

 

Andrea Zoppo

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@AndreaZoppo

 

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